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C’è bisogno di un dottore

di Marcello
Pesarini

Questo non è un articolo per addetti ai lavori, ma per tutti, consigliabile a chi vuole sapere in che tunnel senza uscita si stia rischiando di infilare la nostra vita, a partire dalla salute.
Se “mens sana in corpore sano” è la massima latina da tutti più o meno accettata, la sanità pubblica, l’unica che ha la missione di curare e guarire tutti e tutte, ha imboccato in Italia una brutta strada almeno dal ’92-93, gli anni in cui venivano istituite le Aziende Ospedaliere e le Aziende Sanitarie Locali. Per cui non si vanti Giorgia Meloni: il centro-sinistra di Giuliano Amato già aveva dato inizio allo sgretolamento, sempre con la scusa che bisognava modernizzarsi, la competitività fa bene e col pubblico non si fanno i soldi, non li fanno né i medici né le imprese che si impegnano nella sanità.

Non ci addentriamo nelle questioni dei DRG, dello spazio offerto man mano al privato, dei vari modelli Lombardia: è tutta storia.
Ci hanno pensato la bolla finanziaria del 2008, la pandemia, la guerra con più interessi evidenti in Occidente, cioè quella fra Russia e Ucraina, ad aumentare i numeri di poveri stabili, di working poor e nuove generazioni assillate da un futuro non visibile e un passato degli altri non narrato nella giusta maniera, così ne enfatizzano gli aspetti negativi.

Sono quasi 800.000 le persone che nel 2021 hanno usufruito dei servizi pubblici di salute mentali, quasi il 7% di più dell’anno precedente. Se sono cresciute di numero le persone che sono entrate in contatto con i DSM per la prima volta, il 3,3% è stato nel contempo l’aumento del personale, mentre sono diminuite le strutture e i servizi pubblici ad hoc.

In Italia, infine, la spesa per la salute mentale è il 3,4% della spesa sanitaria complessiva, di fronte a una media europea del 10%, e neanche quest’anno si riuscirà a raggiungere l’obiettivo prefissato dai DSM del 5%.

Cosa c’entra X Factor?

Serenis, una delle più grandi piattaforme di psicoterapia online, diventa Official partner di X Factor 2023, per “promuovere la cura della salute mentale”, a cominciare da quella degli artisti che parteciperanno alla challange. E qui ci siamo tutti, come dicevamo all’inizio, perché siamo spettatori, perché speriamo che, come ci si spenderà a preparare i giovani talenti ad affrontare successi ed insuccessi ma soprattutto i giudizi sui social, ai quali ormai non si scampa, poi Serenis o sottomarche potranno occuparsi delle nuove generazioni senza futuro, senza casa all’università, senza nessun serio impegno per il clima, e poi di tutti gli altri diseredati del Paese.
Stiamo attenti: la psicoterapia è una cosa seria, niente a che fare con stregoneria o magia da “Domenica in”. Dovrebbe essere fornita in primis dal Servizio Sanitario Nazionale, dagli psicologi iscritti all’ordine degli psicologi, che ricevono nei loro studi.

Ma crescono i pazienti anche perché lo Stato non si occupa di prevenire le situazioni di disagio.  Da anni diminuiscono i luoghi di aggregazione per adulti e giovani, il degrado aumenta nelle periferie delle grandi città, il lavoro diminuisce ed aumentano lo sfruttamento, le privatizzazioni dei servizi,   magari si pensa che la piccola delinquenza sia una valvola di sfogo che si può controllare, invece di  fornire vere occasioni di riscatto e così avviene anche nelle carceri, oberate non di attività ma di detenuti riavviabili attraverso percorsi alternativi.
Così un impegno curativo e preventivo come la psicoterapia si esercita in una società che non si cura, e i mali della esistenza si curano collettivamente, non col solo intervento medico, così in libertà così in carcere. Succede una cosa molto brutta: l’assistenza psicologica va sempre più sul mercato, prosperano gli psicologi online, a prezzi non sempre modici, aumenta l’uso degli psicofarmaci dentro e fuori. Finchè, mentre la sanità versa nelle condizioni di cui sopra, la medicalizzazione entra in commercio con X Factor.

Intanto, a fine settembre, l’Ordine degli psicologi si divide. Con un voto a maggioranza, 9.034 sì contro 7.617 no, l’ODP ha proceduto alla modifica dell’articolo 24, che riguarda il consenso informato sanitario nei confronti delle persone adulte capaci e l’art. 31, che riguarda i minori. Ora, sempre nell’intenzione dell’Ordine, nel caso in cui il o la psicoterapeuta ritenga necessario il trattamento sanitario, sempre psicologico, di un paziente anche senza consenso informato del paziente o del genitore, il trattamento stesso potrà essere deciso su avallo della sola autorità giudiziaria.
È solo un rendersi più disponibili, o piuttosto uno spingere verso la possibilità di inviare alla cura più facilmente un cittadino, senza il suo consenso?
È invece, ancora di più, una corsa verso la medicalizzazione “specializzata”, staccata dal resto della società e sollevandola dai suoi compiti?

Mancano gli psicologi nella società, nella scuola, nelle carceri, ma non è col mettersi sul mercato in maniera slegata dagli altri attori che si risolve una parte dei problemi.
Tutto il disagio, reale e crescente, deve essere affrontato da più Stato e meno mercato anche qui, è non è uno slogan che semplifica, ma arricchisce.

Per queste ragioni, trattate attraverso alcuni esempi e precise statistiche, abbiamo detto all’inizio che si tratta di materia di tutti e per tutti, perché non c’è male peggiore quello di essere malato di povertà, di altre patologie e non avere senso del proprio vivere, essere espropriati della propria persona.
Così ci avevano insegnato gli anni ’60 e ’70. In quegli anni, in parallelo con la rimessa in discussione dei mezzi di produzione, della distribuzione delle ricchezze, con il nuovo desiderio di democrazia, di partecipazione, si erano sviluppate scuole di pensiero sperimentali che avevano portato anche alla chiusura dei manicomi con Basaglia nel 1978 e era stata messa in forte discussione la tendenza a medicalizzare i disagi.
In contrasto con la vecchia scuola della “normalizzazione” i disagi erano entrati a fare parte della società da cui nascevano e nella quale erano immersi; la risposta diveniva  l’agire collettivo degli insegnanti, dei genitori, di tutto il corpo ausiliario delle scuole.
Personaggi coraggiosi e coerenti come Luisa Muraro e Elvio Fachinelli che hanno fatto della militanza nel campo del disagio e del femminismo la loro vita, si sono sentiti in dovere di ricordare che, proprio riguardo ai giovani, già così fragili prima della pandemia, l’approccio medico sia riduttivo e porti a discolpare l’organizzazione della società.
Poiché questo rischio è presente anche nel  Progetto “Educare alle relazioni” per la scuola del Ministro dell’Istruzione e del Merito Giuseppe Valditara, perché verrebbe affidato solo alle equipe di psicologi, ci sentiamo di affermare che questa settorializzazione degli interventi avalli approcci solo curativi e non politici, cioè rivolti alla collettività nel suo complesso.

È necessario lo specialista, non per cancellare la ferita, ma per comprenderne le motivazioni  assieme alla classe scolastica, ai genitori, agli insegnanti.

Tornare indietro da quella cultura non sta facendo bene.

Marcello Pesarini

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1 Commento. Nuovo commento

  • Bravo Marcello, condivido pienamente le tue riflessioni, lo smantellamente della sanita’ pubblica viene da lontano, ( il Titolo V della Costituzione e cosi via, ad opera di quella sinistra ….) ed ora prosegue la corsa. E’ diventato un lusso curarsi.

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