“Il collasso climatico è iniziato.” La frase non è mia né quella di un attivista climatico dalla testa calda. È del segretario generale dell’ONU, António Guterres, che sembra avere la buona abitudine di non smentire i dati. Nello specifico, questi:
Luglio e agosto sono stati i mesi più caldi da quando esistono le registrazioni e nel mese di luglio è stato superato il limite di 1,5ºC proposto nell’Accordo nazionale per il 2100. Il collasso climatico è iniziato e, tuttavia, sono stati segnalati record di temperatura come naturali, eventi inevitabili e perfino curiosi, come qualcosa con cui bisogna convivere. Sembra che abbiamo dimenticato la sana abitudine di chiederci il perché delle cose.
Per farlo, attingo ai paradossi. Mi piacciono perché funzionano come le crepe in un muro che si frammenta: lasciano passare la luce e, così facendo, rivelano ciò che l’oscurità nasconde. Nel capitalismo contemporaneo il cambiamento climatico è la frattura metabolica che non può essere evitata e quindi la realtà si scontra con paradossi insormontabili:
In Europa, i Paesi che dichiarano di voler ridurre maggiormente le emissioni di CO2 sono gli stessi che aumentano il consumo di petrolio. Le tiepide misure per fermare il cambiamento climatico sono in regressione con la scusa della guerra e, tuttavia, la crisi climatica è sentita dalla maggioranza degli europei come una minaccia urgente (77%).
In un’estate in cui il cambiamento climatico è un fatto lampante, in Europa cade seriamente l’intenzione di votare per i Verdi e vorrei soffermarmi su questo paradosso. Tutti i sondaggi sulle elezioni europee mostrano un calo della rappresentanza dei partiti verdi tra il 30 e il 40%. Vi lascio quello fatto da Der eüropaische Föderalist , ma potete consultarne altri perché il trend è chiaro, da 72 seggi a 42:
Mi concentro sulla caduta dei partiti verdi perché mi sembra rilevante per capire cosa sta accadendo nel nostro tempo e per questo azzardo due cause: la guerra in Ucraina e l’inizio della fine del mito del capitalismo verde o New Green Deal.
Guerra e cambiamento climatico
La posizione di molti partiti verdi nei confronti della guerra in Ucraina è, in generale, chiaramente bellicista. Il caso paradigmatico è quello dei Verdi tedeschi che arrivano al guerrafondaio e vi assicuro che non esagero. Non tutti i partiti verdi hanno dimostrato così tanto la loro affiliazione a favore della guerra, ma la leadership dei verdi tedeschi, attualmente in calo nei sondaggi, paga il conto. Immagino che non sia d’aiuto il fatto che abbiano attaccato gli attivisti che volevano fermare l’espansione di una gigantesca miniera di carbone a cielo aperto a Lützerath. Entrambi gli elementi vengono percepiti, con una certa logica se mi permettete, come minimo come poco ecologici.
Il capitalismo verde non esiste
Ma al di là del rapporto tra guerra e crisi energetica, emerge anche che le misure che ci sono state vendute per fermare la catastrofe climatica diventano ovvie, puramente inefficaci, e che potrebbero essere riassunte così: il miracolo tecnologico sostituirà l’energia fossile, così potremo vivere esattamente allo stesso modo utilizzando solo energia pulita e per questo il processo avverrà attraverso un progressivo disaccoppiamento settoriale basato su ingenti investimenti pubblici in aziende verdi. Questa è la proposta del New Green Deal, una transizione energetica all’interno del mercato.
Il problema di questo approccio molto comodo (comodo perché non ti chiede nulla) è un altro paradosso scientificamente provato. Ho già detto che mi piacciono i paradossi, in questo caso il paradosso di Jevons.
Jevons, un economista inglese del XIX secolo, dimostrò che migliorando l’efficienza e il rendimento del carbone, non si consumava di meno, ma di più. Ha cioè dimostrato che l’introduzione di tecnologie che migliorano l’efficienza energetica non fa diminuire né la sua produzione né i suoi consumi, anzi. Questo è ciò che accade con le energie rinnovabili: mai nella storia è stata prodotta così tanta energia eppure la produzione e il consumo di energie fossili è alle stelle.
Investire nelle energie rinnovabili è essenziale per fermare il cambiamento climatico (così come nelle tecnologie socialmente utili), ma finché non viene vietato l’uso dei combustibili fossili, questi non agiscono come sostituti, ma piuttosto come complementi, che ampliano la capacità di consumo energetico di un sistema che ha bisogno di crescere illimitatamente.
La stessa cosa accade con le auto elettriche, sempre più grandi e costose poiché è la forma che il capitale ha trovato come nicchia di accumulazione: auto enormi che richiedono enormi quantità di materiali per essere prodotte. Il mercato, ancora una volta, dà priorità al valore di scambio rispetto al valore d’uso e quindi è letteralmente impossibile fermare il riscaldamento del pianeta. Per questo motivo neanche il New Green Deal funzionerà, anzi potrebbe avere l’effetto opposto.
Il capitalismo è il problema e non vederlo è una forma di negazionismo. In altre parole, è impossibile per il libero mercato ridurre le emissioni di CO2 a livelli che garantiscano la vita come la conosciamo, non perché non voglia, ma perché non può.
Ecco perché c’è una rinascita del pensiero critico; da decenni non si svolgevano dibattiti così interessanti sulle teorie della decrescita, sui diversi modi di produrre, consumare, decolonizzare… Beyond capitalism comincia a essere una tendenza accademica: si discute sulle società postcapitaliste e su come dovrebbero essere, come organizzare l’economia e la politica per garantire una vita dignitosa su un pianeta di cui prendersi cura e sul quale prendersi cura di noi stessi.
Le proposte ci sono e sono stimolanti, ma ve ne parlerò la prossima settimana.
Marga Ferré
Co-presidente di Transform Europe
*traduzione a cura di Franco Ferrari
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