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Capitalismo e scienza economica

Riprendiamo la recensione al nuovo libro di Andrea Fumagalli «Valore, moneta, tecnologia» e un contributo dell’autore. –

Il libro pone al centro della sua analisi i tre problemi su cui è nata la scienza economica agli albori del capitalismo: valore e accumulazione, ruolo della moneta e progresso tecnologico. Tre variabili che, pur avendo determinato lo sviluppo del capitalismo, oggi non sono affatto al centro dell’analisi del pensiero economico. Per il neoliberismo, infatti, la moneta è neutrale, il progresso tecnologico è determinato dalla scienza, il tema dell’accumulazione non si pone e il valore si crea solo nella fase della circolazione della merce. Qui, al contrario, l’attenzione è posta sulla natura intrinsecamente instabile del modo di produzione capitalistico, inteso come un’economia monetaria di produzione, dinamica, in grado di creare continuamente accumulazione e ricchezza. Un’introduzione all’economia politica per capire il presente del denaro, dello sfruttamento, delle crisi.

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Introduzione allo studio dell’economia politica Questa settimana ospitiamo un contributo di Andrea Fumagalli, economista ed interlocutore privilegiato della rubrica Transuenze, che anticipa il libro «Valore, moneta, tecnologia» in uscita per la collana Input. Si tratta di un articolo di introduzione allo studio della storia dell’economia politica, propriamente formativo in quanto concepito per coloro che si approcciano allo studio dell’economia. Crediamo che un contributo teorico di questo tipo possa aiutarci ad analizzare le trasformazioni del lavoro e della produzione.

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«Con la frantumazione della filosofia morale in quattro branche distinte e autonome (la teologia naturale, l’etica, la giurisprudenza e l’economia politica), preconizzata da Francis Hutchenson e resa canonica dal suo ben più celebre allievo, Adam Smith, prende avvio la strana storia di un’affascinante scommessa intellettuale: la ricerca del senso e del fine del lavoro umano alla luce di una rinnovata ragion pura (la “razionalità economica”), indipendente dalle suggestioni evocate dall’antica condanna biblica, e di una pressante ragion pratica (“l’analisi sociale”) imposta dall’insorgere del capitalismo come modo di produzione storicamente determinato». Così, con le efficaci parole di Francesco Campanella [1], si può enunciare la nascita dell’economia politica come disciplina umanistica e sociale a sé stante. Parliamo di disciplina umanistica e sociale, perché l’oggetto di studio è l’analisi dell’evoluzione dei rapporti economici tra gli esseri umani. E in quanto disciplina umanistica, l’analisi economica ha sempre presentato punti di vista e metodologie d’analisi diverse e spesso contrapposte. Sono due i principali approcci allo studio dell’economia politica, fra loro alternativi e non compatibili, che hanno caratterizzato il dibattito economico contemporaneo, a partire alla nascita dell’economia politica con Adam Smith: all’approccio definito dell’Equilibrio Economico Generale (EEG) o individualistico ̶ che a partire dai primi decenni è divenuto dominante e controlla il meccanismo di cooptazione nella ricerca e nelle università, soprattutto anglosassoni ̶ si contrappone quello «eterodosso-storico», che fa riferimento all’idea di economia politica come scienza sociale non riducibile ad un analisi individualistica, che ha le sue radici nel pensiero classico del XIX secolo, all’origine della stessa scienza economica.

L’approccio dominante: la teoria dell’equilibrio economico generale (economia di scambio)

Per comprendere meglio la logica e la metodologia d’analisi di una scuola di pensiero è necessario evidenziare le ipotesi fondamentali che ne stanno all’origine: i cosiddetti «fundamentals». Si tratta di ipotesi di base che spesso non vengono ricordati e che vale la pena approfondire perché da esse deriva il tipo di visione del processo economico che si studia.

Nel campo della scienza economica, i fundamentals consentono, in primo luogo, di delineare «la teoria del comportamento umano e/o sociale» che sta alla base dell’analisi teorica e, in secondo luogo, di definire gli strumenti analitici, ovvero la «metodologia», utilizzati per argomentare il ragionamento analitico.

Nel caso della teoria individualistica (EEG), tali fundamentals possono essere riassunti come segue:

La teoria individualista dell’EEG ricostruisce il funzionamento dell’economia come risultato di una miriade di decisioni individuali, decisioni che ogni soggetto prende in modo indipendente e seguendo le proprie au­tonome finalità. Essa ritiene che la società sia com­posta da individui i quali, pur svolgendo funzioni economiche diverse (esistono, imprenditori, lavoratori, consumatori, risparmiatori, e via dicendo), hanno tutti accesso al mercato su un piano di parità. Il processo economico che viene decritto non é altro che la risultante (tramite semplice sommatoria) dei comportamenti individuali. Esso rappresenta la descrizione di una società «atomistica».

Comportamento razionale. La teoria individualista dell’EEG suppone che ogni individuo si comporti in modo razionale e cioè cercando di massimizzare il proprio benessere nel rispetto del proprio vincolo di spesa (il consumatore ricerca la massima uti­lità, l’imprenditore il massimo profitto, e così via). Il contenuto specifico delle scelte individuali può variare a seconda delle pre­ferenze individuali, ma il principio generale della razionalità resta valido.

La scienza economica studia quindi l’attività economica di un individuo razionale. Si postula che l’agire economico – quello dettato alla razionalità dell’homo oeconomicus – abbia come finalità principe l’ottenimento della massima utilità individuale (teoria del comportamento utilitaristico), in un contesto di «mutua indifferenza» (cioè in un contesto in cui non vengono presi in considerazione gli effetti sugli atri individui del proprio comportamento utilitaristico [2]). Tale fundamental – uno dei più importanti anche nella moderna teoria economica – si declina in modi diversi a seconda della diversa funzione economica svolta: per il consumatore si tratta della massimizzazione della propria «funzione di utilità» derivante dall’esigere diritti di proprietà sui beni di consumo; per il produttore si tratta della «massimizzazione del profitto», per lo Stato si tratta della «massimizzazione della funzione di benessere sociale», ecc.). In tutti i casi, tuttavia, si realizza tramite l’attività di scambio. È lo scambio economico, le sue modalità e i risultati che comporta a costituire la ragione della scienza economica.

Lo scambio economico viene analizzato come scambio tra individui, che, in condizioni di pari opportunità, liberamente decidono il passaggio di diritti di proprietà privata. Le merci oggetto di scambio devono essere perciò «rivali» (il loro consumo da parte di un individuo implica l’impossibilità per un altro individuo di consumarlo allo stesso tempo) e quindi «escludibili» (una volta che il bene è stato acquistato, non è possibile la fruizione da parte di un altro individuo). Tutta l’attività economica si riduce a attività di scambio, ovvero di allocazione dei beni esistenti. Poiché il luogo dello scambio economico è il mercato, la teoria dell’EEG descrive il funzionamento di un’economia di mercato.

Validità generale delle teoria economica. Poiché la teoria economica è basata sull’assunto del comportamento razionale di tutti i soggetti, i risultati che essa raggiunge possiedono validità generale, e possono applicarsi alle situazioni storiche, ambientali e istituzionali più svariate (in altri ter­mini non esistono teorie economiche diverse per l’economia feudale o per l’economia capitalistica di mercato, ma una sola ed unica teoria).

Il processo economico è rappresentabile come processo lineare. Poiché le re­gole del mercato sono uguali per tutti e i soggetti contrattano nel mercato in condizioni di parità, l’attività economica non è una lotta fra uomini o fra classi sociali contrapposte, bensì una lotta fra uomo e natura. In questa lotta incessante, l’uomo cerca di soddisfare al meglio le proprie esigenze, e la natura inesora­bile oppone la scarsità delle risorse disponibili. L’attività economica è descritta come un processo lineare, che parte dalle risorse naturali, le converte in beni intermedi, poi in beni finali (o beni di consumo), i quali vengono infine distrutti per soddisfare i bisogni del consumatore. Tale linearità del processo economico consente di poter ridurre l’analisi del processo economico ad un modello di equazioni simultanee, al cui interno può esistere un «tempo logico» ma non un «tempo storico». La storia non conta.

Centralità del concetto di equilibrio. L’attività di scambio consente sempre il raggiungimento di una posizione di equilibrio, definita dal livello di prezzo che consente l’uguaglianza tra domanda e offerta (prezzo di equilibrio). La finalità ultima della teoria dell’EEG è o studio delle caratteristiche di tale posizione di equilibrio, prima a livello individuale (piano «microeconomico»), poi a livello di settore merceologico (piano «mesoeconomico» o equilibrio parziale), quindi a livello generale e sociale (piano «macroeconomico»).

Stabilità ed equità. Il sistema economico, essendo costituito da un insieme di soggetti che hanno accesso al mercato su un piano di parità, possiede (purché il mercato funzioni in regime di libera concorrenza e «perfetta e completa informazione») requisiti di stabilità e di equità. In altri termini, i mercati sono perfettamente in grado di funzionare da soli, senza alcun intervento regolatore esterno. Dalle contrattazioni di mercato (attività di scambio) ogni partecipante trae una re­munerazione che, essendo corrispondente al suo contributo produttivo, è anche equa (il lavoratore è pagato secondo la sua «pro­duttività marginale», e via dicendo). È quindi da escludere che il mercato dia luogo a fenomeni di sfruttamento da parte di alcuni soggetti a danno di altri. Al contrario, una economia di mercato è una economia aperta, nella quale tutti hanno le medesime possibilità di lavorare e di guadagnare e ognuno raggiunge la posizione che merita.

Sovranità del consumatore. La teoria individualista dell’EEG si sforza di mostrare che il mercato, purché di concorrenza perfetta, è in grado di effettuare una uti­lizzazione ottima delle risorse, nel senso che le contrattazioni di mercato conducono ad utilizzare le risorse scarse disponibili in modo da realizzare la massima soddisfazione per i consu­matori. Nel mercato di concorrenza perfetta vige la sovranità del consumatore perché sono le sue scelte a determinare le decisioni degli imprenditori riguardo ai tipi e alle quantità dei beni da produrre.

Neutralità della moneta. Gli scambi che avvengono in un mercato di concorrenza perfetta conducono ad un insieme di prezzi relativi che realizza l’equilibrio soggettivo di ogni sog­getto (e cioè la massimizzazione dell’utilità o del profitto indi­viduale) e al tempo stesso l’equilibrio oggettivo del mercato (e cioè l’eguaglianza fra domanda e offerta). La circolazione monetaria, mentre ha la funzione di rendere più agevoli gli scambi e di evitare gli inconvenienti del baratto, non modifica le quantità prodotte o i prezzi relativi. Se la moneta modifica l’equilibrio del mercato, ciò signi­fica che il sistema monetario viene gestito in modo scorretto dalle autorità monetarie. L’insieme dei prezzi relativi può quindi essere analizzato anche supponendo che l’economia funzioni senza moneta, mentre la quantità di moneta esistente determina soltanto il livello dei prezzi monetari.

Neutralità della tecnologia. L’attività di produzione può essere analizzata studiando l’attività di scambio che si determina sui mercati dei fattori produttivi, dal momento che le condizioni tecniche vengono supposte esogene e date. I fattori produttivi considerati sono quelli «naturali», ovvero a terra e il lavoro, il cui livello è soggetto a scarsità.

Definizione di scienza economica. «Il problema economico si riduce quindi allo studio delle condizioni di allocazione ottimale individuale (tra fini alternativi) di risorse naturali scarse date a priori». Questa famosa definizione di economia politica, che risale a L. Robbins [3] (1898-1984) e che oggi è diventata la definizione per eccellenza della scienza economica contiene in nuce, di fatto, i principali fundamentals dell’approccio dell’EEG. E’ di fatto una definizione che già presuppone l’orientamento metodologico e analitico della scienza economica: è dunque una definizione «di parte». Ogni termine utilizzato, infatti, è l’esito di una scelta di metodo e di un’opzione teorica. Il termine «allocazione» implica che il processo economico è riducibile solo ad attività di scambio: è lo scambio – ovvero, il consumo – che prevale sulla produzione, sull’investimento, sul finanziamento. Siamo in presenza di un economia di scambio. Gli attributi «ottimale» e «individuale» indicano che lo scambio è l’esito di scelte razionali massimizzanti (teoria utilitaristica) fatte a livello esclusivamente individuale, senza tener conto dei possibili effetti collaterali («mutua indifferenza»). La locuzione «risorse naturali date» ci ricorda che tutti i beni che stanno alla base del benessere individuale derivano da risorse date in natura, la cui quantità è indipendente all’agire discrezionale dell’uomo. Di conseguenza, poiché la terrà (e la natura) è finita, si tratta di risorse per definizione «scarse».

L’approccio dell’EEG – come abbiamo ricordato – fonda la propria essenza sul primato dell’individuo e sulla possibilità che possa essere verificato una «teoria oggettiva del comportamento individuale». Si tratta di un tema – di natura filosofica – che ha sempre innervato il pensiero umano e che trova nella seconda metà del XIX secolo nuovo slancio in seguito alla diffusione, da un lato, nel campo epistemologico del paradigma dell’individualismo metodologico [4] e, dall’altro, nel campo filosofico del paradigma dell’utilitarismo. In realtà, teorie economiche basate sul principio dell’individualismo metodologico sono state elaborate lungo tutta la storia del pensiero economico. Si possono ricordare i nomi di F. Galiani (1728-1787) in Italia, di J.B. Say (1767-1832) e di A. Cournot (1801-1877) in Francia, per taluni aspetti, di A. Smith (1723-1790) e di D. Ricardo (1772-1823) e di W.N. Senior (1790-1864) in Gran Bretagna. Questa tendenza interpretativa raggiunse il suo apo­geo nel cinquantennio che va dal 1870 al 1918. In quell’epoca la scuola individualista, oggi più nota col nome di «scuola neoclassica», divenne la scuola dominante in tutto il mondo: C. Menger (1840.1921) ed E. BoehmBawerk (1851-1914) in Austria, G. Cassel (1866-1945) e, in parte, K. Wicksell (1851-1926), in Svezia, W.S. Je­vons (1835-1882), A. Marshall (1842-1924) e A.C. Pigou (1877-1959) in Gran Bretagna, M. Pantaleoni (1857-1924), V. Pareto (1848-1923) e L. Einaudi (1874-1961) in Italia, J.B. Clark (1847-1938) e I. Fisher (1867-1947) negli Stati Uniti ne furono i rappresentanti più eminenti. Al giorno d’oggi, l’analisi individualista dell’EEG ha ripreso nuovo vi­gore con le scuole dei nuovi classici e in parte con la scuola dei neokeynesiani (questi ultimi si dichiarano seguaci del pensiero di J.M. Keynes, ma insistono nel costruire la teoria macroeco­nomica partendo da fondamenti rigorosamente microeconomici). Nel corso del secondo dopoguerra ebbe la preminenza accademica l’approccio definito della sintesi neoclassica di Keynes (J. Hicks, 1904-1989, P.A. Samuelson, nato nel 1915, e F. Modigliani, 1918-2003 ne furono i principali interpreti), teso a costruire un sistema di equilibrio economico generale in grado di giustificare l’esistenza di un possibile equilibrio di sottoccupazione. La sintesi neoclassica di Keynes ha rappresentato il pensiero economico dominante nel periodo di egemonia del paradigma socio-economico fordista [5], nel quale l’intervento keynesiano di welfare favoriva il processo di accumulazione fondato sulla produzione e lo scambio di beni privati. Con la crisi del fordismo, nella prima metà degli anni Settanta, ritornano in auge le teorie dell’EEG più schierate a favore del libero mercato e contrarie al ruolo di intervento discrezionale dello Stato. E’ a partire dagli anni ’80 sino ad oggi che l’approccio individualista ha ripreso il suo pieno vigore grazie alle scuole monetariste (il cui capostipite è stato M. Friedman, 1912-2006 con gli epigoni della cd. «Scuola di Chicago») e delle aspettative razionale (i cui maggiori esponenti sono R. Lucas, nato nel 1937 e T. Sargent, nato nel 1943, che si sforzano di dimostrare come sia possibile raggiungere un equilibrio ottimale grazie alle sole forze del libero scambio di mercato. L’attuale crisi economico-finanziaria, dopo anni di politiche di deregulation in nome del ibero e ottimale funzionamento degli scambi di mercato, ha messo in crisi le posizioni più liberiste a vantaggio di quelle di derivazione più keynesiana. Tuttavia, i fundamentals della teoria dell’EEG, pur rielaborati in presenza di mercati non concorrenziali e in condizioni di informazione incompleta e asimmetrica, non sono stati sottoposti a una critica profonda. Ciò di cui si discute è piuttosto la necessità di introdurre regole più o meno istituzionali.

L’approccio eterodosso: l’economia politica come scienza che descrive il sistema capitalistico di produzione (economia monetaria di produzione)

L’impostazione alternativa (e originaria) della macroeconomia si trova presso gli economisti classici (Adam Smith, 1723-1790, David Ricardo 1772-1823, Thomas R. Malthus, 1766-1834), nel pensiero di Karl Marx (1818-1883), e in una serie di autori successivi, da Knut Wicksell (1851-1926), a Joseph Schumpeter (1883-1950) a John Maynard Keynes (1883-1946).

Tutti costoro hanno in comune l’idea che la macroeconomia debba studiare non già il comportamento del singolo individuo, ma quello dei gruppi che compongono la società e ne determinano la struttura. Per comprendere il funzionamento del sistema economico, dobbiamo chiederci quali sono le condizioni necessarie af­finché la sua struttura si perpetui nel tempo, senza degenerare ed estinguersi. Una volta accertate queste condizioni di riproduzione, possiamo dedurne il com­portamento che devono tenere i singoli (lavoratori, consuma­tori, imprese), affinché la struttura considerata continui ad esistere.

L’approccio eterodosso presenta una visione della scienza economica che è diametralmente opposta e inconciliabile con l’approccio individua-listica dell’EEG. I principali punti sono i seguenti:

Secondo l’approccio eterodosso, la società è formata da gruppi distinti e contrapposti, ciascuno dei quali occupa una posizione diversa e svolge ruoli distinti. Il processo economico è costituito da diverse funzioni economiche, ciascuna delle quali presuppone un ruolo sociale ben definito: la fase del finanziamento (che consente l’avvio della produzione) viene svolta dal sistema creditizio e dai rentier, quella della produzione è ad appannaggio della classe degli imprenditori, l’attività di consumo è prevalentemente svolta dalle classi lavoratrici. Nella visione de­gli economisti classici, i proprietari terrieri si contrappongono agli im­prenditori-capitalisti, i quali possiedono i mezzi di produzione e sono in grado di gestire un’attività produttiva, nonché ai lavoratori, i quali altro non possono fare che vendere il pro­prio lavoro in cambio di un salario. Nella macroeconomia moderna, la classe dei proprietari terrieri scompare e i gruppi di operatori presi in considerazione sono banche, imprese e lavoratori. In questa teoria, l’analisi del comportamento dei gruppi sociali prende il posto dell’analisi individuale: soltanto dopo aver sta­bilito i confini tra le classi e gli obiettivi e le regole di azione di ciascuna classe è possibile ricostruire il funzionamento dell’intero processo eco­nomico. Tale strutturazione sociale è l’esito dell’evoluzione storica. Occorre quindi sempre prendere in considerazione il momento storico e le caratteristiche geografico-spaziali.

Il comportamento è determinato dall’appartenenza sociale (di «classe»). In questa visione, il comportamento di ciascuna classe è tale da realizzare la riproduzione del sistema. Gli imprenditori, che hanno la disponibilità delle risorse produttive, non sono mossi dalla finalità di soddisfare le proprie esigenze personali, bensì dalla finalità di accumulare ric­chezza. Il lavoratore, invece, pensa ad assicurare la propria sopravvivenza vendendo il proprio lavoro. Non esiste un comportamento comune a tutti i sog­getti: al contrario le scelte di ogni soggetto sono condizionate dalla sua ap­partenenza di classe. Proprio perché il comportamento degli individui è fortemente influenzato dalla struttura sociale di appartenenza, il tipo di razionalità postulato non è quella massimizzante, bensì procedurale. Sono le procedure, ovvero le abitudini consolidate nel tempo e nello spazio (le routines), a delineare la razionalità economica dei soggetti. Non vi è quindi nessun calcolo di massimizzazione, più o meno vincolato, che spiega l’agire economico. Ciò significa che non è possibile ipotizzare una regola comportamentale valida per tutti e quindi «oggettiva»: sono le dinamiche soggettive e psicologiche a determinare i comportamenti e come tale, essi non sono modellizzabili secondo la logica formale.

L’evoluzione storica definisce i limiti della teoria economica. La storia dell’umanità ha conosciuto diverse strutture economiche, dall’economia schiavistica all’economia feudale, all’economia capitalistica di mercato, all’economia socialista. Ognuna di queste forme storiche esige una teoria economica diversa: non esiste quindi una teoria che sia in grado di spiegare il funzionamento di tutti i sistemi economici e che possieda validità universale.

Il contesto economico attuale nei paesi occidentali, a seguito della rivoluzione industriale inglese e della rivoluzione francese di fine secolo XVIII, è caratterizzato dalla preminenza del sistema capitalistico di produzione. Ciò significa che la teoria economica ha come ragione d’essere lo studio e l’analisi del capitalismo. Il sistema capitalistico si svolge sulla base di un processo economico costituito da alcune fasi sequenziali e unidirezionali: finanziamento, accumulazione (produzione), realizzazione (consumo). Gli imprenditori, come si è detto, sono mossi dall’intento di accrescere la propria ricchezza. Poiché essi gestiscono le attività produttive, questa diventa anche la finalità dell’intero processo economico. L’imprenditore acquista la­voro allo scopo di ottenere un prodotto, venderlo e realizzare un profitto. Lo scopo della produzione è la realizzazione del pro­fitto, non già il benessere dei consumatori. Il con­sumo ha la sola funzione di tenere in vita il lavoratore, che per il capitalista è una risorsa produttiva come le altre. L’attività economica si configura come un processo circolare: dalla produzione di merci, al consumo (che serve alla riprodu­zione dei lavoratori), al conseguimento di profitti, all’acquisto di nuove risorse, produzione di nuove merci, e così via in un ci­clo continuo, in grado di sviluppare attività di accumulazione.

Instabilità e precarietà. La conflittualità tra le classi, l’incertezza del futuro e la concorrenza fra le imprese determina fluttuazioni ricorrenti dell’attività economica (ondate di prosperità seguite da fasi di depressione, fallimenti e disoccupazione).

Mancanza di un criterio di efficienza. Poiché la società è caratterizzata dal conflitto distributivo tra i diversi gruppi di operatori, non è possibile individuare un interesse generale della collettività. Di conseguenza, non è possibile stabilire un criterio di efficienza di carattere generale [6].

Ruolo essenziale della moneta. La teoria eterodossa parte dalla constatazione che l’economia moderna è un’e­conomia monetaria. Ciò comporta che tutti gli scambi vengono regolati in moneta e pone immediatamente il problema di stabilire come la moneta venga creata e introdotta nel sistema economico. Nelle economie moderne la moneta viene creata dal sistema bancario e messa a disposizione degli operatori attraverso la concessione di crediti. Poiché soltanto chi dispone di moneta può accedere al mercato, le decisioni con cui le banche conce­dono credito ad alcuni soggetti e non ad altri e la misura in cui il credito viene concesso diventano decisive per la configurazione finale del sistema economico. La creazione di moneta contribuisce quindi a determinare le quantità pro­dotte e la distribuzione del reddito nazionale. Di conseguenza, la mo­neta non può essere neutrale. Teorie economiche basate sul conflitto tra i gruppi sociali risalgono assai indietro nel tempo. Si può ricordare il pen­siero di T. Hobbes (15881679), di B. Mandeville (1670-1733), la teoria economica di J.C. Sismondi (1773-1842), di T.R. Malthus (17661834) e, in particolare, di K. Marx (1818-1883). In corrispondenza con il successo della teoria individualista dopo il 1870, la teoria eterodossa perde progressivamente vigore e resta patrimonio quasi esclusi­vo dei continuatori del pensiero di Marx, fra i quali vanno ricordati K. Kautsky (1854-1938), R.Luxemburg (1870-1919), M. Tugan Baranovsky (1865-1919), R. Hilferding (1877-1941). Nel corso del Novecento tuttavia, accanto alla scuola dominante, emerge un gruppo di studiosi estranei al marxismo, i quali respingono l’approccio individualistico della scuola neoclassica e riscoprono l’importanza dei concetti di gruppo sociale e di conflitto per l’analisi economica. I nomi più eminenti di questo gruppo sono quelli di K. Wicksell (1851-1926), di J.A. Schumpeter (1883-1950), di M. Kalecki (1899-1970) e, soprattutto, di J.M. Keynes (1883-1946). Di fatto, l’approccio eterodosso, per il quale l’economia politica è lo studio del sistema economico capitalistico, alias «economia monetaria di produzione», si fonda sul filone di pensiero che unisce i nomi di Marx, Schumpeter e Keynes [7].

 

 

Note

[1] F. Campanella, «Lavoro», in G. Lunghini (a cura di), Dizionario di Economia Politica, Bollati Boringhieri, Torino, 1982, vol. I, pag. 93. Francesco Campanella, prematuramente scomparso per una grave malattia, è stato docente di Economia del Lavoro presso l’Università degli studi di Pavia.

[2] In inglese si utilizza l’attributo «selfish», il cui significato implica il perseguimento di un comportamento del tutto auto-referenziale. La traduzione italiana sarebbe «egoista», ma tale termine nella nostra lingua dà adito a un giudizio di valore negativo, giudizio che invece non è presente nel termine inglese. Da qui la necessità di tradurre «selfish» con il termine «utilitaristico» o «auto-referenziale». La diffusione nel pensiero economico dell’utilitarismo come filosofia radicale e teoria del comportamento umano, a vantaggio dell’uomo «borghese» in opposizione alle tradizioni cattoliche e aristocratiche, è essenzialmente dovuto a J.Stuart Mill (tramite la rivista Westminster Review, fondata nel 1823), il cui padre, J.Mill, era stato segretario di. J. Bentham (1748-1832), filosofo inglese radicale, padre della corrente filosofica dell’utilitarismo, nonché ideatore del modello carcerario del «Panoptikon», preso come modello e figura del potere nella società contemporanea dal filosofo francese M. Foucault (cfr. M. Foucault, Sorvegliare e punire, Einaudi, Torino, 1993).

[3] L. Robbins, Natura e importanza della scienza economica, Torino, Utet, 1953 (orig. 1932).

[4] A Vercelli, «Il complesso di Euclide nella filosofia della scienza e nella metodologia economica» in AA.VV., La Scienza Impropria, Milano, 1984. Per individualismo metodologico si intende una corrente di pensiero secondo la quale ogni azione è riconducibile ad un’azione individuale. I fenomeni della società e le istituzioni vanno pertanto analizzati come insieme di azioni individuali. L’individualismo metodologico rappresenta una delle correnti di pensiero che si oppongono alle scuole strutturalistiche e storicistiche le quali pongono più l’accento sui condizionamenti istituzionali e storico-sociali che sull’interazione e trova le sue origini nell’economia politica e nella filosofia.

[5] Con il termine «fordismo» si usa indicare il modo di regolazione sociale che ha caratterizzato il periodo del secondo dopoguerra del XX secolo nei paesi a capitalismo avanzato (1945-75). Esso si fonda, dal lato della produzione, su una peculiare forma di organizzazione di fabbrica e del lavoro basata principalmente sull’utilizzo della tecnologia della catena di montaggio al fine di incrementare la produttività (taylorismo) e, dal lato della distribuzione, sul compromesso sociale (ma spesso conflittuale) tra capitale e lavoro per la distribuzione dei guadagni di produttività. Cfr. A. Fumagalli, «Testo su Fordismo e sua crisi: dal Fordismo all’accumulazione flessibile: un veloce excursus storico».

[6] La discussione sull’esistenza di un criterio di efficienza sociale che derivi alle scelte individuali dei singoli agenti economici si è concluso negli anni Cinquanta del secolo scorso con l’enunciazione del «teorema dell’impossibilità» di K. Arrow (nato nel 1921). Cfr. K. Arrow, «Social Choice and Individual Values», John Wiley & Sons, Inc., New York, 1951. Secondo tale teorema, in un contesto di mutua indifferenza in presenza di scelte razionali individuali, non è possibile configurare una scelta sociale tale da soddisfare le scelte individuali. Nel 1970, applicando lo stesso principio di Arrow, l’economista indiano A. Sen (nato nel 1933) ha mostrato l’impossibilità matematica del liberismo paretiano: cfr. A. Sen. «The Impossibility of a Paretian Liberal», Journal of Political Economy, n. 78, 1970, pp 152-157.

[7] Si noti che questi tre autori hanno in comune l’anno 1883, anno di morte di Marx e anno di nascita di Schumpeter e Keynes.

 

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