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Antibiotici ed allevamenti: il nuovo regolamento europeo

di Riccardo
Rifici

La produzione di alimenti, valutata sulla base di analisi lungo il ciclo di vita, ha un peso rilevante in termini di impatti ambientali. In proposito, uno studio1 (ormai datato) della Commissione europea, assegnava oltre il 31% degli impatti ambientali complessivi alla produzione di alimenti. Questo 31% era così ripartito; Latte e derivati 9,0%, Carne di bovini 8,5%, di Maiali 5,5%, Pollame 2,0%, Altri cibi e bevande 6,0%. Questi impatti riguardano vari comparti ambientali: dalla emissione di gas serra, alla emissione di inquinanti che provocano gravi problemi agli ambienti naturali, alla fauna, e alle persone. Alla carne e ai latticini sono infatti associati i maggiori impatti ambientali: gli allevamenti sono responsabili di oltre il 14% delle emissioni di gas serra a livello globale2,dovute essenzialmente al metano e diossido di azoto e alla gestione delle deiezioni e secondo alcuni dati assorbono il 55% delle risorse idriche a livello mondiale lungo il ciclo di vita3.

Ma vi è un altro tipo di impatto forse poco considerato, almeno sino ad oggi: quello causato dall’uso massiccio di antibiotici negli allevamenti degli animali (sia in quelli di terra sia quelli dell’acquacoltura.). Nei paesi sviluppati i farmaci usati nella zootecnia rappresentano una quota elevata del totale. In alcuni paesi oltre l’80% degli antibiotici usati sono somministrati agli animali allevati 4. Questi usi spropositati non sono dovuti alla cura di animali malati, ma principalmente a ad un uso “precauzionale”. Infatti, a causa dell’eccessivo numero di animali che si affolla negli allevamenti intensivi (cosa che di per sé è già causa di grande malessere per gli stessi), si preferisce somministrare antibiotici, in grandi quantità, a scopo preventivo al fine di limitare il diffondersi di infezioni nell’allevamento, causando la morte di molti animali (in alcuni allevamenti di polli, nonostante l’uso di antibiotici, a causa dell’eccessivo affollamento si sono avute infezioni che hanno causato la morte di molte migliaia di animali in pochi giorni).

Questi antibiotici oltre a ritrovarsi nelle carni che mangiamo (se il loro uso non è stato interrotto per tempo), con le deiezioni animali finiscono negli ambienti naturali interferendo con la vita di animali piante e, soprattutto, di microorganismi. Questa pratica, oltre ad essere non molto efficace ad evitare l’insorgere di infezioni negli animali, è causa del gravissimo problema dello sviluppo di ceppi di batteri resistenti agli antibiotici.

Questa è una preoccupazione che in modo sempre maggiore affligge i medici che si trovano sempre più disarmati nel combattere le infezioni batteriche.

Questo tema dopo intense discussioni è stato affrontato dalla Unione europea che, nel 2019, ha emanato il Regolamento del Parlamento e del Consiglio n. 2019/6 relativo ai medicinali veterinari. In questo regolamento viene vietato l’uso preventivo degli antibiotici che possono venir usati solo per curare animali ammalati. Questo regolamento è entrato in vigore il 28 gennaio 2022.

Ora, un po’ come nel caso dei vaccini contro il Covid (somministrati solo nei paesi occidentali), si pongono i problemi causati dalla globalizzazione. Infatti, così come il fatto di lasciare intere popolazioni senza vaccini permette l’insorgere continuo di varianti al Covid 19, il fatto positivo che i paesi della UE vietino determinati usi degli antibiotici, non ci salvaguarda dagli usi dissennati che ne fanno di molti altri paesi.

Ad esempio un articolo piuttosto preoccupato del Guardian, riporta il dibattito interno alla Gran Bretagna (che a causa della Brexit non è più soggetta ai regolamenti europei), dove si scontrano gli attivisti ambientalisti, che denunciano lo scarso impegno delle istituzioni britanniche sul tema, con i rappresentanti governativi che comunque difendono quelle che sono da loro considerate buone prassi, adottate nel paese, sufficienti a ridurre l’uso di antibiotici (va detto, in proposito che l’uso di antibiotici nei suini britannici rimane due volte e mezzo superiore per animale rispetto alla Danimarca e al Olanda!).

I problemi quindi rimangono comunque, anche nel caso si mettano in atto più rigorosi controlli sulle importazioni di carne dal resto del mondo.

In conclusione anche questa vicenda ci deve fa riflettere su tema dell’alimentazione, dove la consueta logica del profitto ci invoglia, e a volte ci costringe, a seguire comportamenti sbagliati nelle scelte alimentari che, favorendo scelte politico-economiche dei “padroni del cibo”, ci portano sempre più verso la catastrofe climatica e l’aggravamento dei pericoli sanitari (si veda in proposito il fenomeno sempre più frequente dello spillover, il passaggio di un virus da un animale selvatico all’uomo, passando per gli allevamenti intensivi) il tutto senza lontanamente risolvere il problema di oltre 800 milioni di persone che soffrono la fame!

Un’ultima annotazione al tema riguarda le posizioni dei nostri governanti e di quelli della UE, nei confronti degli accordi internazionali (come il famoso TTIP), che rischiano di vanificare Regolamenti come quello appena approvato, permettendo l’importazione di carni da paesi extra europei dove la pratica dell’uso dissennato degli antibiotici continua insieme a quella dell’uso di ormoni della crescita!

di Riccardo Rifici

  1. Environmental Impact of Products (EIPRO), Institute for Prospective Technological Studies (IPTS), Commissione Europea – Joint Research Center, 2006[]
  2. Studio FAO 2013 “Tackling climate change through livestock”[]
  3. https://waterfootprint.org/media/downloads/Mekonnen-Hoekstra-2012-WaterFootprintFarmAnimalProducts.pdf.[]
  4. https://www.who.int/news/item/07-11-2017-stop-using-antibiotics-in-healthy-animals-to-prevent-the-spread-of-antibiotic-resistance.[]
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