Il 30 agosto 2021 si è svolta una riunione straordinaria della Conferenza dei Presidenti del Parlamento Europeo (Presidente del PE e Presidenti dei Gruppi politici) con la partecipazione di Josep Borrell, Vicepresidente della Commissione Europea e Alto Rappresentante UE per gli Affari Internazionali e la Politica di Sicurezza. In assenza di comunicati ufficiali ricorriamo a notizie di stampa.
Si può desumere la posizione di Borrell da una sua intervista al Corriere della Sera. In una frase la sintesi del suo pensiero su quanto sta accadendo in Afghanistan: “Questa è in primo luogo una catastrofe per gli afghani, un fallimento per l’Occidente e un punto di svolta per le relazioni internazionali.” E poi: “come europei abbiamo la nostra parte di responsabilità, non è stata solo una guerra americana». “…c’è un certo disimpegno dell’America dall’arena mondiale. Ma dobbiamo usare questa crisi per rafforzare la relazione transatlantica, rendendola più equilibrata. Non è il momento di disimpegnarci». “«Come europei, dobbiamo usare questa crisi per imparare a lavorare di più insieme. E per rafforzare l’idea dell’autonomia strategica. Dovremmo essere in grado di muoverci anche da soli. Rafforzando le nostre capacità, rafforziamo la Nato». “come europei non siamo stati in grado di mandare seimila soldati attorno all’aeroporto per proteggere la zona. Gli americani ci sono riusciti, noi no. Per questa ragione nella ”bussola strategica” proponiamo la creazione di una Initial Entry Force europea che possa agire rapidamente nelle emergenze. La Ue dev’essere in grado di intervenire per proteggere i propri interessi quando gli americani non vogliono essere coinvolti. La nostra First Entry Force dovrebbe essere composta di cinquemila soldati in grado di mobilitarsi a chiamata rapida”.
Rispondendo all’obiezione sulla difficoltà di superare i veti di alcuni Paesi Membri: “Se non c’è unanimità, prima o poi un gruppo di Paesi deciderà di andare avanti da solo. I governi che lo vogliono non accetteranno di essere fermati … Molto si è fatto tramite accordi specifici che all’inizio erano fuori dal Trattato, come nella crisi finanziaria”. Sulla questione dei rifugiati: “I Paesi limitrofi saranno coinvolti più e prima dell’Europa. Dunque, sì: vuol dire anche dare a quel Paesi un sostegno finanziario come abbiamo fatto con la Turchia». Questo approccio appare confermato dall’ ultima riunione dei Ministri degli Interni dell’Unione.
Come è evidente, l’Alto Commissario ha precisato meglio il suo pensiero, rispetto all’incontro che aveva avuto il 19 agosto con le Commissioni Affari Esteri (AFET) e Sviluppo (DEVE) del Parlamento Europeo. Una riunione focalizzata sul problema incombente del salvataggio degli afgani che assediavano l’aeroporto di Kabul, ma in cui già Borrell aveva accennato alle questioni di prospettiva: “ci sono lezioni da imparare dal fallimento di questa operazione di costruzione della nazione. Gli Stati Uniti hanno speso 300 milioni di dollari al giorno per 20 anni, alla fine con risultati molto modesti”… “ora gli Stati Uniti si chiedono se la costruzione della nazione sia mai stata l’obiettivo”.
La Presidente del Gruppo dei Socialisti e Democratici, Iratxe Garcia Perez, non la pensa molto diversamente. A margine dell’incontro della Conferenza dei Presidenti, ha dichiarato: “Dobbiamo elaborare una strategia regionale con i vicini Uzbekistan, Tagikistan, Turkmenistan, Iran e Pakistan, per mantenere le frontiere aperte (…) Il Servizio europeo per l’azione esterna ha un ruolo importante nella gestione dei flussi di rifugiati e sugli aiuti umanitari”. Ha poi aggiunto: “I diritti delle donne in Afghanistan non sono negoziabili e qualsiasi impegno significativo dell’Ue con il nuovo governo afghano deve dipendere da questo”.
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Talvolta, nella “lezione afghana”, mi sembra che si usino parole che hanno poco senso insieme.
L’Afghanistan è una catastrofe, per tutti.
Sicuramente, gli afghani ne subiscono le sofferenze più radicali e profonde, con lo sradicamento e forse la perdita di quel pò di finta pace, garantita fin qui. Ma, anche noi siamo trascinati ad assumere quel conflitto, come qualcosa che tocca la nostra identità umana
Cosa voglia essere l’Europa, dovrebbe prendere le mosse dalla natura del fallimento dell’intervento NATO.
Si parla spesso delle enormi cifre spese quotidianamente dagli americani, come se significasse in sè qualcosa. Ma se si guarda alla qualità della spesa, al come della sua ricaduta sul territorio, molti misteri sul crollo del governo si fanno più chiari e drammatici, nel precipitare dell’Afghanista in una crisi umanitaria.
Via i soldati (senza stipendio da qualche mese), via l’economia di guerra.
Cosa hanno cercato di costruire quei miliardi spesi: un apparato di controllo.
Poco si dice sulla società afghana, sollecitata a chiudersi, a fuggire ed a non provocare i Talebani.
Se c’è una favola che l’Europa può raccontarsi, per dare un senso alla sua storia, è che ha coltivato sempre una sua passione per la libertà (la Resistenza fu un fenomeno di dimensioni europee)
Libertà borghese e individualista, ma anche socialista ed egualitaria.
Queste tradizioni sono profondamente radicate, ma di una si è cercato di far piazza pulita. E, con essa, abbiamo perso la nostra identità complessa, non riducibile e, alla fine, democratica nel suo modo storico.
Se togliamo dai discorsi sugli “interessi da proteggere” una visione del “come” della soggettività europea e del “fondamento” dell’interesse, siamo incapaci di fuoriuscire dalle logiche “alla Turca” – e l’Unione resta una milizia di dimensione regionale, come più volte dimostrato.
E’ un fatto accertato che finanzieremo ancora una volta la Turchia, di cui sappiamo esattamente l’appoggio all’ISIS contro i Kurdi, l’abuso della detenzione degli oppositori di qualunque genere, involuzione verso una lettura del Corano, fondata sul controllo, l’uscita dalla Convenzione di Istanbul – la negazione della questione di genere in Turchia.
Di fatto, rafforzeremo sosterremo l’autoritarismo, come strategia di difesa della nostra tradizione di libertà.
Comportamento suicida, anche in un approccio geopolitico, dando forza ad una potenza regionale aggressiva e competitiva.
Mi sembra evidentemente una contraddizione, non più sostenibile, in un mondo così interconnesso, in cui, alla fine, la libertà perde, per tutti.
L’occasione dell’Afghanistan è lo svincolo dal controllo USA e dall’economia militare – le armi sono – evidentemente – elemento chiave, ma ora si acquistano, mentre prima erano fornite dagli USA, insieme agli stipendi delle varie forze armate afghane (immissione di moneta liquida circolante).
E’ possibile, oggi, se si riesce ad ottenere la pace, quello che gli USA non hanno interesse alcuno a fare e che pare interessare alla Cina: sviluppare l’economia civile.
In questo l’Europa deve assumere una posizione e far valere la sua complessa eredità.