Non credo che i ragazzi e le ragazze di Baghdad, uccise in 700 dalle pallottole delle milizie sciite filoiraniane mentre manifestavano contro il regime condominiale irano-statunitense iracheno cantando “down dow Iran” piangeranno una lacrima sulla morte del presidente Ebrahim Raisi.
Né lo faranno i ragazzi e le ragazze di Teheran che hanno fatto risuonare in tutto il paese il canto Donna vita libertà che si era levato dal Kurdistan iraniano dopo la morte di Masha Jina Amini, la ventiduenne uccisa dai guardiani della virtù nel settembre 2022 per una ciocca di capelli mostrata.
Non c’è considerazione geopolitica – l’Iran è uno dei paesi più fermamente oppositori del mondo unipolare statunitense e sostenitore della causa palestinese – che possa nascondere questo fatto.
È da quando una oligarchia religiosa ha scippato la rivoluzione democratica affogandola nel sangue dei suoi protagonisti (30.000 giustiziati in odore di comunismo) che la Persia è diventata una teocrazia religiosa, come l’Arabia Saudita cui si oppone per ambizione egemonica dello spazio musulmano.
Anzi una democrazia teocratica, perché purtuttavia dalla petromonarchie la distingue l’esistenza di una reale dialettica politica e contendibilità del potere, circoscritta tuttavia all’interno di un recinto religioso da cui tra l’altro sono escluse le donne e le minoranze religiose, che, se può andare bene, o forse anche essere condiviso, nella sconfinata persia rurale e conservatrice è entrato in collisione, sempre più forte con le aspirazioni di un paese che si è urbanizzato e, soprattutto, è sempre più giovane, tanto da far descrivere il conflitto come generazionale.
Era molto giovane anche Raisi, 19 anni gli ultimi dei quali passati in una scuola religiosa di Qom quando partecipò attivamente alla detronizzazione dello Scià. Sei anni dopo era già pubblico ministero a Teheran e poi giudice nella famigerata “Commissione della morte” che fece giustiziare in segreto migliaia di dissidenti politici nelle carceri di Evin e Gohardasht vicino a Teheran nel 1988. I loro corpi non sono ancora stati ritrovati. Per questo e per la feroce repressione delle manifestazioni del 2019 Amnesty International ne chiese l’incriminazione per crimini contro l’umanità quando, da capo della magistratura, assurse alla carica di presidente dell’Iran. Le cronache lo descrivono come non brillante, ma molto incline alla fedeltà ed è la fedeltà anche in Iran una delle qualità più ricercate all’interno del circolo del potere sempre più assediato dall’interno e dall’esterno.
L’Iran da tempo è nel mirino delle amministrazioni statunitensi che non hanno mai digerito l’affronto del sequestro per 15 mesi di 52 ostaggi nell’ambasciata Usa da parte di un gruppo di studenti di Teheran che dichiaravano di voler prevenire l’organizzazione di un colpo di stato come quello con cui gli Usa rovesciarono il governo democratico di Mossadeq che aveva nazionalizzato la Anglo-Iranian Oil Company.
Da allora l’Iran è sotto sanzioni economiche. Poi gli scatenarono contro Saddam Hussein in una guerra sanguinosa durata 8 anni e che costò oltre un milione di persone. Saddam fu armato all’uopo dall’Occidente (Italia compresa). Era allora “il nostro bastardo” come lo definì il segretario alla difesa statunitense Ronald Rumsfield. Bush padre infine inserì l’Iran nell’elenco degli stati canaglia.
Eppure, l’Iran, e soprattutto il regime, ha resistito, anche lanciando un programma di sviluppo della tecnologia nucleare che ha l’evidente finalità di garantire la continuità del potere e, analogamente con l’esportazione della democrazia di stampo occidentale ha costruito un sistema di alleanze armate regionali sotto la copertura della esportazione del “Velayat e-faqih” la dottrina teologico-politica teorizzata da Khomeini che affida agli studiosi del corano la tutela dello stato.
Ma è è proprio questo assedio politico ed economico che consente, insieme al forte potenziale repressivo, al regime di sopravvivere. La storia ha ormai da tempo dimostrato che le sanzioni economiche mettono in ginocchio la popolazione, ma rafforzano i regimi repressivi consentendo di concentrare contro il nemico esterno le tensioni e chiamare all’unità nazionale.
Per questo la politica di Obama di avviare un processo di distensione con l’accordo sul nucleare del 2015 aveva fatto sperare in un allentamento della repressione interna. Per questo la ripresa delle relazioni tra Iran e Arabia Saudita mediata dalla Cina, che stava favorendo un allentamento dell’instabilità dell’area prima dello scoppio della guerra Israele-Hamas, era positiva.
Difficile dire se la morte di Raisi, e non certo attraverso le elezioni per la sua sostituzione che si terranno già in giugno, potrà avviare processi di modifica dell’assetto interno. Certo è che l’economia è in affanno e l’inflazione vola verso il 40% non solo e per le sanzioni economiche, ma anche per l’intreccio dell’élite di potere religioso con il sistema economico. L’esercito, le guardie repubblicane, le fondazioni islamiche, oltre ad essere apparti di potere, sono diventati conglomerati economici autonomi e quasi monopolisti in alcuni settori. Nello stesso tempo cresce il livello di istruzione del paese che ha una età media inferiore a 35 anni e una folla di laureati e le laureate (le donne laureate nelle discipline sono il doppio degli uomini) preme sul mercato del lavoro e su una economia bloccata.
Forse saranno proprio loro, dopo che l’Occidente ci ha provato per anni con la guerra e le sanzioni, ad abbattere la teocrazia. Certamente ci proveranno e la società civile occidentale dovrebbe essere al loro fianco senza farsi sviare dal un ritorno inopportuno del campismo.
Fabio Alberti