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Campi Flegrei, e adesso?

di Leonardo
Ragozzino

Dopo 44 anni, gli abitanti di Napoli e della sua area occidentale, i Campi Flegrei, sono tornati a vivere la paura ancestrale, cupa e destabilizzante, del terremoto. Sì, i Campi Flegrei (dal greco antico φλέγω, phlégō, “brucio”), terra di bellezza accecante, abitata prima dai greci e poi luogo di vacanza dei patrizi romani, ispirazione per l’Eneide di Virgilio e per Dante Alighieri, che trovò proprio qui il suo Averno. E poi le Terme romane e il Portus Iulius ora subacqueo di Baia, l’acropoli di Cuma, la Piscina Mirabilis di Bacoli, solo per citare alcune perle in un paesaggio mozzafiato.

Il 20 maggio, scosse ripetute di magnitudo fino a 4.4 hanno fatto fare un balzo indietro al terremoto dell’Irpinia del 1980, che coinvolse tutta la Campania,  con i suoi 3000 morti e una devastazione senza precedenti, con la solidarietà che si attivò spontanea da tutta Italia e fece giungere sui luoghi del disastro persone che scavavano a mani nude. Allora non esistevano i protocolli di prevenzione, non esisteva la macchina veloce ed efficace della Protezione Civile (solo nel 1992, con la legge n. 225, nacque il Servizio Nazionale della Protezione Civile con il compito di “tutelare l’integrità della vita, i beni, gli insediamenti e l’ambiente dai danni o dal pericolo di danni derivanti da calamità naturali, da catastrofi e altri eventi calamitosi”).
Stavolta però non sono le faglie della dorsale appenninica a scatenare l’evento tellurico ma è il risveglio del “supervulcano” più pericoloso d’Italia, una grande “caldera”, ovvero  un campo vulcanico con un’area vastissima formata da tanti vulcani perlopiù monogenici, con attività eruttiva di tipo esplosivo. Sino ad oggi i fenomeni hanno avuto epicentro intorno al vulcano Solfatara (sito geologico, nonché set magico di film come Totò, ’47 morto che parla’, diretto da Carlo Ludovico Bragagna, che fu girato nel 1950, e alcune scene del film “Viaggio in Italia” di Roberto Rossellini con Ingrid Bergman).

Sinora era sembrato che le fasi alternate di innalzamento e abbassamento del suolo, tipiche del bradisismo (dal greco βραδύς bradýs, “lento” e σεισμός seismós, “scossa”) fossero quelle dello stesso “respiro vulcanico” con il quale gli abitanti erano abituati a  convivere nel secolo scorso.
Adesso il quadro si è arricchito di incognite perché i fenomeni stanno assumendo caratteristiche e intensità mai viste prima e il rischio è che, tra le varie opzioni, possa profilarsi lo scenario peggiore, ovvero quello di un’eruzione esplosiva su vasta scala, con morti e distruzioni di proporzioni inimmaginabili.
La politica locale prova a fare quello che può, con i mezzi che ha, monitorando la situazione e i relativi parametri geologici, attivando programmi di evacuazione dei residenti, provando ad accelerare i lavori per le vie di fuga.

L’antitesi di tutto ciò è quello che invece fa l’attuale governo Meloni, che invece di pensare a soluzioni che mettano al primo posto l’unica vera grande opera, ovvero la messa in sicurezza del territorio nazionale – in costante allerta idrogeologica per gli eventi estremi sempre più frequenti o come in questo caso, calamità naturali potenzialmente apocalittiche – decide di investire prevalentemente in un’economia di guerra (difesa, armi, sicurezza) inseguendo le posizioni nazionali più conservatrici d’Europa, e intraprendere interventi impattanti a livello ecologico come il ponte sullo stretto.

Ultima Generazione ad esempio propone un Fondo di Riparazione, ovvero un fondo preventivo e permanente di 20 miliardi di euro sempre pronti ad essere spesi per ripagare i danni da calamità ed eventi climatici estremi. È uno spunto da guardare con serietà, da inserire in una più ampia manovra keynesiana che abbia a cuore sanare le tante situazioni di sofferenza in atto e quelle che potrebbero crearsi.

Insomma qualcosa che possa ridare dignità di cittadinanza, invece delle risposte che vengono date oggi dal Governo centrale che, sorde rispetto alle pressanti richieste degli abitanti dei Campi Flegrei, sembrano recitare alla maniera di Eduardo: “fuitevenne”.

Leonardo Ragozzino

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