100 sfumature di UE, questo il titolo di uno studio sulle economie e le trasformazioni avvenute nell’ultima fase della integrazione europea, che transform! europe ha presentato a Trieste il 3 e il 4 Aprile scorsi.
Uno studio che ha coinvolto CGIL e la Fondazione Rosa Luxemburg e che ha interessato alcune specifiche aree dell’Unione Europea e non solo.
Il progetto di lavoro su cui si è iniziato a lavorare qualche anno fa, individuava la “QUESTIONE MEDITERRANEA” , parafrasando Gramsci, come centro di una analisi delle condizioni socioeconomiche dei paesi del sud Europa, i famosi PIGS (Portogallo, Italia, Grecia e Spagna) con l’intenzione di controbattere alla narrazione di paesi poco inclini al lavoro e usi a sprechi e ozi, al contempo individuare punti di convergenza per strategie comuni.
Con il procedere del progetto a questa area si è sommata la questione dell’Est Europa e i paesi dell’ex blocco del patto di Varsavia, che dopo la caduta del muro si sono man mano inglobati nel sistema economico e politico della Unione Europea.
In ultimo questa area dell’Est si è allargata ai paesi del Balcani includendo nell’analisi paesi appena entrati o non aderenti alla Unione Europea come Slovenia, Croazia, Ungheria, Romania e Bulgaria.
Ne è uscito un quadro molto denso e molto articolato di un modello economico che, seppure costruita su filiere produttive integrate, restano molto legate alla dimensione nazionale, e che chiaramente differiscono per capacità e per ricaduta sociale.
Abbiamo intervistato Tatiana Moutinho che per transform! Europe è la responsabile del progetto insieme a Dagmar Svendova che per transform! europa ha seguito per anni le evoluzioni socio-politiche dei paesi dell’Est.
Ciao Tatiana, grazie di aver accettato l’invito a dedicare del tempo per uno scambio di opinioni e di valutazione di questa iniziativa.
La prima domanda è sullo studio che è stato presentato quali sono le premesse e le intenzioni?
Tatiana – Grazie a te dell’interesse. Lo studio che abbiamo fatto si basa su tre assi fondamentali che abbiamo individuato. Il primo è l’economia, le politiche economiche le attività economiche delle due regioni parliamo di due grandi aree la prima quella del sud mediterraneo composta da sei stati se includiamo Malta e Cipro, Centro ed Est Europa che include molti paesi e che al suo interno possiamo suddividere in due regioni, come vengono definite nella pubblicazione. Le economie di questa seconda area del Centro-Est, possiamo vedere che complessivamente, forse perché sono entrate più recentemente nell’unione europea, possono essere definite come una imperfetta convergenza nei confronti del nucleo centrale, come sembrano indicare i percorsi promossi durante gli anni. A quelle economie, infatti, veniva richiesto di allinearsi agli standard europei adeguandosi al modello produttivo occidentale basato su competitività e impresa privata. Queste economie hanno ora delle sfide enormi dovendo affrontare prima la crisi pandemica e poi la guerra, che è alle loro porte, e la conseguente crisi energetica.
D’altro canto, quello che abbiamo potuto osservare nei paesi del Sud è un trend di divergenza, il caso dell’Italia è paradigmatico e con l’entrata nella euro zona (moneta unica) per tutte queste economie ha comportato un aumento di questa potenza industriale, questo e la crisi finanziaria del 2009 e le politiche di austerity hanno dato una bastonata finale all’aumento di queste divergenze.
Qui si vede chiaramente che l’Unione Europea è ben lungi dall’essere un processo di convergenza e di solidarietà tra i diversi paesi che la compongono, questo non solo in termini economici ma anche in termini di rappresentanza istituzionale europea e questo ci porta al secondo asse del nostro studio dove questo aspetto è stato approfondito.
Quali sono le maggiori differenze e divisioni politiche tra i paesi del Sud Europa e quelli dell’Est e vediamo che non sono uguali e anche come questo aumenta le difficoltà di costruire alleanze tra le aree.
Il terzo asse del libro ha a che fare con la rappresentazione e la percezione all’interno della Unione Europea, quello che abbiamo visto è che il modo in cui sono rappresentate queste aree non solo è frutto di questo processo di integrazione, fallimentare fin qui, ma anche che questa rappresentazione alimenta questa divergenza tra paesi del centro paesi delle periferie.
La sfida, il nostro compito più impegnativo ora è tradurre queste analisi in proposta politica
Uno degli obiettivi della conferenza era appunto questo, iniziare approfondire una discussione politica intorno queste analisi.
Dobbiamo ricordare che questa ricerca è iniziata durante la pandemia, non era chiaro come si sarebbero evolute le economie e praticamente facevano riferimento allo stato dell’arte presente fino al 2019. Ora nel 2023, gli effetti della pandemia sono ora più chiari e l’irrompere della guerra nel febbraio 2022 rappresenta un punto di svolta, economico e politico; quindi, vogliamo capire gli effetti di questi due fatti sulle periferie dell’UE.
i prossimi passi che avete in mente riguardano gli stessi paesi presi in considerazione fin qui?
Per il momento questo lavoro futuro riguarda i paesi fin qui analizzati, ma stiamo pensando, in futuro, di allargare lo sguardo verso quei paesi che stanno entrando nella UE. Potrebbe essere una cosa importante capire gli sviluppi delle economie anche in quelle aree. Ancora una idea ma sarebbe un aspetto interessante per capire come nuovi paesi possano rivoltarsi in economie periferiche ed aumentare la competizione tra gli stati, e anticipare le conseguenze.
Se guardo la mia esperienza, cioè quella del Portogallo, che ha iniziato il processo di integrazione europea negli anni 90 ricordando quello che è stato e guardando ciò che è accaduto dopo nei paesi dell’est si possono trovare molte similitudini, de-industrializzazione e il modo in cui a poco si trasformano in economie marginali. Ad esempio, ricordo come l’industria tessile portoghese che produceva indumenti di ottima qualità, ha subito la pressione della nostra competitività che non si è rivolta verso una maggiore qualità dei prodotti ma sulla compressione dei salari. Quindi la competitività del Portogallo ha fatto leva principalmente su bassi salari e nonostante questo una volta che i paesi dell’est sono entrati nel mercato comune queste fabbriche sono state delocalizzate in quei paesi che avevano ancora più bassi salari che in Portogallo.
Questo sembra essere una storia infinita ed è stato evidente anche nell’intervento dei rappresentati della FIOM della fincantieri a Trieste che ci hanno raccontato di come un settore come quello dei grandi motori, acquisito da una ditta finlandese, stia ora chiudendo per la apertura di uno stabilimento gemello in Finlandia a cui verranno trasferiti macchinari e commissioni. Una perdita non solo in termini economici ma anche di conoscenza e di professionalità che i lavoratori stessi rappresentano.
Infatti, questo si riproduce con piccole differenze ma con una impressionante continuità.
Anche Il quadro politico ci rappresenta delle diversità tra le due aree, mentre nei paesi del Sud, fatta eccezione per l’Italia, c’è una rappresentanza di un certo rilievo della sinistra, nei paesi dell’Est questa presenza è quasi dissolta e ovunque al contrario ci sono forze politiche di destra e di estrema destra che avanzano.
Questo succede quando le soluzioni politiche ed economiche non hanno dei caratteri di giustizia sociale e producono risentimento popolare che non sempre si rivolge a sinistra. Vedremo gli sviluppi futuri ma alla fine avere una UE completamente sbilanciata tra centro e periferia, non farà il bene di nessuno e alla lunga nemmeno ai paesi che sono alla testa del sistema produttivo in Europa, specialmente per la classe operaia, perché le élite, siano quelle delle periferie che quelle del cuore produttivo, restano élite e non soffrono, se non minimamente, della differenza tra centro e periferia.
Qual è la tua impressione dell’evento di Trieste?
Credo sia stato un ottimo e interessante appuntamento. Sia per i contenuti sia per l’articolazione degli incontri.
Alcuni incontri accademici altri più politici con giornalisti attivisti che ho trovato personalmente un interessante mix
È una formula quella di far confrontare sindacalisti, attivisti, accademici e attori politici, in un dialogo così approfondito propria di transform! europe, mi sembra sia un buon passo in avanti per il nostro lavoro e un importante esercizio.
Anche l’estensione geografica delle presenze a mio avviso ha rappresentato un grande valore
Si, questo è emerso anche nel lavoro di ricerca fatto, c’è una mancanza di conoscenza di ciò che accade negli altri paesi, quale sia la realtà delle due aree che abbiamo preso in considerazione è parte del processo di periferizzazione, in questo senso è importante mettere in relazione le diverse esperienze.
Grazie Tatiana e complimenti per questo lavoro, a cui in piccola parte mi sento legato anche per essere stato l’iniziatore di questo percorso a Lisbona ormai 5 anni fa con la presentazione del progetto “coalition of labour”
Infatti, ed è stato un bene che anche i nostri compagni dell’Est Europa abbiano partecipato a quell’evento. Hanno compreso che quello che stava succedendo li non era solo una cosa locale e che questo processo era un terreno comune.