di Alessandro Tedde* – In attesa di poter leggere le analisi scientifiche sui flussi elettorali e sulla composizione di classe del recente voto europeo, ogni valutazione del risultato deve attenersi ad una certa sobrietà, onde non rischiare di scivolare pericolosamente dal materialismo all’idealismo.
Al contrario, se volessimo trarre subito delle conseguenze dal risultato della lista “La Sinistra”, dovremmo ammettere una sonora sconfitta, a cui giustamente seguirebbe la domanda: di chi o di cosa? E, a quel punto, non potremmo esimerci dall’ammettere quel che sapevamo e cioè che, nelle condizioni date, siamo giunti a proporre la migliore lista possibile nel peggiore dei modi possibili[1].
Orbene. Considerato che questa lista non è stata l’espressione elettorale di un progetto politico e di una strategia, bensì il precipitato di un modo scorretto di affrontare tatticamente la situazione di impotenza strategica che va avanti dal 2008[2], la tentazione sarebbe di inveire contro i gruppi dirigenti che hanno gestito in questi mesi, se non anni, i vari percorsi della sinistra. Non che, in parte, questo non stia avvenendo (soprattutto nei social), ma non ritengo che, al pari della solita dose di frustrazione e depressione post-elettorale, questo atteggiamento possa produrre un grande avanzamento del “movimento storico” (piuttosto sarebbe da notare, come elemento quasi antropologico, che, sebbene non richieste, le dimissioni potrebbero maturare comunque, come effetto conseguente ad una profonda autocritica personale e collettiva).
In considerazione di quanto detto, non essendo ancora consentito fare un’analisi scientifica del voto e non essendo utile dedicarsi al crucifige post-elettorale che altri hanno mostrato di saper interpretare meglio del sottoscritto, voglio dedicare le poche righe che mi restano ad indicare quello che, a mio parere, non si può non fare, poiché prescinde dalle nostre volontà soggettive.
In primo luogo, non possiamo più fingere che, da ormai quindici anni, in Europa non esista un partito unitario della sinistra e che questa sia, forse, l’unica certezza a cui possiamo appigliarci. Cionondimeno, della sua esistenza e di quella del gruppo collegato, in Italia non vi sono molte tracce, se si escludono l’unghia rossa del simbolo di Rifondazione (che ebbe l’intuizione di fondarlo) e alcune iniziative, anche di buon riscontro, ma spesso più tra gli “addetti ai lavori” o tra i compagni già convinti.
Con lo stesso spirito con cui l’Italia è nota per l’attenzione alla preservazione del proprio patrimonio storico, dovremmo iniziare a prenderci maggiore cura del nostro europartito e del nostro eurogruppo, che dopo molti anni ed altrettanti scossoni, comunque rimangono in piedi a garanzia della possibilità di un’alternativa. Non possiamo più prescindere dall’esistenza di un gruppo stabile di persone che, tra un’elezione europea e quella successiva, si preoccupi di mantenere vivo sul piano nazionale quel perimetro di convivenza e di mutuo riconoscimento garantito da questi due soggetti e, contemporaneamente, di rendere accessibile ai più quanto di buono venga fatto e prodotto da questi.
Forse non sarà molto onorevole da dire, ma che sia per convinzione o per convenienza (data la riduzione degli spazi di agibilità democratica per la presentazione di liste altre e la contrazione della militanza), esattamente fra cinque anni saremo chiamati a valorizzare nuovamente il collegamento diretto e simbolico a quell’europartito ed a quell’eurogruppo. Ed è dunque necessario che, quando arriverà quel momento, i motivi di convinzione sopravanzino quelli di convenienza.
Ma per questo, serve che nasca (o rinasca) uno spazio nazionale dedicato della sinistra europea, cioè dell’unica voce coerentemente critica presente nell’Europarlamento; uno spazio, che nella mia testa rimane la “Sezione Italiana della Sinistra Europea”, il quale si occupi di fare da collegamento tra un’elezione ed un’altra, facendo crescere la consapevolezza sull’Unione Europea, per come è oggi e per come potrebbe essere domani con un voto alla sinistra.
Alla base di questa decisione, dovrebbe stare la consapevolezza – che mi è propria per deformazione professionale, da giuspubblicista – che ordinamento nazionale ed europeo non sono né identici, né sovrapponibili e che, pertanto, non v’è motivo alcuno perché debbano automaticamente sovrapporsi partito nazionale ed europartito.
In ogni paese, infatti, gli europartiti sono case più ampie, abitate anche da più partiti nazionali: un elemento che, fintanto che non ci si trovi ad essere nella condizione di forza di governo, non costituisce un vulnus, bensì un’opportunità di allargamento della propria area di adesione. L’importante è che la sezione italiana dell’europartito rimanga un luogo stabile in cui far confluire le forze, mentali e materiali, dedicandosi ad un lavoro egemonico sul versante europeo.
Nel 2024 affronteremo nuovamente le elezioni europee con i simboli del nostro europartito e del nostro eurogruppo e, ancora una volta, con la necessità di superare il quorum: abbiamo dunque cinque anni per costruire un’affiliazione, anche sentimentale, con la sinistra europea. A patto, però, che si renda noto il suo lavoro nell’Europarlamento, secondo modalità capaci di giungere alle persone (anche alle più semplici che, ad esempio, non conoscono l’inglese e non possono capire le pur ottime informative prodotte).
Servirebbe, altresì, un atto di generosità delle forze nazionali, che preservasse il simbolo come un bene comune, la cui garanzia spetti ad un soggetto terzo, super partes o paritetico, e che lo destini prevalentemente per l’iniziativa unitaria connessa al lavoro europeo. Questo soggetto super partes dovrebbe dotarsi di un gruppo di continuità, con una minima agibilità organizzativa ed una più che minima fiducia dei partiti e delle organizzazioni che si riconoscano nella SE, affinché possa, ad esempio, dare luogo ad un censimento dei sostenitori della lista, cioè provare a dare un nome ed un volto ai nostri 469.943 elettori.
Nella costruzione reale del “terzo spazio”, propenderei affinché questo albo dei sostenitori della SE non fosse la base per un litigio egoistico tra le forze nazionali, quanto piuttosto la base per la costruzione di un piano nazionale di adesioni individuali alla stessa, nelle stesse forme con cui, ad esempio, la cittadinanza europea si aggiunge a quella nazionale e non la sostituisce. Senza, dunque, che gli aderenti individuali siano “figli di un dio minore” rispetto a quanti aderiscano alla SE con l’intermediazione delle forze nazionali aderenti.
Altrettanto, credo che sarebbe opportuno uno sforzo intellettuale nel cercare di definire il “terzo spazio” non come la risultante, per sottrazione, di un aut aut tra europeismo liberal e nazionalismo sociale (una posizione che rischia di essere contraddittoria), quanto come loro superamento dialettico in una terza posizione, riconoscibile. In quest’ottica, propenderei per azzardare maggiormente rispetto a quanto sia concesso in ambito europeo, dalle antiche diversità tra Est e Ovest, propendendo per un potenziamento della locuzione “Europa sociale” (che in Italia ricorda un nefasto slogan europeo del MSI) per un compromesso più avanzato se parametrato alla storia, fortemente democratica, del nostro movimento operaio nazionale: quello di “Europa socialista”, anche al fine di uscire da alcune terminologie, spesso contingenti, che spesso danno alla nostra proposta pubblica quasi una veste “oracolare”, certamente non di facile comprensione per le classi popolari.
Queste sono solo alcune delle cose che potremmo fare per tentare di non ricadere negli errori del passato, guardando al quale mi sento di dire, citando un altro marxista sardo ben più autorevole del sottoscritto, che “ci si salva e si va avanti se si agisce insieme e non solo uno per uno”.
* Presidente nazionale Sinistra XXI – per l’Alternativa di Società.
[1] La chiarezza di una lista unitaria dall’inequivocabile nome, esplicitamente e visivamente collegata ad un europartito ed a un eurogruppo è stato, purtroppo, l’esito del fallimento di una lunga serie di tentativi di altro segno, che andavano dalla ricerca di un leader “salvatore” (che, innanzitutto, doveva però salvare se stesso) alla ricomposizione in extremis di recentissime fratture, anche a costo di una lista afferenti a due o tre diversi europartiti.
[2] Pur espressa modi diversi, talvolta ingannevoli come nel “miracoloso” risultato del 2014, il quale, anch’esso, non fu propriamente il risultato di una scelta strategica, quanto piuttosto della rincorsa ad un treno che era già partito.