evidenza, interlocuzioni

Unidas Podemos

di Massimo
Serafini

di Massimo Serafini-

Manca poco più di un mese al voto del 28 di aprile. Per la Spagna, sono forse le elezioni più drammatiche, dalla fine della dittatura franchista e l’avvento della democrazia. La posta in gioco è molto alta. Un esito negativo e favorevole alle destre, può aprire una frattura sociale profonde, difficilmente recuperabile. Si va ad un voto nel pieno di un conflitto territoriale drammatico, come quello catalano, che a sua volta si innesta e aggrava una crisi sociale e ambientale, che percorre tutta l’Europa, ma che il nodo catalano rende più acuta in Spagna.  Senza una proposta risolutiva sulla crisi territoriale sarà molto difficile ricostruire, dopo il voto, la maggioranza, che consentì di cacciare il corrottissimo esecutivo Rajoy. E’ assdai probabile che per raggiungerla serviranno quasi sicuramente ancora l’appoggio degli indipendentisti catalani.

Il recente voto in Andalusia ha premiato le tre destre, un esito che i più recenti sondaggi prevedono per l’intero paese. Dunque bisogna rassegnarsi al peggio, cercando di limitare i danni?

In realtà la partita è molto più aperta di quanto dicano i sondaggi, anzi ci sono tutte le condizioni per smentirli.

Questi pochi mesi di governo socialista hanno alimentato nella società spagnola molte speranze di un’inversione di rotta, sia per quanto riguarda il massacro sociale provocato dalla ricetta liberista, ma anche per la stessa crisi catalana, sostituendo alla repressione il dialogo fra i due governi.

Se si rivolge lo sguardo alla realtà sociale spagnola, andando oltre i sondaggi di opinione, non si può non cogliere che in Spagna la forza della destra è contrastata da movimenti sociali forti.

Basterebbe a provarlo la straordinaria prova di forza data dal femminismo spagnolo, con il riuscitissimo sciopero dell’8 marzo. La domanda di uguaglianza e autodeterminazione che saliva dalle piazze di tutta la Spagna, la lotta al patriarcato, architrave su cui si regge la società capitalista, dà forza ed alimenta una diffusa richiesta di porre la vita delle persone al centro delle decisioni politiche. Per questa ragione  questo movimento è incompatibile con la ricetta liberista e ancora di più con le tre destre spagnole che la ripropongono.  Non a caso tutte e tre hanno fatto del femminismo il loro nemico principale, attaccando il diritto all’autodeterminazione delle donne.

Alimenta la speranza  poi il fatto che il movimento femminista abbia dato prova di trascinare altre forze sociali. Esemplare da questo punto di vista la partecipazione femminista alla lotta delle pensionate/i in difesa del sistema pubblico e pensioni degne, che da mesi mobilita ogni settimana la parte anziana della società spagnola, partecipazione ricambiata dalle pensionate ai cortei contro la violenza machista. Insomma una società non disposta a subire, anzi che si ribella e con caratteristiche molto diverse dai gilet gialli francesi. Infine c’è, ad alimentare il clima di non rassegnazione,  la riuscita dello sciopero di studentesco per il clima.

Decisivo per l’esito elettorale sarà il terreno su cui si giocherà lo scontro. Quello favorevole alle destre e cioè il tema catalano, o le sinistre riusciranno a ridare centralità alla questione sociale ed ambientale?

Non si parte da zero. Riportare al centro dello scontro politico i temi della sostenibilità sociale ed ambientale, era l’obiettivo della proposta di bilancio, concordata fra il PSOE e Unidos Podemos e affossata dagli indipendentisti catalani.

E’ stato un tentativo importante di far partire dalla Spagna un messaggio in forte controtendenza rispetto al resto dell’Europa. Un messaggio utile anche per le prossime elezioni europee, visto che avrebbe potuto rompere lo schema rigido e perdente nel quale i poteri forti le vorrebbero ridurre, uno scontro fra chi difende l’Europa liberista che c’è e chi invece vorrebbe liquidarla per tornare ai nazionalismi.

La legge di bilancio, su cui si erano unite le sinistre, non redistribuiva solo la ricchezza, togliendo ai ricchi e dando ai poveri, ma si spingeva oltre, mettendo in discussione il modello di sviluppo.  Salario minimo a 900 euro, aumento delle pensioni, diritto alla casa, fine degli sfratti, erano accompagnate dalla presentazione della legge sul cambio climatico, con relativa rivoluzione del settore energetico a favore del risparmio energetico e delle fonti rinnovabili e dalla proposta di derogare la legge sul lavoro del governo precedente, una vera e propria fabbrica di precariato.

Avere portato il paese alle elezioni anticipate, affossando questa manovra economica è stata una scelta miope delle forze indipendentiste catalane. Lascia la Catalogna prigioniera di due opposti estremismi: un indipendentismo unilaterale, socialmente minoritario e senza alcun riconoscimento internazionale, a cui le destre contrappongono una pura logica repressiva.

Inoltre un danno per i rappresentanti indipendentisti in galera ingiustamente da oltre un anno, che subiranno nel processo questo clima voluto dalle destre, ma a cui le forze indipendentiste si sono prestate.

Miope soprattutto per essersi prestati a separare il problema territoriale, da quello sociale e ambientale.

Da due anni le destre spagnole, usano l’unità della spagna per occultare una pesante questione sociale, creata dalle loro politiche liberiste.

Non è un caso che la narrazione che gran parte dei media, non solo spagnoli, fa è quella di una Spagna uscita dalla crisi, in forte crescita economica, con un Pil ben oltre 2%, frenato solo dalla follia indipendentista dei catalani.

Si continua ad omettere una piccola verità e cioè che a questa Spagna sempre più ricca, corrispondano spagnole/i sempre più poveri, sottoposti a lavori precari, faticosi, alienanti e mal pagati o peggio alla disoccupazione. Insomma il presunto e tanto decantato nuovo miracolo economico spagnolo, in realtà cronicizza la dissociazione economico sociale, dato che il PIL e i livelli di povertà raggiungono contemporaneamente livelli record. Poche cifre danno l’idea della realtà: tasso di disoccupazione al 27% e fra i giovani al 60%, basti dire che un terzo dei contratti firmati a gennaio di quest’anno sono durati meno di 15 giorni; oltre quattro milioni di famiglie, raggiungono solo 8200 euro all’anno; peggioramento costante delle condizioni salariali degli occupati a tempo indeterminato, a cui si accompagna la poco contrastata deindustrializzazione.

Un’emergenza sociale, ulteriormente aggravata dalla tragedia climatica, con i processi di desertificazione e la siccità, che hanno messo in ginocchio gran parte del comparto agroindustriale spagnolo.

Dire che c’è la crisi, che una parte maggioritaria della società spagnola non vuole continuare a pagarne i costi e per questa ragione è inconciliabile con le tre destre, non vuol però dire che le sinistre hanno vinto. Sebbene la rivolta del 2011 degli indignati la crisi della politica anche in Spagna è presente ed investe soprattutto le sinistre, quelle nuove e quelle vecchie.

Non è scontato quindi che siano all’altezza della domanda di cambiamento che sale dalla società. In Andalusia non ci si è riusciti e una parte consistente di elettorato di sinistra, soprattutto socialista, ha scelto di astenersi. Questa prima parte di campagna elettorale da questo punto di vista non è molto tranquillizzante.  La crisi di Podemos Madrid è ancora irrisolta. Di fatto Podemos è chiuso al proprio interno, in una discussione che lo rende meno presente e quindi meno credibile nei conflitti sociali ed ambientali.  Una crisi interna con due fronti. Da un lato la scelta di Errejon di candidarsi con la lista della sindaca di Madrid, interroga il corpo militante sulla validità della decisione l’operazione presa al secondo congresso di Vistalegre,  cioè fare di Podemos il motore delle confluenze, con cui conquistare il governo del paese.

Ci sono inoltre le perplessità della corrente anticapitalista, da sempre critica per l’appoggio al governo Sanchez, che spinge per una campagna elettorale in forte competizione con i socialisti. Altrettanto complessa è la situazione del PSOE di Sanchez, con un pezzo di gruppo dirigente in dissenso più o meno esplicito. C’è nei baroni socialisti nostalgia delle larghe intese e dell’alleanza con Ciudadanos. Tutto ciò alimenta una dannosa competizione fra le due forze della sinistra che le rende meno credibili fra i movimenti, in particolare quello femminista portatore di un modo nuovo di far politica.

E’ del tutto evidente che affrontare lo scontro elettorale con l’idea di poter essere autosufficienti porta ad una sconfitta certa. Al contrario vanno ripresi i fili dell’unità raggiunta sulla manovra di bilancio, dandogli però uno spessore strategico e soprattutto prendendo atto che Unidos Podemos e il PSOE, rappresentano domande sociali diverse, che possono confluire in un progetto di cambiamento della società, ma che restano diverse. Insomma per schematizzare non ha nessun senso l’idea che circola nel PSOE che si possa chiudere la ferita che si aprì con gli indignados che portò alla nascita di Podemos. Così come non hanno senso le posizioni, presenti in Podemos di potersi sostituire al PSOE, assorbendone l’elettorato più di sinistra.

C’è infine l’urgenza di una scelta chiara sulla questione Catalana. Per ricostruire la maggioranza che si unì sulla mozione di censura a Rajoy è necessario portare in campagna elettorale una proposta di riforma costituzionale che indirizzi tenga unita la Spagna in un assetto istituzionale che riconosca la plurinazionalità del paese. Un assetto contrapposto all’indipendenza e su questo progetto tentare di scardinare e portare via voti ai due nazionalismi in cui e imprigionato il popolo catalano, quello degli indipendentisti e quello spagnolo delle destre monarchiche. Podemos da sempre sostenitore di questa tesi può riconquistare il terreno perduto in Catalogna, visto che alle ultime elezioni politiche la confluenza “en comun podem” fu la forza più votata. Nelle prossime decisive settimane saranno definite le liste e ad entrambe le forze della sinistra spagnola, sono richieste scelte in forte discontinuità, se vogliono veramente essere capaci di mobilitare la domanda di cambiamento che c’è nella società spagnola. Essere troppo prudenti e rispettosi degli equilibri interni questa volta può costare molto caro, quindi è augurabile che, soprattutto nel PSOE, ma anche in Unidos Podemos, prevalga il coraggio e lo spirito di innovazione, dimostrando di aver capito capito il messaggio che saliva dai cortei femministi dell’otto marzo.