Il prossimo 29 maggio gli elettori sudafricani saranno chiamati ad eleggere il nuovo parlamento. L’appuntamento è seguito con interesse anche al di fuori del paese perché, per la prima volta dalla fine dell’apartheid, il predominio dell’African National Congress (ANC) non è più garantito. I sondaggi indicano che la formazione guidata dall’attuale Presidente della Repubblica, Cyril Ramaphosa, pur restando la più importante del Paese potrebbe perdere la maggioranza assoluta.
Nel 2019, con poco più di dieci milioni di voti, l’ANC si era assicurata il 57,50% dei consensi e 230 dei 400 seggi del Parlamento. Pur con una perdita significativa di oltre quattro punti percentuali aveva potuto mantenere il proprio predominio sul sistema politico che aveva conquistato per il ruolo svolto nella lunga lotta contro il sistema razzista dell’apartheid.
L’ANC, partito che mantiene un riferimento ideologico all’obbiettivo del socialismo ma nel quale è confluita una vasta coalizione interclassista, all’interno della quale si fa sentire l’influenza di una grande borghesia nera (di cui fa parte anche il miliardario presidente Ramaphosa), resta legato all’Alleanza Tripartita nata negli anni dell’azione clandestina per la liberazione dei neri sudafricani. Di questa Alleanza fanno parte la COSATU, la maggiore confederazione sindacale presente soprattutto nel settore pubblico e tra i lavoratori che mantengono rapporti di lavoro formalizzati mentre è debole nel vasto mondo del lavoro precario, e il Partito Comunista del Sud Africa che ne rappresenta l’ala sinistra.
Dai settori più critici, l’ANC è accusata di aver avviato, già pochi anni dopo l’assunzione del potere nel 1994, una svolta neoliberista. Questa si è concretizzata nel lasciare campo libero al mondo della finanza privata e nell’avere in buona misura applicato i criteri di apertura al capitalismo internazionale previsti dal cosiddetto “Washington consensus”. Il quadro delle condizioni sociali dei ceti popolari sudafricani resta effettivamente lontano dalle aspettative di cambiamento che si erano create negli anni della lotta all’apartheid. I dati relativi alla povertà e alla disoccupazione, soprattutto giovanile, restano particolarmente elevati e preoccupanti. Così anche il tasso di disuguaglianza registrato dall’indice GINI.
A questi si sono aggiunti problemi di corruzione legati anche alla lunga permanenza al potere dell’ANC e una gestione spesso inadeguata della rete dei servizi pubblici. Tutti elementi che hanno iniziato a corrodere l’elevatissimo livello di consenso di cui ha potuto godere l’ANC, tra gli elettori neri e “colored” che costituiscono la gran parte delle classi popolari.
Nelle elezioni del 2019 si è confermato come secondo partito l’Alleanza Democratica con poco più del 20% e 84 seggi. Una formazione nella quale è confluito soprattutto l’elettorato bianco, che con la svolta degli anni ’90 ha perso buona parte del potere politico ma mantiene molto di quello economico.
Come terzo partito, con poco più del 10% e 44 seggi, in forte crescita rispetto alle elezioni precedenti, si è confermato l’Economic Freedom Fighters (EFF). Si tratta di una scissione dell’ANC nata a seguito dell’espulsione di Julius Malema, leader dell’organizzazione giovanile del Congress. L’EFF ha assunto una retorica radicale e di netta critica alle politiche socio-economiche dell’ANC, si richiama ideologicamente ad un mix di “marxismo-leninismo” e nazionalismo nero con riferimenti a Frantz Fanon e Thomas Sankara. Il grande tema agitato dall’EFF è la distribuzione delle terre ancora in mano ai grandi proprietari bianchi e senza alcun risarcimento. Il partito di Malema ha conquistato un consenso importante soprattutto tra le nuove generazioni urbane e quindi il richiamo alla questione della terra sembra avere soprattutto un valore simbolico per indicare un processo di liberazione rimasto incompiuto a seguito del compromesso tra l’ANC di Mandela e il potere dei bianchi Afrikaner all’inizio degli anni ’90.
La Democratic Alliance liberista e filo-occidentale ha promosso una coalizione con una serie di partiti minori nella speranza di poter scalzare l’ANC dal potere. I maggiori problemi per il Congress sembrano però venire dai dissensi interni. Dopo la nascita dell’EFF, una nuova formazione rivale si presenterà al voto di fine maggio: l’uMkhonto we Siwze (MK). Questo partito, creato da fuoriusciti dell’ANC, è stato registrato nel settembre dell’anno scorso, nonostante l’opposizione del partito di governo che ha contestato l’utilizzo del nome storico dell’organizzazione armata legata all’ANC. Fondata nel 1961, l’MK o “lancia della nazione”, era stata voluta soprattutto dai comunisti e da Nelson Mandela e venne considerata dagli Stati Uniti un’organizzazione “terroristica”. La lotta armata, pur presente in Sud Africa, non ha mai acquisito un ruolo dominante rispetto all’azione politica di massa.
L’MK, pochi mesi dopo essere stato fondato, ha ricevuto il sostegno dell’ex Presidente della Repubblica, Jacob Zuma, figura controversa che aveva dovuto dimettersi anticipatamente per le accuse di corruzione. Al momento della sua elezione, prima a Presidente dell’ANC e poi della Repubblica aveva sollevato aspettative di un possibile spostamento a sinistra dell’azione di governo, dopo la gestione molto moderata di Thabo Mbeki. La sua presidenza è stata però segnata soprattutto da una gestione personalistica e poco limpida coperta da una retorica populista. Ciò nonostante Zuma resta popolare in alcuni settori di elettorato dell’ANC. Non potrà però candidarsi direttamente essendo stato condannato per non essersi presentato ad una Commissione speciale che doveva indagare sulle accuse di corruzione.
L’uMkhonto we Siwze non sembra in grado di ottenere risultati significativi al di fuori dello stato natale di Zuma, il Kwa-Zulu, ma anche questi potrebbero essere sufficienti per indebolire l’ANC e impedirgli di confermare la propria maggioranza assoluta.
Il Partito Comunista Sudafricano, pur spesso critico verso la politica maggioritaria dell’African National Congress, ha confermato la propria alleanza, anche se negli ultimi anni non sono mancate voci interne contrarie a proseguire la stretta collaborazione. L’ANC prevede la possibilità della doppia iscrizione per gli aderenti al Partito Comunista che quindi possono influire direttamente sulle politiche del partito. Il suo bilancio complessivo dei trent’anni di governo dell’Alleanza Tripartita è meno catastrofico di quello stilato da molti critici di sinistra e non della politica sudafricana.
Il segretario del partito Solly Mapaila, in un intervento del 10 marzo scorso, ha soprattutto puntato l’attenzione sul pericolo costituito dall’Alleanza Democratica considerata espressione di interessi imperialisti, soprattutto statunitensi, che mettono in pericolo l’uscita dal colonialismo. Mapaila ha sollecitato tutte le forze che compongono l’Alleanza Tripartita ad impegnarsi per difendere la “Rivoluzione Nazionale Democratica” sudafricana, incluse la sovranità e le altre conquiste che hanno largamente beneficiato milioni di cittadini dopo la svolta democratica del 1994. Per aiutare a confermare la maggioranza assoluta dell’ANC, il Partito Comunista ha lanciato le “Red Brigades” (nessuna allusione evidentemente all’organizzazione italiana) per dispiegare una campagna elettorale da portare casa per casa.
I comunisti chiedono però anche un riposizionamento dell’azione di governo riaffermando “misure di sviluppo e trasformazione nazional-rivoluzionaria”, in opposizione alle politiche neoliberiste promosse dalle “forze imperialiste” e dai loro agenti e seguaci interni. In questa prospettiva il PCSA sollecita soprattutto una politica di industrializzazione che deve essere la fonte per la creazione di occupazione. Tutte le iniziative fiscali ed economiche e le risorse del bilancio dovrebbero essere destinate a questa azione di reindustrializzazione del Paese. Infatti, negli ultimi decenni l’economia sudafricana si è concentrata sulla finanza (che spesso ha esportato i propri profitti all’estero), sulle miniere e sulla grande distribuzione. Il peso dell’attività industriale sul Prodotto lordo è andato invece progressivamente calando.
La possibile perdita della maggioranza assoluta da parte dell’ANC ha sollevato numerose speculazione sulle possibili coalizioni necessarie per garantire un governo al Sud Africa. La soluzione più gradita dai commentatori esterni è certamente quella basata sull’avvicinamento all’Alleanza Democratica che garantirebbe un ulteriore spostamento in favore dei grandi interessi finanziari ed economici interni ed internazionali. Viene vista invece con preoccupazione la possibilità di una convergenza con l’EFF che sostiene tesi molto più radicali. Quest’ultimo in relazione alle amministrazioni provinciali dove ha potuto già svolgere un ruolo di “kingmaker” si è mosso con notevole spregiudicatezza, consentendo anche la sopravvivenza di governi del centro-destra.
La stessa ANC per altro sembra divisa tra le possibili opzioni che si potrebbero aprire dopo il 29 maggio. Per ora l’obbiettivo resta quello di confermare la propria maggioranza assoluta. La modifica del sistema elettorale che prevede la possibilità anche agli indipendenti di presentarsi alle elezioni ed essere eletti potrebbe offrire una via d’uscita meno impegnativa di un accordo con un’altra formazione politica.
Dato il ruolo internazionale assunto dal Sud Africa recentemente, sia con il rilancio dei Brics di cui è parte importante, sia per l’azione giudiziaria avviata presso la Corte Internazionale di Giustizia al fine di chiamare Israele a rispondere dei propri crimini a Gaza, il voto di maggio sarà seguito con molta attenzione anche all’estero. Un indebolimento considerevole dell’ANC, soprattutto in caso di accordo con la Democratic Alliance, potrebbe mettere in questione l’azione sudafricana su entrambi i fronti.
Franco Ferrari