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Sir Keir alla guida del Labour

di Enrico
Sartor

dal nostro corrispondente da Londra, Enrico Sartor –

Keir Starmer è il nuovo segretario del partito laburista. Ha visto il voto degli iscritti con il 56.2%, sconfiggendo gli altri due candidati di punta: Becky Long Bailey (della sinistra corbynista) che si è fermata al 26.7% e Lisa Nandy (rappresentante delle zone operaie del centro-nord dell’Inghilterra).

Cinquantasette anni, figlio di una infermiera e di un artigiano ferventi militanti del partito, Starmer ha alle spalle una solida carriera di avvocato (famosa la sua difesa di successo e a titolo gratuito di due persone in un classico caso Davide contro Golia, nella specie la multinazionale McDonalds) e di militanza laburista.

Nonostante un passato giovanile di membro della redazione della rivista Socialist Alternatives, che ospitò nel numero della primavera del 1989 un articolo di Maurice Najman (di Alliance Marxiste Revolutionnaire) ed ebbe fra i suoi collaboratori Michel ‘Pablo’ Raptis, la traiettoria politica e professionale di Starmer lo colloca su un crinale nettamente moderato, ciò che lo rende tutt’altro che un outsider dell’establishment.

Dal 2008 al 2013 è Procuratore generale della Corona, carica che gli vale la nomina a baronetto (Sir Keir). Nel 2014 viene eletto ai Commons nel seggio sicuro di Saint Pancreas and Holborn, collegio al culmine di un processo intenso di gentrificazione, popolato da un elettorato in maggioranza bianco e benestante (demograficamente simile, del resto, al confinante collegio di Islington che elegge Jeremy Corbyn). Nelle elezioni alla leadership del Labour successive all’uscita di scena di Ed Milliband, Starmer appoggia il “blairiano” Andy Burnham nello scontro con Corbyn e, nel 2016, si dimette da Ministro ombra dell’immigrazione in polemica con la direzione “corbynista”. Come la maggioranza degli elettori del collegio di Holborn, egli è un europeista convinto e un anti-Brexit.

L’ampia vittoria ottenuta nella sfida per la leadership accresce certamente l’indipendenza di Starmer dalle dinamiche delle correnti interne, come anche il fatto di essere arrivato alla politica relativamente tardi e solo all’esito di una solida carriera professionale.

Sir Keir ha certamente attratto anche il voto delle correnti di sinistra desiderose di porre fine a un certo settarismo all’interno del partito, dopo che l’energia mobilitante e innovativa della corrente di sinistra di Momentum era stata indebolita e frustrata da un burocratismo interno criticato dalla base militante. Il nuovo governo ombra appena formatosi evidenzia un tentativo di ricucire con le aree interne al partito in concorrenza con la leadership Starmer. Ne fanno parte, tra gli altri, le stesse Backy Long Bailey e Lisa Nandy. E fa discutere il ritorno di Ed Miliband.

Ma Sir Keir ha soprattutto attirato il voto di chi voleva una faccia credibile e accattivante per le politiche di sinistra portate avanti durante la segreteria di Jeremy Corbyn. Ed è interessante notare come la credibilità sia associata ancora una volta a un leader maschio, bianco e di ceto medio-alto (tale era del resto anche Jeremy Corbyn). Il nuovo programma del partito mantiene, nei suoi 10 punti, alcuni temi centrali della politica di Corbyn, soprattutto per quanto riguarda la nazionalizzazione dei servizi, i diritti dei sindacati e dei lavoratori, l’immigrazione.

In larga misura Starmer è la scelta di elettori laburisti che sperano di tornare al governo grazie a un segretario che sembra adatto al ruolo, nella convinzione che la mancanza di phisique du role imputata a Corbyn sia la causa principale della sconfitta alle elezioni generali del dicembre 2019. Del resto il partito è stato per tre mesi in uno stato di auto-isolamento, con un dibattito interno tutto centrato sulla successione alla leadership; tutto ciò mentre fuori il paese usciva dall’Unione Europea ed entrava nella crisi del COVID 2019. 

Starmer arriva alla segreteria con un programma cauto, probabilmente già superato e incapace di rispondere alla povertà di massa e alle nuove lacerazioni sociali che l’epidemia causerà. Come del resto il governo di B. Johnson, a cui Starmer – come atto iniziale – ha offerto cooperazione attiva, una linea di distensione agli antipodi di quella corbynista. Dal lato della nuova leadership laburista nessuna proposta credibile è finora arrivata su come affrontare l’enorme ingiustizia sociale che la pandemia sta approfondendo; la stessa mancanza di proposte caratterizza l’approccio sulla Brexit (chiave delle scorse elezioni) in una Gran Bretagna sull’orlo di una recessione di proporzioni storiche. Persino il neo liberismo di B. Johnson, a tre mesi dalle vittoriose elezioni, pare travolto dalla nuova situazione socio-economica che ha posto al centro il ruolo dell’intervento statale. E non sono pochi i laburisti a scommettere, oggi, sulla possibilità di convincere gli elettori che solo un partito progressista sia in grado di fornire le risposte necessarie, come fu nel 1945 quando il Labour sconfisse i conservatori di Churchill.

Le esperienze di successo a sinistra – in termini di consenso elettorale – negli ultimi anni sono quelle che, in Spagna come in Grecia e in Portogallo, ma anche in Gran Bretagna con il Corbyn del 2017, hanno avuto la forza – pur tra mille contraddizioni – di riportare i temi del socialismo e dell’antiliberismo al centro dell’iniziativa politica nei confronti di popolazioni esasperate dalle crescenti povertà e ingiustizie sociali create da decenni di politiche governative austeritarie. Che il partito laburista di Starmer possa mettersi sulla scia di queste esperienze è tutto da vedere.

Gran Bretagna, Keir Starmer, Labour Party
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