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Se ne fanno una giusta mi mangio il cappello

di Maria Pia
Calemme

Il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove, lo stesso che da deputato chiedeva un encomio solenne per gli agenti di Polizia penitenziaria di Santa Maria Capua Vetere accusati di aver massacrato di botte i detenuti della sezione Nilo il 6 aprile 2020 (il processo, basato sulle riprese delle telecamere e su molte testimonianze, a carico di oltre 100 persone accusate di tortura pluriaggravata, lesioni, falso, calunnia è ancora in corso) e che ha dimostrato di avere un atteggiamento quantomeno disinvolto nel trattare le informazioni acquisite in funzione dell’incarico svolto, nei giorni scorsi ha fatto sapere di voler risolvere il problema del sovraffollamento delle carceri affrontando quello della detenzione dei tossicodipendenti.
Finalmente! Il sottosegretario ha scoperto che quel 30% circa di detenuti non dovrebbe stare in carcere e allora ci si aspetta che auspichi non solo un maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione su base volontaria ma anche e soprattutto una depenalizzazione dei reati legati al consumo, che certo riceverebbe il placet del ministro Nordio, che ha sempre creduto che il panpenalismo sia un problema e non una soluzione.
E invece no. Delmastro ha in mente un provvedimento che sembra aprire un varco verso la privatizzazione delle carceri, spostando i tossicodipendenti detenuti nelle “comunità chiuse in stile Muccioli, per costruire un percorso alternativo alla detenzione”. A leggere l’intervista, in realtà, di ‘alternativo’ nella proposta (che non ha ancora una forma pubblica) non sembra esserci molto. Tuttavia ci sono molti passaggi interessanti nell’intervista rilasciata a Francesco Malfetano del Messaggero il 13 marzo1, che vale la pena di riportare almeno in parte, a iniziare da quello che spiega i vantaggi del provvedimento in cantiere: “si tratta di una misura che permetterebbe una vittoria a tutto campo: per il detenuto, per il terzo settore e per lo Stato. Il primo può disintossicarsi in una struttura sicura e meno nociva di un carcere sovraffollato. Il secondo ne guadagna per indotto e investimenti. Il terzo invece si prende meglio cura dei cittadini e risolve il problema del sovraffollamento. E poi risparmia. Oggi la media del costo di un detenuto è 137 euro al giorno. Per un tossicodipendente, che in genere presenta difficoltà maggiori, è superiore. Con il provvedimento invece credo che si potrebbe spendere una cifra molto inferiore”.
Una soluzione win-win-win, insomma. Vediamo se ho capito bene.

  • Il tossicodipendente detenuto è obbligato a disintossicarsi, perché – come afferma il sottosegretario – “per un tossicodipendente […] il fine rieducativo della pena non sta nel fatto che conosca a memoria la Costituzione o abbia partecipato ad un ottimo corso di ceramica. La priorità […] è la disintossicazione” e, se torna in carcere da tossicodipendente, non può più accedere alla misura alternativa. La disintossicazione come trattamento obbligatorio, però, è considerata una “‘violazione del diritto di scegliere il proprio trattamento, rifiutarlo o interromperlo in ogni momento’ senza incorrere nella ‘minaccia dell’incarcerazione, che non dovrebbe essere usata come strumento coercitivo per spingere al trattamento’”2 dal Gruppo di lavoro sulla detenzione arbitraria (WGAD) dell’Alto Commissariato per i diritti umani dell’ONU (HRC).
  • Il terzo settore ci guadagna, perché riceve dallo Stato, per la gestione di queste vere e proprie carceri (“La comunità sarà controllata 24 ore su 24, se scappi hai bruciato la tua seconda possibilità e sarai perseguito per il reato di evasione”) una cifra non specificata ma evidentemente interessante (“Qualunque cooperativa, in presenza di accordi ben definiti con lo Stato, avrà l’interesse ad affittare o acquistare un immobile per mettersi al servizio”). Peccato che il Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (CNCA) abbia già chiarito che le comunità “non possono trasformarsi in luoghi di puro contenimento. […] Gli operatori che lavorano nei nostri servizi […] hanno scelto un lavoro di accompagnamento e cura e […] non possono mai fare le veci della polizia penitenziaria”3 e quindi gli “accordi ben definiti con lo Stato” saranno firmati, se il progetto sarà attuato, da strutture che non necessariamente rispondono ai criteri di scelta e responsabilità della persona. Del resto il richiamo alle “comunità chiuse in stile Muccioli” è inequivocabile per chiunque abbia un minimo di memoria.
  • Lo Stato risparmia, perché spende troppo per i tossicodipendenti, non ha le risorse per far fronte alle necessità sanitarie di questa particolare popolazione e non intende trovarle, preferendo appaltare, a minor costo nelle intenzioni del sottosegretario, non solo la custodia ma anche la cura. Il sottosegretario lamenta anche, en passant, ‘la perdita’ della sanità penitenziaria, riferendosi evidentemente alla norma che nel 2008 ha disposto il trasferimento delle competenze in materia di sanità penitenziaria al sistema sanitario nazionale, come raccomandato dall’Organizzazione mondiale della sanità, che prescrive l’indipendenza del personale sanitario e la tutela della salute dei detenuti come imperativo assoluto. Preferirebbe, evidentemente, che il personale sanitario che opera nelle carceri rispondesse solo all’amministrazione penitenziaria, facendo prevalere il criterio della punizione su quello della tutela della salute, cosa che, nonostante la normativa, talvolta succede comunque, come sembrano dimostrare alcuni fatti di cronaca, anche recenti, relativi a violenze ai danni di persone incarcerate per i quali sono in corso indagini e processi anche a carico di medici. E anche una sola volta in cui un medico si gira dall’altra parte durante o dopo un episodio di violenza a carico di un detenuto è una volta di troppo.

Ma, poiché il solo Delmastro non basta, dalla maggioranza parlamentare arrivano altre proposte e qualche stop a disegni di legge in discussione. Sul secondo versante l’alt al disegno di legge cosiddetto Siani sulla detenzione delle madri, che evidentemente appare troppo ‘larga’ (non tutte le madri sono ‘meritevoli’ e nemmeno tutti i figli, visto anche il parere negativo sul certificato di filiazione europeo). La proposta più recente, sempre sul tema carcere, invece, è quella dell’on. Mauro Malaguti (FdI, se fosse necessaria la precisazione), che vuole il taser in carcere (ipotesi contemplata già dalla ministra Cartabia) per i “casi più pericolosi in cui detenuti violenti, o affetti da problemi psichici, aggrediscano gli agenti o altri detenuti o tendano all’autolesionismo”. No comment.

Maria Pia Calemme

  1. https://www.ilmessaggero.it/politica/tossicodipendenti_carceri_comunita_cosa_cambia_delmastro_intervista-7283755.html.[]
  2. Cfr. S. Ronconi, “Le politiche sulle droghe e la guerra ai diritti”, p. 68, in Associazione Società Informazione (a cura di), Droghe e diritti umani. Le politiche e le violazioni impunite, Milieu edizioni, 2022.[]
  3. https://www.redattoresociale.it/article/notiziario/tossicodipendenti_fuori_dal_carcere_e_in_strutture_stile_san_patrignano_cnca_no_educare_non_punire_[]
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1 Commento. Nuovo commento

  • Marcello Pesarini
    16/03/2023 18:28

    E’ evidente che la scelta riguardante il terzo settore e’ di utilizzarlo e, se non mette i puntini sugli i, e’ una scelta in cui l’istituzione vince. In vari comuni marchigiani alcuni centri di accoglienza per homeless, dichiarati insalubri, possono essere sostituiti da altre strutture. Pero’ le coop non hanno fondi sufficienti per pagare struttura alternativa e operatori

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