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Sanità di Frontiera e Fiorella Gazzetta, una realtà e un medico in soccorso degli ultimi

di Laura
Tussi

Da sempre Fiorella Gazzetta con l’Associazione Sanità di Frontiera lavora per rivendicare il diritto alla salute.
Nel marzo 2009 con alcuni volontari ha dato vita ad un ambulatorio per cittadini senza permesso di soggiorno e senza fissa dimora. Da agosto 2020 Associazione Sanità di Frontiera, Varese si sono costituiti in Associazione di Volontariato ETS-ODV.

Fiorella Gazzetta, raccontaci di te e della tua professione. Come sei motivata in questa tua missione in aiuto del prossimo?
Mi chiamo Fiorella Gazzetta e sono un medico. Da gennaio 2020 sono in pensione dopo 38 anni di attività come medico di base. Ho una specializzazione in Patologia della riproduzione umana, equiparata a Ginecologia. Ho praticato e tuttora pratico quella che io chiamo Ginecologia di base, perché ritengo importantissima questa attenzione di base al problema femminile sotto tutti i suoi aspetti. Fin da piccola mi sono scontrata ed incontrata con la malattia sia personale che familiare e questo mi ha aperto un mondo su come viene erogata l’assistenza a 360 gradi e su come dovrebbe essere erogata e sulle diversità ed ingiustizie e discriminazioni esistenti tutt’ora rispetto a chi è povero o privo di mezzi, non solo economici, e chi ha questi mezzi. 

Hai visto in faccia la povertà e la negazione del diritto alla salute? Cosa significa essere figlia del proletariato?
Sono una figlia del proletariato che da sempre lavora per rivendicare il diritto alla salute per tutti e soprattutto per chi questo diritto non ha o non sa di averlo e vedo con i miei occhi e la mia professionalità realtà sanitarie di alcuni paesi (Cuba, Pakistan; Mali, Palestina e Gaza, Libano nei campi profughi) e nel mio lavoro quotidiano di medico di base toccare con mano la realtà delle persone che arrivano nel nostro paese sia con che senza permesso di soggiorno mi ha guidato nel prendere decisioni e sostenere azioni per fare qualcosa di concreto.

Quali provvedimenti avete preso per aiutare i più deboli, gli emarginati: i cittadini senza permesso di soggiorno e senza fissa dimora? 
Nel marzo 2009 con alcuni volontari, sia sanitari che non, abbiamo dato vita ad un ambulatorio per cittadini senza permesso di soggiorno e senza fissa dimora.
E’ stato un momento importante in quanto era l’anno del reato di clandestinità e numerose badanti erano senza assistenza e non sapevano dove rivolgersi. 

Quali reati contro i migranti hanno commesso la legge Bossi-Fini e la Turco-Napolitano, che sono l’origine di tutte le altre leggi contro i migranti? Vero?
Abbiamo fatto molta strada da allora, ma non abbastanza in quanto ancora oggi a distanza di anni dalla legge Bossi-Fini e dalla Turco Napolitano, il diritto all’assistenza per persone senza permesso di soggiorno non è assolutamente riconosciuto da molte regioni se non con fatica e a macchia di leopardo. In Lombardia ci sono numerosi ambulatori volontari, ma la regione non ha mai istituito ambulatori dedicati. 

Qual è stato il ruolo dei sindacati a sostegno dei migranti? 
Con l’appoggio dei sindacati (sostenitori del nostro ambulatorio), dopo un intervento a livello regionale, nel 2012 siamo riusciti a farci riconoscere il diritto ad avere il Ricettario regionale per le prescrizioni sia di farmaci che di prestazioni, ricettario ora nominale per ogni medico volontario che opera nell’ ambulatorio. 

Come avete vissuto l’emergenza Covid? 
L’emergenza coronavirus ha creato però un grosso problema: improvvisamente, senza alcuna comunicazione, il nostro ambulatorio, fisicamente ospitato nella sede cittadina delle ACLI, è stato chiuso. Abbiamo lottato per la sua riapertura, appoggiati anche  dall’Assessorato ai Servizi sociali del Comune, ma ci è stato fornito un Camper: luogo attualmente non adatto per visite mediche in distanziamento e per una adeguata sanificazione. Ci è stata poi offerta la possibilità di poter lavorare in un ambulatorio ubicato presso il servizio mensa di “Casa  della Carità”,  nel quale tutt’ora, pur con qualche difficoltà logistica di spazi, riusciamo a svolgere il nostro lavoro.
I nostri utenti all’inizio sono rimasti spaesati e convinti che l’ambulatorio fosse stato proprio chiuso e piano piano hanno poi (in seguito ad una pubblicizzazione a tappeto della riapertura) ricominciato a presentarsi rigorosamente su appuntamento.

Avete anche pazienti cronici con importanti patologie che avevano sospeso le cure. Puoi parlarcene?
Sì, certamente. Pazienti cronici, che dosavano le terapie per farle bastare, che si erano fatti aiutare da parenti o conoscenti a comprare i farmaci (ai quali avevano diritto pagando solo il ticket sulle confezioni), pazienti che non si erano recati alle visite di controllo per timore di contrarre il virus e altri ai quali erano state disdette tali visite e che non sapevano a chi rivolgersi.
Abbiamo visitato pazienti a domicilio e risolto anche importanti problemi di salute e burocratici o di negazione delle cure dovute. 

Vi siete costituiti come associazione? 
Ora ad agosto 2020 ci siamo costituiti in Associazione (Associazione Sanità di Frontiera, Varese – ETS, ODV) per poter gestire in modo autonomo e secondo scienza e coscienza il nostro intervento. 

Raccontaci come si comportano i vostri pazienti/utenti. 
Gli utenti del nostro ambulatorio sono persone attente, si presentano con la mascherina e sanificano le mani senza bisogno spesso di ricordarglielo. Hanno paura e purtroppo stanno spesso rintanati nelle loro case iperaffollate con bambini e anziani e molti hanno perso il lavoro a seguito delle chiusure e del fatto che molte badanti sono state licenziate perché il lockdown aveva riportato nelle case le donne lavoratrici che così si sono prese cura esse stesse di figli e anziani, oltre che svolgere anche il lavoro in smart working. 

E le donne?
Ecco torniamo di nuovo alle donne: il carico di lavoro di assistenza e familiare grava di nuovo soprattutto  sulle loro spalle. E cosa dire delle donne e dei figli costretti a convivere 24 ore su 24 con situazioni di violenza domestica e familiare perpetrata ai loro danni e accentuata dalla rabbia ed impotenza per l’impossibilità di sfogarla all’esterno?
Ero molto preoccupata sin dall’inizio del lockdown per queste situazioni (avendole viste da vicino  nel mio lavoro quotidiano) e non intendo solo violenze fisiche ma ancor di più psicologiche. 

Quali categorie di persone subiscono maggiormente il danno di questa condizione? 
Ancora una volta chi subisce di più il danno di tutto questo sono le donne e i minori, veri emarginati e vittime della discriminazione.
Abbiamo ancora tanta strada da percorrere e noi donne dobbiamo lottare per i nostri diritti e mai dare per scontato nulla. Alziamo la testa anche se ci tengono la mazza sul collo e rivendichiamo il diritto alla libertà ed alla giustizia per noi ed i nostri figli.

Laura Tussi

Varese: Sanità di Frontiera – progetto di assistenza sanitaria per immigrati. Introduzione dell’esperienza

Sanità di Frontiera è un’esperienza di volontariato attiva a Varese dal marzo 2009. E’ un progetto di assistenza sanitaria rivolto esclusivamente a cittadini stranieri extracomunitari “temporaneamente presenti” in Italia (STP) ed alle persone senza fissa dimora, “perdute” al Servizio sanitario nazionale.
L’ambulatorio è nato dall’impegno di un gruppo di volontari, professionisti della salute e non, che, con il sostegno di parecchie associazioni varesine, hanno dato vita ad un esperimento di libera e gratuita assistenza sanitaria ambulatoriale, avvalendosi dei provvedimenti della legge Bossi- Fini. In un ambulatorio idoneo, allestito presso la sede provinciale Acli di Varese, i volontari due volte la settimana offrono una completa assistenza sanitaria di base, forniscono a chi ha difficoltà con la lingua o problemi di autonomia un orientamento e un accompagnamento ai servizi sanitari specialistici, offrono consulenza psicologica e, verificate le necessarie condizioni sanitarie, fanno proposta alla ASST di eventuale rilascio/rinnovo del codice STP, che permette agli stranieri “irregolari” di ricevere le cure necessarie nelle strutture sanitarie pubbliche ed accreditate, “a parità di trattamento coi cittadini italiani”.

Descrizione dell’ambulatorio Sanità di Frontiera: sempre in soccorso e aiuto dei più bisognosi

L’ambulatorio per gli stranieri di Varese, volontario e gratuito, funziona da quasi undici anni in supplenza degli organi di salute pubblica che dovrebbero attuare questa assistenza, a loro delegata per legge (la Bossi-Fini).
La nostra attività riduce l’ accesso, specie quello improprio, all’ ospedale, e migliora la sicurezza di tutta la cittadinanza.
Sanità di Frontiera (SDF) è frutto di un’ iniziativa autonoma di un (bel) gruppo di volontari che, quando nel 2009 fu definito il “reato di clandestinità” – poi subito ritirato -, immediatamente sorse dal nulla, sull’ onda del forte sdegno provocato da questa aberrazione giuridica. In seguito Sanità di Frontiera è divenuta un progetto dell’associazione “I colori del mondo”, onlus delle ACLI.
Nel 2019 un ministro degli interni emana decreti ulteriormente restrittivi, e mette in atto comportamenti di cui si sta occupando la magistratura. Un’ altra reazione sdegnata fa di nuovo crescere la motivazione di chi si vuole opporre, col suo lavoro volontario, allo scempio delle speranze di tante persone alla ricerca di miglior fortuna. E l’ambulatorio continua, ed anzi cresce.
Ora vi lavorano, in due turni settimanali di ricevimento, oltre 40 fra medici, infermieri, psicologi, fisioterapisti, volontari per accoglienza e per accompagnamento dei pazienti agli sportelli o a visite specialistiche.

A nome di tutti i volontari di SDF: Fiorella Gazzetta e Filippo Bianchetti, volontari medici 

Fiorella Gazzetta è medico, uno dei fondatori di SDF, tuttora volontario dal 2009; ha precedenti esperienze di volontariato medico all’ estero (Cuba, Pakistan, Mali, Palestina – Gaza e campi profughi palestinesi in Libano).
Filippo Bianchetti è medico, uno dei fondatori di SDF, tuttora volontario dal 2009; ha precedenti esperienze di volontariato medico all’ estero (Pakistan, Mali, Palestina – Gaza, campi profughi palestinesi in Libano, Cisgiordania occupata).

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