È con estrema gioia che intervisto Ultima Generazione, aria pura e preziosa. Forse non ci si aspettava che, in questi anni di individualismo e auto referenzialità, ci fosse qualcuno disposto a mettersi in gioco per gli altri, la società, il mondo, in modo radicale. Una comunità in movimento, ricca di passione, si sta attivando secondo logiche gandhiane di disobbedienza civile. L’11 e il 25 Maggio a Roma ci saranno due momenti d’incontro a cui tutti sono invitati a partecipare, con spirito generosamente rivoluzionario.
Di Ultima Generazione, della loro filosofia, delle azioni di protesta e del loro essere comunità ne parliamo con Neré referente, in UG, del gruppo di lavoro sulle assemblee popolari e che si relaziona per l’organizzazione con le altre realtà, associazioni, movimenti.
Ultima Generazione è, per me che ho vissuto gli anni dei movimenti studenteschi, Genova 2001, passando per i Social Forum, la più bella notizia in un panorama plumbeo dove non c’è rispetto per il vivente non umano, con eventi climatici estremi che non ci si sforza di arginare, guerre infinite, ingiustizie sociali. Sinora non c’era mai stata una risposta giovanile così organizzata ed efficace, nei contenuti e nei metodi e con un’anima convintamente pacifista. La vostra proposta mi sembra stia ampliandosi e diversificandosi: ci racconti chi siete e in che modo volete cambiare lo stato di cose presenti?
Grazie, perché hai notato che siamo molto organizzate (uso il femminile sovra esteso come facciamo tutte quasi sempre in UG). Siamo innanzitutto una comunità infatti, di persone che collaborano con i metodi della facilitazione, della sociocrazia, con metodi di cura, ma anche d’efficacia appunto, con processi decisionali e ridistribuzione dei compiti avanzati, un’esplicita e consapevole analisi dei ruoli di potere interni ai gruppi di lavoro, e una strategia. Speriamo che questo approccio centrato si diffonda in molti contesti, da sole non siamo nulla, l’obbiettivo è diventare un movimento di massa critica costruttiva e l’esempio di Genova è per noi emblematico, come lo è il trauma collettivo che da allora ancora si riverbera nel mondo (perché a Genova c’era il mondo in piazza, non solo l’Italia).
Potrei parlare per ore di come vogliamo cambiare lo stato di cose presenti, ma tocchi direttamente il punto cruciale perché è di risvegliare dal torpore emotivo che ci occupiamo, riattivando la speranza in un cambiamento immediato e possibile delle cose. Non è solo protestare, resistere, portare la problematica più urgente di tutte sulla bocca dei media e della gente, per rendere visibile l’invisibile, è anche esplicitare un conflitto d’interessi silenziato.
Siamo una comunità di cura con proposte concrete come il Fondo Riparazione e un piano per una democrazia reale, innovativa di sistemi elettorali in preda al più forte. Siamo una comunità di valori e visioni condivise, sogniamo insieme, e insieme affrontiamo il lutto dell’ingiustizia climatica, ambientale, sociale tutta. Teniamo momenti di comunità per conoscerci meglio e pianificare il cambiamento, non solo le azioni. Nel fare azioni portiamo il conflitto sul piatto ma prendendo precauzioni per lasciar passare chi serve e non nuocendo realmente a nessuna né a nulla. La nonviolenza sta alla base della nostra realtà.
Ad oggi la visibilità carsica della vostra realtà è percepita con curiosità. Rappresenta sicuramente un elemento di novità, che smuove le acque stantie di una politica affannata a seguire le scadenze elettorali e non riesce a costruire un futuro che sia esente da rischi di autoestinzione. Non siete un partito né volete esserlo, non ancora un movimento vero e proprio, ma qual è il profilo che volete si affermi e dove siete dislocati sui territori?
Resistenza, rappresentanza politica e democrazia, movimento culturale, mutuo appoggio, sono alcuni dei pilastri che cerchiamo di costruire per una società più giusta. Il profilo che si afferma non è per forza identitario e unico, la co-costruzione è semplificata dai metodi facilitanti che usiamo. Le narrative sono di critica e proposta attiva, iniziativa.
Le vostre modalità di azione di protesta e di interruzione (disruption), ad esempio della percorrenza di una strada, così come il fermare la fruizione di un servizio così come della visione di un’opera d’arte, portano ad un alto rischio in prima persona di sanzioni. Tutto ciò genera ammirazione in alcuni, ma molto spesso rabbia in altri, specie in chi non vi conosce o chi vive senza speranza nei cambiamenti nell’antropocene, atomizzato ed egoista. Cosa vorreste dire a chi non comprende queste azioni di generosità estrema?
I rischi legali sono alti, ma anche quelli personali non sono ignorabili. La scelta di chi imbratta o blocca è radicale: lavoro, famiglia, amicizie non sempre ne escono immutate, ma siamo molto brave a farci forza reciprocamente con spazi di emotività onesta e di sincero interesse e premura. Basta pensarci poco per capire che c’è del coraggio in questo, quindi l’ammirazione della scelta è chiara se c’è chiarezza negli intenti, lettura condivisa della realtà, un po’ di consapevolezza storica. La rabbia però è fomentata da chi non conosce la storia della disobbedienza civile così come da chi ama l’inalienabile diritto delle singole persone all’andare al lavoro, o ama il vetro su un quadro e il mondo lindo mentre la guerra miete vittime e il produttivismo impazza. L’idea che siamo pericolose dilaga perché non è diffusa l’informazione che prima dei blocchi chiamiamo l’ambulanza dicendo dove li faremo. Perché siamo una valvola di sfogo per quella società ecoansiata, senza fiducia nel cambiamento reale. A loro vogliamo parlare, per loro siamo su quella strada.
L’ecopsicologia, che ho studiato all’Università, mi ha insegnato che le persone hanno molte barriere nella ricezione delle informazioni e nella loro assimilazione per una personale modifica del proprio comportamento, o anche solo della propria opinione. Atti di coraggio possono spingere ad altri atti di presa di responsabilità in faccia a chi è e sarà sempre più colpita dal collasso ecologico. Inoltre, vedere che c’è chi si sente così disperata in relazione ad esso può aiutare a sentirsi meno sole in questo disastro e può attivare una connessione emotiva profonda e universale.
Ultima Generazione nasce come germinazione dell’inglese Extinction Rebelion: che rapporti, nazionali e internazionali, avete con questa ed altre costellazioni di realtà che lottano per un mondo migliore?
A livello internazionale siamo parte della rete A22, presente in molti Paesi europei e non. Da Extinction Rebellion (XR) siamo nate come campagna di esplorazione di nuove possibilità con richieste sempre più concrete e condivise legate all’azione generale di resistenza all’ingiustizia sociale e ambientale. Stiamo tornando a collaborare più attivamente con XR ora, dopo aver fatto questi due anni di azioni più ad alto rischio che ci hanno portato sulla bocca di tutte, ma non è facile con vissuti così forti alle spalle. Ci vogliamo bene, questo è sicuro. Molte di noi sono al confine tra i due movimenti, o in entrambi, o sono state in entrambi in qualche momento della loro vita. All’estero XR fa blocchi, ma in Italia la situazione è diversa, il panorama politico pure. Al contempo, sentire un senso d’urgenza qui mi sembra normale visto l’impatto delle catastrofi naturali. Sarà che si fa sentire sempre quel fantasmone della repressione da parte dello Stato, delle forze dell’ordine, di altri agenti. Vorremmo dialogare di più con chi è stata alluvionata, con chi coltiva la terra, con studentesse universitarie, preti ribelli, operatori sociosanitari ed altre categorie sociali impattate e svantaggiate. Pensiamo di poter imparare molto anche da loro. Ci dialoghiamo già in tanti modi e tra questi sempre più anche con assemblee facilitanti. Stiamo trovando ora le energie per rapportarci con varie realtà e cerchiamo di non fare discriminazioni di persone di destra né sinistra pur rimanendo salde sul rispetto dei diritti e di valori ecocentrici.
In che modo ritieni che la creatività sia un elemento determinante nel vostro storytelling, per scardinare un senso comune sempre più narcotizzato, svilito e sfiduciato nelle possibilità di trasformare l’inevitabilità di questo presente che pare distopico ? In che modo pensate di sviluppare questo aspetto?
La creatività sta in tutto quello che facciamo, è un’improvvisazione e costruzione costante. Nell’inevitabilità del presente distopico ci reinventiamo in corsa per spingere un movimento che vuole davvero cambiare lo stato delle cose. C’è creatività nel nostro modo di sognare, nel nostro modo di narrare la realtà dei fatti perché sia comprensibile a tutte. Costruiamo un’immagine identitaria chiara e forte per quanto fluida. L’emozione e l’esperienza dell’azione radicale sono la polpa dei nostri racconti, delle nostre storie.
A un giovane (o a un diversamente giovane, ndr) cosa diresti di fare per raggiungervi e unirsi a voi per dare un contributo attivo, secondo le disponibilità di ciascuno?
Non solo alle giovani dico che abbiamo tanti gruppi di lavoro in tanti ambiti diversi che aspettano solo le loro proposte e i loro feedback. Per esempio, feedback su come portare avanti la comunicazione, come fare cultura e governance con professionalità, come curare logistica e raccolta fondi con schematicità e capacità d’analisi, come applicare competenze tecniche in progetti ampi e come passare una spinta motivazionale valoriale. Stiamo partendo con tante attività e azioni diverse dalle classiche ad alto rischio, e alcune sono a rischio nullo, come certe assemblee. Abbiamo anche capacità collaborativa e non vediamo l’ora di ricevere proposte da voi anche come associazioni di persone. Grazie.
Leonardo Ragozzino