Proponiamo, con lo stesso titolo, l’intervista di Alba Vastano a Giovanni Russo Spena, pubblicata da Lavoro e salute –
Si vota di nuovo. Ormai si viaggia con la tessera elettorale sempre in tasca. Il 12 giugno prossimo le urne attendono milioni di elettori. Il voto, in questa tornata elettorale, è doppio per due cause ben diverse. E per le amministrative (ndr, in 978 Comuni ) e per i referendum sulla giustizia. Mentre il voto per le amministrative è più d’impatto, in quanto si va per simpatia del candidato di turno e per affinità ai corrispondenti partiti, il voto referendario sul tema della giustizia comporta un reticolato di difficoltà, in quanto il tema è complesso e ai più sconosciuto nelle norme legislative che lo regolano. Tanto più che i media fanno informazione limitata sui fatti correnti del Paese, anche a causa della guerra in corso in Ucraina con eventi tam-tam martellanti che assorbono h. 24 l’informazione mediatica.
C’è anche un altro motivo che rende poco accattivante l’interessarsi al referendum nello specifico, infatti per decriptare i quesiti ed evincerne il senso bisognerebbe prender lezioni full time da giuristi, esperti nei temi specifici legati ai grandi temi del referendum prossimo e non sarebbe davvero sufficiente l’informazione mainstream. Avete provato a dare un’occhiata ai quesiti? Sono formulati con codice linguistico in modalità burocratese.
Proviamo a leggere cosa ne pensa del referendum sulla giustizia Giovanni Russo Spena, giurista garantista, ex parlamentare (senatore XIII-XV legislatura), responsabile giustizia e area legale del Partito della Rifondazione comunista/ Sinistra europea.
Alba Vastano: Salve Giovanni, partirei ab origine della questione chiedendoti i motivi per cui è stato promosso questo referendum che è abrogativo e da quali forze parlamentari è partita la proposta.
Giovanni Russo Spena: Il referendum è promosso da 9 consigli regionali a maggioranza di centrodestra. Attiene al solito scontro tra politica e magistratura, che è fattore di logoramento della democrazia costituzionale. I referendum parlano, con forte strumentalizzazione propagandistica, di “giustizia giusta”. Credo, invece, che vada respinta questa impostazione, perché si tratta, in definitiva, del solito tentativo di una parte del potere costituito di limitare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura. La quale, a sua volta, come da anni denunciamo, è dilaniata dal correntismo, dall’abbandono di forti idealità, dal mercato tra dirigenti politici e alti magistrati corrotti. La magistratura, che ritengo in larga maggioranza sana, dovrebbe ripartire dalla consapevolezza degli errori compiuti , dalla necessità di recuperare un rapporto di stima e fiducia con la cittadinanza.
A.V.: Il 12 giugno 51 milioni di elettori sono chiamati alle urne per esprimersi, tramite 5 quesiti referendari sul tema della giustizia. Non tutti gli elettori sono ferrati nel campo delle norme giuridiche relative ai quesiti che sono espressi in linguaggio burocratese e tecnico.
G.R.S.: Mi limito ad un riflessione storica, di sistema. Quale rapporto tra Parlamento (democrazia rappresentativa) ed istituto referendario? Credo, alla luce degli articoli 71 e 75 della Costituzione, nel rapporto dialettico. I referendum, attuati soprattutto dalla metà degli anni ’70, hanno inciso moltissimo sulla cultura del Paese. Grandi temi: divorzio, aborto, no al nucleare, acqua pubblica bene comune ecc. Ma proprio per questo ritengo sbagliato un “pacchetto referendario”, ipertecnicista, che tagliuzza centinaia di leggi, dovendo rispettare il carattere abrogativo costituzionale. La popolazione non può capire. Si allontana da un istituto referendario utilizzato strumentalmente. Non è questa la strada per una “giustizia giusta”, come, con enfasi inopportuna e grottesca, sostengono Lega, Forza Italia, Italia Viva. Per questo credo che si possa votare 5 NO, rifiutando l’impianto e la manovra strumentale, o anche astenersi dal votare, in tutto o in parte, tenendo conto che la legge referendaria impone, per la validità, il quorum del cinquanta per cento più uno. Non a caso. Legge saggia, contro gli eccessi referendari.
A.V.: Entriamo nel merito dei 5 quesiti, con la speranza di poter far passare un’informazione utile alla causa che dalla nostra parte è per il No, spiegandone i motivi.
G.R.S.: Dei cinque quesiti due sono ininfluenti perché assorbiti dalla “riforma Cartabia” che verrà votata a metà giugno. Tre sono i quesiti dei quali come giuristi e partiti stiamo discutendo.
A.V.: Allora analizziamo, per renderli meno ostici agli elettori i tre maxi temi del referendum ‘«Volete voi che sia abrogato il decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235 (Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità e di divieto di ricoprire cariche elettive e di Governo…’, corrisponde al primo quesito in scheda rossa. Da garantista cosa ne pensi del fatto che i proponenti intendono cancellare la legge Severino?
G.R.S.: Con un tratto di penna i proponenti vogliono cancellare gran parte della legge Severino, cioè la legge che prevede la non candidabilità e la decadenza per coloro che hanno subito una condanna superiore ai due anni. La regola vale per le candidature al Parlamento italiano ed europeo e per i ruoli di governo. Si applica anche, ma solo per alcuni reati, agli amministratori locali, che vengono sospesi dalla carica anche dopo la sentenza di primo grado. Quest’ultimo punto a me non piace ed è stato giustamente criticato anche dall’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani. Ma non per questo possiamo abrogare per intero una legge che punisce chi non svolge la propria funzione con dignità ed onestà. La legge andrà corretta in Parlamento. Ma il “garantismo dei potenti” (alla Sgarbi) per noi veri garantisti è insopportabile.
A.V.: «Volete voi che sia abrogato il decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n.447 (Approvazione del codice di procedura penale) risultante dalle modificazioni e integrazioni successivamente apportate, limitatamente alla seguente parte: art. 274, comma 1, lettera c), limitatamente alle parole.. “. Ѐ il secondo quesito in scheda arancione. Il tema è la custodia cautelare. Puoi commentarlo, esprimendo il tuo pensiero sullo specifico tema?
G.R.S.: Il quesito che ritengo più importante è quello collegato all’abuso della custodia cautelare, contro il quale combatto da una vita. Tema fondativo per uno Stato di diritto, perché la custodia cautelare spesso si trasforma in un anticipo della pena: il carcere senza processo e senza sentenza. Ne soffre soprattutto la “povera gente”. Sappiamo, infatti, che l’esecuzione penale ha risvolti classisti. Qual è, allora, il punto? Il quesito, che affronta un tema così rilevante, se vincesse il SI, porterebbe conseguenze molto dannose. Perché esso non interviene sugli abusi, ma opera una riduzione del campo di applicazione. Sarebbero impuniti reati come il finanziamento illecito dei partiti (non a caso), reati ambientali, femminicidi, perché il giudice non potrebbe emettere misure cautelari basate sul pericolo di “reiterazione del reato”, se non per alcune tipologie di reato.
A.V.: Il terzo quesito (in scheda gialla) riguarda la funzione dei magistrati. In breve si chiede: Volete abrogare la norma che oggi consente di passare, nel corso della propria carriera, dal ruolo di giudice a quello di pubblico ministero (accusatore) e viceversa?
G.R.S.: Ѐ molto importante opporsi al quesito sulla separazione delle carriere. Il quesito è incostituzionale. L’art. 104 della Costituzione recita: “la magistratura costituisce un ordine indipendente ed autonomo da ogni altro potere”. E l’art. 107 scrive: ”i magistrati si distinguono tra loro solo per diversità di funzioni”. La magistratura giudicante e quella requirente (pubblici ministeri) fanno parte dello stesso ordine; la loro carriera è gestita dallo stesso organo di autogoverno (Consiglio Superiore della Magistratura). In questo contesto, a differenza che nel passato, il pubblico ministero gode delle stesse garanzie di indipendenza. Le destre hanno spesso tentato, negli ultimi anni, di ricondurre il pubblico ministero sotto il controllo del potere politico, ma si è scontrata con il dettato costituzionale.
A.V.: Qual è la differenza sostanziale fra separazione delle carriere e separazione delle funzioni?
G.R.S.: Io sono, invece, per la separazione delle funzioni (non delle carriere), prevedendo anche un solo passaggio tra giudice e pubblico ministero. E’ giusto evitare passaggi da una parte all’altra senza motivo. Ma il quesito referendario tende ad elevare uno steccato tra le due carriere, chiudendo il pubblico ministero in un ghetto dal quale non potrebbe più uscire nel corso di tutta la sua carriera professionale. Diventerebbe automaticamente, oggettivamente, un “passacarte” delle Sezioni di Polizia Giudiziaria, un “braccio armato” del governo; non più parte imparziale del processo ma avvocato dell’accusa. Allontanando il pubblico ministero dalla cultura della giurisdizione. Ma io credo molto nella obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 della Cost.): “il P.M. ha l’obbligo di esercitare l’azione penale” In definitiva, il “pacchetto referendario” proposto dalle destre, se fosse approvato, produrrebbe una lesione nell’impianto costituzionale.
A.V.: Un consiglio all’elettore smarrito di fronte a quesiti troppo tecnici in materia di giustizia? Qual è la posizione più corretta da assumere rispetto al voto referendario?
G.R.S.: Votiamo NO, oppure non andiamo a votare (come propone e permette la stessa legge che regola i referendum) affinché non raggiunga il quorum espressamente richiesto (cinquanta per cento più uno).
A.V.: Ultima domanda che rivolgo a te come giurista garantista. Come valuti l’impianto della giustizia italiana e le sue leggi? Tu, in realtà cosa modificheresti, ad esempio sul sistema carcerario, della cui modifica sei da sempre un fautore?
G.R.S.: Ben più profonda riflessione merita la riforma della giustizia, riforma necessaria. Dopo anni di arretramento, sono necessari radicali interventi di forte segno democratico, anche per costruire un argine al degrado securitario, patriarcale, omofobo, proibizionista, razzista. Quanti “pacchetti sicurezza” repressivi dovremo abrogare? Non occorre, forse, ripristinare il rispetto della concezione costituzionale della pena (“mai vendetta di Stato”, disse l’Assemblea Costituente), allargando i campi di applicazione delle misure alternative al carcere, fissando, come in quasi tutti i Paesi europei, un tetto massimo alla pena detentiva. Viviamo un passaggio di fase pericoloso. L’emergenzialismo post pandemia e, ora, il clima di guerra stanno segnando una deriva verso lo “Stato di eccezione”, lo “Stato del controllo”. Si diffondono misure repressive, arresti domiciliari, fogli di via, obblighi di firma, come strumenti del potere per “insorgenze di ordine pubblico”; cioè per colpire attivisti politici, movimenti sociali, soggetti critici verso il potere. I casi stanno diventando numerosissimi. Sembra, insomma, che all’ordinamento penale sia stata delegata la regolazione dei conti con il conflitto sociale. Dobbiamo lanciare una sfida alta, democratica, che rinnovi e rafforzi le istituzioni repubblicane.