di Andrea Allamprese [*] – Premessa
Tra il 2015 e il 2017 abbiamo assistito, in alcuni paesi europei (Francia, Gran Bretagna, Italia e Spagna), alla ripresa di uno sforzo di elaborazione progettuale da parte di gruppi di studiosi/e (sovente vicini/e al sindacato) con l’obiettivo di sintetizzare in una proposta organica (in alcuni casi, un vero e proprio articolato di legge) le riforme o risposte normative che appaiono necessarie per contrastare, e sperabilmente rovesciare, quel progetto di multiforme precarizzazione dei rapporti di lavoro, e di forte degrado degli standard di tutela, che ha caratterizzato gli ultimi trent’anni.
La precarizzazione è stata “multiforme” perché ha colpito l’insieme del mondo del lavoro, e non soltanto questo o quel segmento, e perché a tal fine ha utilizzato diverse vie e strumenti. Così l’uso (e l’abuso) dei rapporti di lavoro parasubordinato (collaborazioni coordinate e continuative in Italia) ed “atipico” (i c.d. “contratti a zero ore” in Gran Bretagna, contratti a termine di breve durata in Francia, Italia e Spagna), al posto del rapporto di lavoro subordinato stabile, è stato diretto principalmente contro i giovani, ai quali è stato precluso l’ottenimento di un’appagante, o almeno sufficiente, condizione di vita e di lavoro. Contro i lavoratori del settore terziario è stata, d’altro canto, per lo più diretta la possibilità, sempre più ampia, di apporre un termine di durata al rapporto di lavoro. Per altro verso, gli interventi legislativi di manomissione di un tradizionale quadro di garanzie (si pensi alla disciplina del licenziamento), hanno rimesso in discussione, ed esposto a pericoli di precarizzazione, anche la condizione del “nucleo forte” dei lavoratori subordinati a tempo indeterminato nei settori industriali e manifatturieri. La precarizzazione non è, infine, fenomeno che riguardi solo il lavoro privato, essendo anzi diffusissima, seppur per diverse ragioni, anche nel settore pubblico, dove può addirittura contare – in paesi come la Francia e l’Italia – sull’esenzione dalle principali norme restrittive o sanzionatorie ancora vigenti nel settore privato.
Alla luce di quanto detto, le quattro proposte prese in considerazione in questa nota hanno in comune una forte tensione a privilegiare, nella progettazione, la tutela dei diritti primari della persona (e la loro garanzia e realizzazione nel rapporti di lavoro) e la matrice democratica delle fonti regolative, da ricondurre, per quanto possibile, piuttosto che alle istanze legali ed autoritative, alla autonomia collettiva, purché, però, contrassegnata non dalla autereferenzialità degli attori della negoziazione, ma dalla preventiva misurazione della rappresentatività e dalla successiva ratifica degli interessi.
Francia: la proposta di Codice del lavoro del gruppo Gr-PACT
La chiarezza del diritto è un’esigenza formale primordiale che consente alle lavoratrici e ai lavoratori, e ai loro rappresentanti, di appropriarsi delle norme ed essere in grado di “agirle”. Quest’esigenza è al cuore della “Proposta di Codice del lavoro” elaborata tra il 2015 e il 2017 dal gruppo di studiosi/e francesi Gr-PACT (Groupe de recherche pour un autre Code du travail). All’esigenza di chiarezza si aggiunge l’obiettivo dell’estensione dei diritti e quello dell’effettività del diritto sociale (dalle garanzie di accesso alla giustizia per i lavoratori fino alle norme sull’attività ispettiva e sulla medicina del lavoro).
L’estensione della qualificazione di lavoro dipendente, e delle relative tutele, potrebbe essere raggiunta integrando il criterio della subordinazione con un altro criterio, quello della dipendenza economica. È questa la proposta fatta, recentemente, da Alain Supiot in un articolo apparso su Le monde diplomatique nel 2017. E questa è anche la proposta avanzata dal Gr-PACT.
Secondo gli autori di quest’ultimo progetto di Codice del lavoro, oltre al lavoratore giuridicamente subordinato, sarebbe lavoratore dipendente “ogni persona fisica che esegue il lavoro sotto il potere di fatto o alle dipendenze di altri” (art. L 11-3). Questa proposta è stata chiaramente pensata per rispondere al problema della sotto-protezione dei lavoratori delle piattaforme digitali. Indipendentemente dal grado di diluizione del potere, attraverso l’esternalizzazione o attraverso tecniche di assoggettamento dei lavoratori, questi lavoratori sono lavoratori dipendenti (Darringer).
Gran Bretagna: la proposta di “Manifesto per il diritto del lavoro”
Nello stesso alveo della proposta francese si colloca il progetto di un gruppo di studiosi/e inglesi vicini alla confederazione britannica TUC pubblicato nel 2016: “A Manifesto for Labour Law: towards a comprehensive revision of workers’ rights”.
Gli autori del Manifesto propongono di spostare il baricentro della regolazione dalla legge alla contrattazione collettiva (par. 4.1.): la legge fissa i minimi standard uguali per tutti, mentre la contrattazione a livello settoriale ha il compito di regolare i dettagli della prestazione lavorativa in alcune macro-aree: minimi salariali; tempo di lavoro (con particolare attenzione al problema dei contratti a zero ore); uguaglianza (dovrebbe essere imposto per legge ai datori di costituire sul luogo di lavoro un “forum” dell’uguaglianza, ove affrontare il nodo delle discriminazioni con i rappresentanti sindacali); salute e sicurezza, ecc. Una Commissione lavoro di categoria avrebbe il compito di stipulare contratti collettivi di categoria, obbligatori per tutti coloro che operano nel settore (par. 3.13 ss.). I contratti collettivi aziendali (per un singolo datore di lavoro o per un gruppo) potrebbero derogare solo in senso migliorativo le condizioni fissate dai contratti collettivi di categoria (par. 3.17). Questi contratti aziendali potrebbero essere firmati solo da sindacati che rappresentano almeno il 10% dei lavoratori dell’impresa (par. 3.18).
Gli standard legislativi esistenti dovrebbero essere applicati universalmente a tutti i lavoratori, ed effettivi (par. 5.1). Pertanto, la definizione legale di “worker” (che attualmente lascia fuori molti lavoratori precari, dai somministrati ai lavoratori delle piattaforme digitali) dovrebbe essere ampliata (par. 5.8 e punto 11 delle raccomandazioni) e dovrebbe essere prevista una presunzione legale relativa per cui chiunque presta un’attività lavorativa a favore altrui, senza svolgere un’attività economica per proprio conto, si ritiene, salvo prova contraria, “worker” (par. 5.9). Gli autori del Manifesto propongono poi di considerare che la “continuity of employment” non sia interrotta quando il lavoratore non presta alcuna attività lavorativa ma gli può essere richiesta, in base al contratto firmato con il datore di lavoro, una futura prestazione (par. 5.11)[1].
Italia: la proposta di “Carta dei diritti universali del lavoro”
Nonostante tutto, anche alla luce delle due proposte sopra ricordate, un’operazione giuridica di qualificazione del rapporto di lavoro rimane necessaria e il suo risultato rischia sempre di condurre all’esclusione dal lavoro dipendente di alcuni lavoratori c.d. “uberizzati” (Darringer). Per questo motivo, la proposta di legge di iniziativa popolare “Carta dei diritti universali del lavoro”, presentata nel 2016 dalla Confederazione Generale Italiana del Lavoro, propone di andare oltre, ripensando le basi del diritto sociale, in particolare nella prospettiva di una tutela sociale universale. L’idea di fondo è che occorre guardare al superamento di quella che si potrebbe definire “barriera qualificatoria”, per approdare a soluzioni volte ad assicurare tutele diffuse che prescindono dalla natura dei rapporti di lavoro e sono legate solo alla persona del lavoratore e all’attività materiale dallo stesso svolta (Carabelli).
Così il Titolo I della Carta è dedicato a diritti che si applicano tanto al lavoro subordinato, quanto al lavoro autonomo. Solo per pochissimi tratti la disciplina del lavoro autonomo viene differenziata rispetto a quella del lavoro dipendente quanto ai diritti fondamentali dei lavoratori.
Poi sono definite tutele ulteriori in base alle specifiche caratteristiche del rapporto. Infatti il nucleo di diritti comuni è integrato da due cerchi concentrici: quello del lavoro subordinato disciplinato dal Titolo III; quello delle collaborazioni continuative e coordinate con l’organizzazione del committente e dei contratti di lavoro autonomo economicamente dipendente (tali sono i lavoratori autonomi i quali svolgano in favore del singolo committente attività lavorative per un periodo superiore a 6 mesi annui e ricavino da esse almeno il 60% dei loro ricavi annui), entrambi ricondotti al lavoro subordinato, pur con una peculiarità riguardante i poteri di direzione e quindi l’autonomia del lavoratore nella gestione delle prestazioni (art. 42, commi 2 e 3, della Carta).
In tal modo la Carta dei diritti si preoccupa anche che il lavoro autonomo – o meglio l’utilizzazione strumentale e impropria di contratti di lavoro autonomo – non diventi un modo per una fuga dalle garanzie proprie del lavoro subordinato. L’unico modo per ottenere questo è equiparare i costi sostanziali, economici e normativi, di questi lavoratori, sicché la scelta dei datori di lavoro dovrà essere funzionale ad obiettivi meramente organizzativi. La soluzione è quindi quella di estendere a questi lavoratori le stesse tutele previste per il lavoro subordinato.
Spagna: la proposta “per un modello più democratico di rapporti di lavoro”
Nello stesso alveo dei progetti sopra delineati (per quanto riguarda la necessità di privilegiare, nella progettazione, la tutela dei diritti primari della persona e la loro garanzia e realizzazione nel rapporto di lavoro) si colloca la proposta del sindacato spagnolo più rappresentativo, Commissiones Obreras, resa pubblica nel 2015: «para un modelo más democrático de relaciones laborales y un cambio en la política económica y social».
La proposta delle CC.OO. è stata presentata in un periodo politico particolarmente sfavorevole, in cui i governi del Partido Popular avevano modificato parti significative dell’Estatuto de los trabajadores, che contiene le norme individuali e collettive più significative per il rapporto di lavoro. In questo contesto, la proposta punta ad una revisione dell’intero Estatuto, con l’obiettivo di rafforzarne la struttura in senso maggiormente democratico. In questo senso si propone il rafforzamento del riconoscimento dei diritti fondamentali dei lavoratori, attraverso l’inserimento di un titolo specifico nell’Estatuto su temi quali: la privacy, il diritto alla salute ed alla sicurezza, il diritto antidiscriminatorio.
Ovviamente, la proposta si adatta ai problemi più significativi del mercato del lavoro spagnolo; pertanto, l’accento viene posto sul contratto di lavoro a tempo indeterminato come forma tipica di assunzione (vista l’elevata percentuale di lavori a tempo determinato, che si aggira intorno al 30% della forza lavoro), e sul rafforzamento del principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo parziale e lavoratori a tempo pieno. Per questo motivo, si trova nella proposta anche una parte dedicata ai licenziamenti, sia individuali sia collettivi, che nell’ordinamento spagnolo sono sempre stati tutelati attraverso il riconoscimento al lavoratore di un indennizzo e solo in casi estremamente gravi attraverso la reintegrazione nel posto di lavoro.
Bibliografia
Carabelli, Presentazione del Convegno e introduzione dei lavori, in Il lavoro nelle piattaforme digitali, Quaderno RGL, n. 2/2017.
CC.OO., Propuesta para un modelo más democrático de relaciones laborales y un cambio en la política económica y social, 6 ottobre 2015.
CGIL, Carta dei diritti universali del lavoro, 2016.
Darringer, Progetti e sviluppi normativi per la tutela del lavoro nelle piattaforme digitali in alcuni Paesi europei e nell’Unione Europea, in Il lavoro nelle piattaforme digitali, Quaderno RGL, n. 2/2017.
Dockés (diretto da), Gr-PACT – Proposition pour un autre code du travail, Dalloz, Paris, 2017.
K.D. Ewing, J. Hendy, C. Jones (ed.), A Manifesto for Labour Law: towards a comprehensive revision of workers’ rights”, The Institute of Employment Rights, London, 2016.
Fundación 1° de Mayo, Diez propuestas para un nuevo Estatuto de los Trabajadores con 50 medidas, 21 maggio 2015.
Supiot, Et si l’on refondait le droit du travail… , in Le Monde Diplomatique, ottobre 2017.
Note
[*] Università di Modena e Reggio Emilia
[1] Uno dei criteri elaborati dalle corti britanniche per qualificare un rapporto di lavoro è il c.d. “mutuality of obligation test”: in base a tale test, il vincolo di subordinazione sussiste qualora il datore di lavoro sia obbligato a richiedere una prestazione di lavoro e il lavoratore sia obbligato a svolgere la prestazione di lavoro richiesta. Ne consegue che i lavoratori assunti con un “contratto a zero ore” non riescono quasi mai a raggiungere la durata minima del rapporto di lavoro (“continuity of employment”) necessaria per beneficiare, nel Regno unito, di numerose tutele lavoristiche (quali, ad esempio, le normative sui licenziamenti individuali e collettivi).