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Processo per genocidio

di Luciano
Beolchi

L’11 gennaio 2024 la Corte Internazionale di Giustizia dell’Aja ha ascoltato per bocca della delegazione sudafricana il contenuto della denuncia del Sudafrica contro Israele in merito alla violazione della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio del 1948.
Tre ore di udienza cui ha fatto seguito il giorno successivo la replica di Israele. Della prima le reti internazionali hanno dato ragguagli e l’hanno commentata. La seconda è stata trasmessa in diretta per tutta la sua durata. Ad ascoltare le due parti sono 15 giudici indicati dai rispettivi governi cui si aggiungono due membri a rappresentare le due parti in causa: Dikgang Ernest Moseneke per il Sudafrica e Aharon Barak per Israele.
Del consesso di 15 magistrati fanno parte quelli nominati dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza: USA, Cina, Russia e Francia cui si aggiungono Giamaica, Australia, Brasile, Germania, India, Giappone, Libano, Marocco, Slovacchia, Somalia e Uganda.

La Corte Internazionale di Giustizia è un organo della Nazioni Unite e le sue sentenze decisioni e pareri sono sottoposte – per l’irrogazione di eventuali sanzioni – alle decisioni dell’Assemblea, e sono sempre condizionate dal diritto di veto dei membri del Consiglio di Sicurezza. Così è stato nel 2003 quando l’Assemblea aveva chiesto alla Corte un parere urgente circa la legalità o meno della costruzione del muro in Cisgiordania. Nel giro di poche settimane la Corte aveva rilasciato il suo parere denunciando la grave illegalità di quell’atto che configurava un’annessione di fatto della Cisgiordania, ma nessuna azione era seguita da parte delle Nazioni Unite a causa del veto degli Stati Uniti. Lo stesso è prevedibile capiti nel caso attuale, sia che Israele non rispetti l’eventuale ingiunzione della CIG a cessare le operazioni militari e ad astenersi dal commettere atti genocidari; sia che, alla fine di un lungo processo che potrebbe durare anni, la Corte riconosca Israele colpevole del crimine imputatogli.  In questo caso tuttavia il riconoscimento di un intento genocidario, oltre a essere una condanna morale di peso incalcolabile, potrebbe avere molteplici ricadute sul piano delle relazioni internazionali; e anche il recente dispositivo approvato dalla Camera dei Comuni del Regno Unito che vieta qualsiasi campagna di boicottaggio dei prodotti israeliani faticherebbe a ottenere lo stesso risultato alla Camera dei Lord1.

Diverso il caso della Corte Penale Internazionale – l’Istituto che in marzo ha emesso mandato di cattura contro Vladimir Putin. La Corte Penale Internazionale non è organo delle Nazioni Unite e, entro certi limiti, è autonomo da essa ed è per questo motivo che il Procuratore Generale Kahn è corso a rassicurare le autorità israeliane, in maniera del tutto irrituale, che nessun provvedimento sarà aperto contro di loro; né alcuna inchiesta sarà avviata, qualunque cosa possano fare. Ma anche questa licenza di uccidere potrebbe soffrire di fronte a una pronuncia della Corte di Giustizia sfavorevole a Israele.

Si cominciano a fare i conti su come saranno deliberati i voti dei diciassette magistrati rispetto a un provvedimento restrittivo d’urgenza (restraint) che sarebbe per Israele una sconfitta devastante anche perché il procedimento non prevede appello e tale decisione potrebbe giungere a breve. I magistrati giudicanti sono nominati in quella posizione dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite per la durata di nove anni – dopo essere stati indicati dai rispettivi governi – ed è evidente, per quanto siano formalmente liberi nelle loro decisioni, che quella posizione di dipendenza li subordina in qualche modo non formale alle decisioni dei governi.  Israele chiede ai governi amici di pronunciarsi come tali, in modo da esercitare pressione sui magistrati da loro nominati. I magistrati nominati da Stati Uniti, Francia, per dire dei membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, difficilmente voteranno per il restraint. Lo stesso vale per Germania, Giappone e Australia. Dell’Uganda sono noti i rapporti d’affari di lunga data con Israele. Con il voto di Israele sarebbero già sette voti su diciassette contro la condanna.

Dall’altra parte dovremmo trovare Sudafrica, Somalia e Libano e probabilmente Giamaica. Gli occidentali contano molto sugli scheletri nell’armadio di Russia e Cina: ma sembrano non tenere conto che pur trovandosi in una situazione per certi versi simile il governo turco non ha esitato a schierarsi con la Palestina; e saremmo a 6. Restano da vedere le posizioni dell’India – che comunque è un pilastro dei BRICS – del Marocco, della Slovacchia e del Brasile che difficilmente si schiererà contro la Palestina. E saremmo con ciò 8 a 6, con tre incerti. Ma il Marocco fa parte di un mondo arabo e islamico che potrebbe abbandonare solo in cambio del Sahara, isolandosi per i prossimi 50 anni e senza comunque avere la sicurezza che gli occidentali rispettino l’accordo.

Corte Internazionale di Giustizia e Tribunale Penale internazionale

Come abbiamo cercato di spiegare in numeri precedenti di questa rivista la sede naturale in cui dibattere un procedimento come quello richiesto dal Sudafrica sarebbe stata la Corte Penale Internazionale; quella stessa che ha emesso mandato di cattura internazionale contro Putin e che avrebbe potuto fare la stessa cosa contro Netanyahu con almeno una trentina di validi motivi per utilizzare nei suoi riguardi lo stesso trattamento usato per Putin. Così non è stato e anzi il procuratore Khan si è precipitato in Israele per rassicurare dirigenti ed esercito che hanno immunità permanente qualunque cosa facciano.

Restava la Corte Internazionale di Giustizia organo delle Nazioni Unite a differenza del precedente che dal 1947 ad oggi ha trattato circa 200 casi, nella maggior parte dispute frontaliere tra stati confinanti. In pochi casi è stata chiamata in causa per problemi più strettamente politici.

Iniziativa sudafricana2

Il 29 dicembre 2023, il governo del Sudafrica ha formalmente accusato lo Stato israeliano di violazione della convenzione internazionale contro il genocidio. Il governo israeliano ha riempito d’insulti quello sudafricano, chiamandolo avvocato del diavolo e definendo l’accusa un’assurda, sporca calunnia (absurd, bloody libel). Ha però deciso di intervenire nel procedimento, visto che non è riuscito a cancellarlo, come invece ha già ottenuto dalla Corte Penale Internazionale che ha concesso un provvidenziale salvacondotto nonostante lo Stato d’Israele non abbia sottoscritto lo Statuto di Roma della Corte medesima. Ben vengano dunque le guarentigie graziosamente offerte dal procuratore Khan sempre al servizio dei potenti.
Altra faccenda quella della Corte Internazionale di Giustizia perché la Convenzione del 1948 contro il genocidio è sottoscritta da entrambi gli stati e dunque il procedimento andrebbe avanti anche se Israele non si presentasse, a differenza di quanto prevede lo Statuto di Roma della CPI. La ICJ esiste dal 1946 ed è, a differenza della CPI, organo giudiziario delle Nazioni Unite. È dunque sorta precedentemente alla Convenzione contro il genocidio che in linea di principio dovrebbe afferire alla CPI. La ICJ è nota per dirimere le controversie tra stati e il Sudafrica ha dichiarato che tale controversia esiste perché la RSA ha accusato Israele di genocidio con una nota ufficiale, accusa che Israele si è limitato a respingere.
Avrebbe potuto, per evitare il procedimento internazionale, avviare in base a quella denuncia un procedimento interno, ma ha evitato di farlo. Entrambi gli stati aderiscono alla Convenzione del 1948 contro il genocidio.

Il Sudafrica ha dettagliato le violazioni commesse dallo stato ebraico.
Dal 7 ottobre nella Striscia di Gaza, Israele ha ucciso oltre 20.000 palestinesi di cui il 70% donne e bambini (nel procedimento Israele cercherà di sostenere che si sono uccisi da soli o che li ha uccisi Hamas); ha causato l’evacuazione forzata di 2 milioni di palestinesi (popolazione civile); ha costretto alla fame e alla sete la popolazione assediata, prodotto danni fisici, traumi psicologici, trattamento inumano e degradante, non ha provveduto e anzi ha deliberatamente compromesso adeguati vestiti, rifugi, igiene fino all’uccisione dei rifugiati [e dei prigionieri]; ha devastato il sistema sanitario fino a distruggere [più della metà] degli ospedali e ambulanze uccidendo medici e infermieri, distrutto la vita comune dei palestinesi; sradicato la memoria storica e ucciso figure preminenti della società civile; non ultimo, ha compromesso la nascita stessa dei palestinesi attraverso la violenza riproduttiva inflitta alle donne palestinesi, ai neonati, agli infanti e ai bambini.

Per la Convenzione del 1948: “Vi è genocidio se vi è l’intenzione di distruggere in tutto o in parte un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso come tale” (art. 2).
Per dimostrare che vi è dolus specialis il documento riporta dichiarazioni di esponenti israeliani dal presidente Herzog al primo ministro Netanyahu, ai comandanti militari fino a esponenti le cui opinioni non sono state in alcun modo contrastate (violando in tal modo l’obbligo alla prevenzione del genocidio). Riporta a questo proposito espressione come “Lotta tra i figli della luce e i figli delle tenebre”. Si evoca il destino di Amalek; i palestinesi sono disumanizzati, si nega la distinzione tra miliziani e civili fino a “invocare la cancellazione di Gaza dalla faccia della terra”.

Il Sudafrica è consapevole che “l’atto di genocidio è parte di un continuum” come teorizzato dall’intellettuale ebreo Raphael Lemkin che ha coniato l’espressione. Il documento, che condanna l’attacco del 7 ottobre, lo inserisce nel contesto di 75 anni di apartheid, 56 anni di occupazione e i 16 del blocco di Gaza.
Sulla base dell’articolo 41 dello Statuto della Corte Internazionale di Giustizia, il Sudafrica chiede “Provvedimenti provvisori che ingiungano Israele di fermare la guerra e prevenire il genocidio”.

Sulla base della sua giurisprudenza la Corte non deve stabilire se la violazione della Convenzione “esiste”, ma solo se è “almeno plausibile”, ossia “fondata su una possibile interpretazione della Convenzione”, se c’è insomma un rischio reale di genocidio.
Su una decisione di questo genere della Corte Internazionale di Giustizia (ICJ) non ci sarebbero diritti di veto del Consiglio di Sicurezza

Il procedimento

La denuncia sudafricana è contenuta in un esposto di 84 pagine consegnato il 29 dicembre alla Corte Internazionale di giustizia dell’Aja.
I sei legali della delegazione sudafricana che hanno parlato a favore della denuncia:

  • Adila Hassim: rischio di atto di genocidio e vulnerabilità perpetua derivante
  • Tembeka Ncgukatoibi: sul presunto intento genocida
  • John Dugard: giurisdizione di merito
  • Blinne Nì Ghràlaigh (irlandese): urgenza e potenziale danno irreparabile3
  • Max du Plessis: diritti attualmente minacciati
  • Vaughan Lowe: misure provvisorie richieste

Ad aprire e a chiudere le argomentazioni legali è stato l’ambasciatore del Sudafrica nei Paesi Bassi, Vusimuzi Madonsela. Dopo di lui è intervenuto il ministro della giustizia del Sudafrica Roland Lamola, che ha dichiarato: “Il Sudafrica riconosce la continua Nabka del popolo palestinese attraverso la colonizzazione israeliana a partire dal 1948”.

La guida della difesa di Israele è affidata all’avvocato britannico Malcolm Shaw KC4.
Secondo il dissidente ebreo Norman G. Finkelstein bandito da Israele per aver pubblicato L’industria dell’Olocausto dove definiva Israele stato suprematista ebraico, c’è poco da aspettarsi dalla CIG che fotografa essa stessa i rapporti di forza a livello internazionale anche nella composizione del collegio giudicante.
Dopo il procedimento orale, la Corte delibera a porte chiuse e pronuncia la sentenza in seduta pubblica. La sentenza è definitiva, vincolante per le parti in causa e inappellabile (al massimo può essere soggetta a interpretazione o, alla scoperta di un nuovo fatto, a revisione). Ogni giudice che lo desideri può allegare un parere alla sentenza.
Firmando la Carta, uno Stato membro delle Nazioni Unite si impegna a rispettare la decisione della Corte in ogni caso in cui sia parte in causa. Inoltre, poiché un caso può essere sottoposto alla Corte e deciso da essa solo se le parti hanno in un modo o nell’altro acconsentito alla sua giurisdizione sul caso, è raro che una decisione non venga applicata. Uno Stato che ritenga che la controparte non abbia adempiuto agli obblighi che gli incombono in virtù di una sentenza pronunciata dalla Corte può sottoporre la questione al Consiglio di Sicurezza, che ha il potere di raccomandare o decidere le misure da adottare per dare esecuzione alla sentenza: da questo punto di vista Israele è in una botte di ferro.

Precedenti attività e coinvolgimenti della CIG

Alla Corte non viene chiesto di stabilire se la condotta di Israele costituisca genocidio, ma se gli atti presentati configurano violazione della Convenzione delle Nazioni Unite sul genocidio, così come era stato per il caso Gambia contro Myanmar5 preso in esame dalla stessa Corte nel 2022.

Negli interventi della delegazione sudafricana, che hanno ridotto al minimo audio e video per rispetto dei palestinesi, si sono citati: centinaia di famiglie multigenerazionali spazzate via, l’ordine di per sé genocida di evacuare oltre un milione di persone (compresi bambini e anziani, feriti e infermi, in 24 ore senza alcuna assistenza e con bombardamenti sulle vie dichiarate sicure). Umiliazione dei prigionieri, sadismo dei soldati israeliani. Negazione all’ingresso di aiuti umanitari.
Nel 2023 l’International Court of Justice ha ammesso solo due casi: quello di Gaza e Nicaragua vs. Colombia.
Il precedente spesso citato, rispetto al quale si dice che Israele non accettò il processo è relativo a un parere richiesto dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite nel 2003 sulla legittimità del muro costruito da Israele, potenza occupante, nei territori occupati. La Corte dichiarò che la costruzione era illegale perché costituiva un’annessione di fatto di territori occupati dello stato di Palestina. In quell’occasione Israele decise semplicemente di ignorare il parere della Corte di Giustizia, sostenuto dagli Stati Uniti che bloccarono col loro veto qualsiasi iniziativa delle Nazioni Unite.

Gli europei e le violazioni del diritto internazionale

Ai tempi del tribunale Russell, che aveva messo sotto accusa gli Stati Uniti per la guerra in Vietnam gli europei avevano un ruolo importante nella lotta per la libertà, la pace e la giustizia. C’erano organizzazioni, comitati, giornali, partiti, governi e stati.
Oggi l’Europa è finita tristemente in fondo al plotone degli stati reazionari bianchi, con pochissime e traballanti eccezioni, in Irlanda, nella Penisola Iberica e poco altro.
Il fatto che il Sudafrica abbia preso coraggiosamente l’iniziativa di sfidare con Israele le nazioni bianche coloniali e neocoloniali è significativo di dove va il mondo progressista e di dove dovrebbero collocarsi i progressisti di tutto il mondo, quale che sia il colore della pelle. Del resto i bianchi non si sono serviti per secoli di eserciti di negri? E perché i bianchi non dovrebbero schierarsi con i negri in nome di un ideale di libertà e progresso che l’Europa non rappresenta più, né nelle sue componenti dichiaratamente reazionarie e fasciste, né in quelle che si pretendono socialiste democratiche e liberali, ma tutte quante schierati nei plotoni della NATO, al servizio dell’unico imperialismo sopravvissuto in forze, quello americano, con i suoi vassalli, valvassori e valvassini.
Siamo alla prime battute del processo per genocidio ed è evidente che Israele e i suoi sostenitori sono in imbarazzo. Gli europei ancora di più degli americani, anche perché il rapporto della maggior parte degli europei e dei loro governi con Israele è un rapporto opaco dettato da motivazioni inconfessabili e taciute.
Da una parte sono tra i più scalmanati sostenitori di una politica genocida contro i palestinesi, disposti ad accettare ogni eccesso e ogni violenza in nome di un diritto alla difesa che toccherebbe solo agli israeliani, senza confini e limiti; e contemporaneamente guardano con protettivo orgoglio a questa superstite colonia bianca in terre barbare, degna erede di quattro secoli di colonialismo europeo. Una di quelle motivazioni inconfessabili di cui dicevamo.
Dall’altra parte buona parte degli europei sono sostenitori di governi e partiti che si dichiarano eredi diretti dei partiti che approvarono e appoggiarono lo sterminio degli ebrei, tedeschi in testa, ma in buon buona compagnia. Scalmanati amici di Israele ed epigoni di massacratori di ebrei.
I tedeschi non furono i soli a organizzare e praticare lo sterminio: con loro ci furono quasi tutti i governi europei dell’epoca e non solo ristrette frange collaborazioniste.
I governi sloveno, croato, ungherese e rumeno; i governi collaborazionisti baltici, norvegese e francese; gli italiani e i belgi.
Alcuni di loro agirono in proprio ed ebbero forte sostegno popolare quasi ovunque, tanto è vero che ancora oggi si va ad onorare la minoranza – e non la maggioranza – dei giusti.
Quegli stessi partiti e i loro epigoni e eredi diretti promulgano leggi speciali contro chiunque faccia mostra soltanto di dubitare che dei cittadini polacchi o ungheresi o ucraini abbiano in qualsiasi modo collaborato allo sterminio degli ebrei; e sono quegli stessi governi che erigono monumenti ed esaltano le virtù guerriere delle formazioni sterminatrici di ebrei, comunisti e partigiani; gli ustascia, le croci frecciate, la guardia di ferro, i banderas.
Sono quegli stessi governi che sostengono in massa gli eredi e gli epigoni delle formazioni fasciste ucraine e che accolgono a braccia aperte i nazisti dichiarati di Azov e formazioni simili. Ad oggi in Ucraina, è fatto divieto di parlare del massacro di 500.000 ebrei tutti ammazzati in loco. E infatti dall’Ucraina come dalla Romania non partirono i treni dell’olocausto: ucraini e romeni fecero tutto in casa, con le loro mani. E questo è il secondo motivo per cui il rapporto degli europei con Israele non è onorevole e immacolato come si vorrebbe far credere.

E non sono le uniche macchie sull’onore dell’Europa e degli europei che crimini sulla coscienza ne hanno molti; a cominciare dallo schiavismo e dal colonialismo: eppure non rinunciano a voler insegnare le regole della democrazia all’universo mondo a suon di cannonate.
Noi siamo stati tra quelli che hanno riconosciuto il sacrificio dei popoli sovietici, in quella che a giusto titolo i sovietici hanno chiamato grande guerra patriottica e che li vedeva aggrediti in quanto razza slava inferiore, sovietici, ebrei e comunisti; e ad assalirli non c’erano solo i tedeschi; c’erano italiani, ungheresi e rumeni e in loro appoggio fascisti svedesi, belgi, norvegesi, baltici, spagnoli e francesi.

La storia ci dice che se l’Europa non venne sommersa dall’onda nera fu in massima parte merito dell’Armata Rossa e della resistenza antifascista.
Quella stessa resistenza della quale i tanti partiti fascisti europei – di governo e non – tutti grandi sostenitori di Israele, sono i più grandi denigratori e avversari. E i cosiddetti democratici e liberali gli tengono bordone: non è cancellata la vergogna del parlamento europeo che quasi all’unanimità dichiarava i comunisti, anima e martiri di tutte le resistenze europee, corresponsabili della Seconda guerra mondiale. Eppure a presiedere il parlamento in quel momento c’era una buona e onesta persona come David Sassoli. Purtroppo quella connivenza sciagurata con le forze europee più reazionarie e fasciste macchia la sua memoria, almeno quanto lo stravolgimento storico operato da Benigni che nel suo film più celebre fa liberare Auschwitz dai carri armati americani. E forse non rimarrà nella storia ma non è affatto onorevole la firma che dopo 100 giorni di massacri indiscriminato dei civili a Gaza persone per bene hanno apposto per su un documento che denuncia le violenze sulle donne ebree commesse il 7 ottobre, dopo che nei giorni successivi all’attacco di Hamas tutti i giornali avevano titolato sui 50 neonati decapitati, orrore estremo di cui si è persa ogni traccia.
Adesso viene sostituito al precedente un altro orrore estremo e persone equilibrato dovrebbero quanto meno chiedere un’inchiesta su tutti i crimini che si stanno compiendo, chiedere le prove, proporre quella commissione d’inchiesta che gli israeliani hanno sempre negato: senza lasciarsi compromettere in affermazioni propagandistiche incaute. Le colombe non stanno sempre dalla parte della ragione. Lo aveva imparato a sue spese Colin Powell la cui memoria è per sempre disonorata dall’aver dichiarato il falso alle Nazioni Unite e sarà disonorata anche la colomba Aharon Barak che Netanyahu ha scelto per rappresentare Israele come giudice ad hoc in un processo di cui ci sono, tante, troppe prove. Scelto tra gli avversari più accaniti delle sue leggi liberticide, momentaneamente rinviate dalla Corte Suprema in attesa che il governo le ripresenti a una Corte modificata nella sua composizione e che si sa fin d’ora che sarà più disponibile dell’attuale.

Leggi liberticide di Netanyahu

L’11 gennaio è cominciato con il processo che dava seguito alla denuncia presentata dal Sudafrica contro Israele il 29 dicembre. Non è un caso se il 1° gennaio la Corte Suprema ha respinto come liberticide una parte delle norme approvate alla Knesset da Netanyahu e dalla sua coalizione e che avevano provocato nel 2023 una vasta opposizione tra gli israeliani ebrei. La loro bocciatura che parte da una Corte che registra una maggioranza di misura di giudici liberali sorprende fino a un certo punto.
Se era prevedibile che a due giorni di distanza dal deposito dell’atto di accusa sudafricano e a meno di dieci dall’inizio del processo la Corte non se ne uscisse con l’approvazione di una legge liberticida, questo non è stato un gran sacrificio per i conservatori che infatti hanno evitato di gridare all’antisemitismo e al tradimento dell’ebraismo come avrebbero fatto in condizioni ordinarie. La Corte infatti è composta di 15 membri, otto cosiddetti liberali e sette sicuramente ultra conservatori, ma a giorni due dei cosiddetti liberali si ritirano – la presidente Esther Hayut e il giudice Anat Baron – e saranno sostituiti da due candidati governativi, modificando il rapporto di forza in 9 a 6 a favore dei conservatori e la legge sarà ripresentata dalla Knesset con ottime probabilità di essere questa volta ratificata diventando così una delle 14 leggi fondamentali che sostituiscono la Costituzione che Israele non si è data perché in quanto stato teocratico giudica che è già la Bibbia la carta fondamentale del paese.
Del resto fin dai tempi delle discussioni accanite sulle legge dello stato nazione, tanto il presidente di Israele Reuven Rivlin che il procuratore generale di stato avevano protestato dicendo, il primo, che la legge era un’arma nelle mani dei nemici di Israele e il secondo mettendo in guardia contro le sue conseguenze internazionali.
È fuori di dubbio che se la Corte di Giustizia non avesse accettata la denuncia del Sudafrica, la legge liberticida sarebbe passata sull’onda emotiva del 7 ottobre, mentre l’inizio del processo per genocidio, quale che sia il suo esito, ha convinto a nascondere la spazzatura sotto il tappeto, in attesa di tempi migliori per cui lavora unito tutto il blocco occidentale. E c’è da dubitare che la colomba Barak, che ha accettato di difendere Israele di fronte alla Corte di Giustizia sia l’immacolata colomba che ci vogliono far credere. Dietro la decisione della Corte Suprema c’è sicuramente un patto per cui Barack accettava di esporsi nella delegazione israeliana in cambio del mantenimento di quel criterio di ragionevolezza per la quale aveva lavorato negli 11 anni di presidenza della corte suprema, dal 1995 al 2006. A differenza di Colin Powell di cui non si capiva se fosse ingenuo, un fesso o un complice.
Le leggi liberticide di Netanyahu non sono l’unico caso tra le democrazie occidentali di quello che il diritto anglosassone chiama Constitutional Backsliding, arretramento Costituzionale, che dà un indirizzo autocratico ai rapporti tra i poteri dello stato, in particolare tra magistratura e governo, magistratura e parlamento.
Le leggi liberticide presentate dal governo Netanyahu erano state approvate dalla Knesset nonostante la considerevole opposizione popolare che aveva tenuto impegnato il paese per i primi nove mesi dell’anno e sono la logica conseguenza della legge fondamentale del 2018, quella che definisce Israele stato ebraico e democratico, una contraddizione in termini perché, come scriveva Haaretz se lo stato è ebraico non è democratico perché non esiste eguaglianza con quella parte considerevole dei suoi cittadini che ebrei non sono e con quelli che volessero abbandonare la religione ebraica; e se è democratico non può essere ebraico perché una democrazia non può garantire privilegi e diritti speciali a una parte dei suoi cittadini sulla base della loro origini etnica. Così si esprimeva il giornale israeliano.
Sempre Haaretz il 24 luglio 2023 a proposito dell’approvazione da parte della Knesset della legge sullo stato nazione (che definisce Israele la patria storica del popolo ebraico, incoraggia la creazione di comunità riservate agli ebrei, declassa l’arabo da lingua ufficiale a lingua a statuto speciale), scriveva che finalmente presenta il sionismo per quello che è: nazionalismo su base etnica e razzista.
Creare comunità riservate agli ebrei vuol dire dare loro la possibilità di espellere gli elementi sgraditi, una nakba legalizzata e “democratica”, con tutti gli sporchi affari che incalzano dietro questa libertà: saccheggi, furti, espropri per cifre irrisorie la cui denuncia viene chiamata antisemitismo; e tanti saluti. Forse che l’arabo è mai stato trattato come lingua ufficiale, come lo svedese in Finlandia e il tedesco in Italia?

La legge sullo stato nazione era stata approvata il 19 luglio 2018 dalla Knesset. Cosa c’è di nuovo nel 2023? La riforma giudiziaria approvata dalla Knesset prevede tra l’altro di emendare il comma 2 dell’articolo 74 della Basic Law sulla Knesset che vieta la candidatura al parlamento di chi inciti al razzismo.
La riforma in questione mirava a delimitare il potere della Corte Suprema di Gerusalemme e in particolare il ruolo della Corte nello sviluppo ordinamentale d’Israele, i cui portati la proposta riforma vuole espressamente delimitare.
La proposta interviene su 5 fondamentali aspetti del sistema costituzionale israeliano.

  • La prima dimensione attiene alla modalità di selezione dei giudici nell’ordinamento. L’attuale proposta mira a riservare alla maggioranza di governo potere esclusivo nella nomina dei magistrati, compresi quelli della Corte Suprema.
  • La seconda dimensione del proposto intervento sottrae alla Corte Suprema la verifica di costituzionalità delle leggi fondamentali, quelle di valore costituzionale.
  • In terzo luogo, pur riconoscendo alla Corte Suprema la verifica di costituzionalità delle leggi ordinarie, le si sottrae di fatto anche quella prerogativa riconoscendo alla Knesset il potere di sovvertire a maggioranza semplice le decisioni della Corte Suprema.
  • La quarta dimensione del proposto intervento riguarda il criterio di ragionevolezza, che è quello bocciato dalla Corte Suprema con decisione 1° gennaio 2024. Il criterio di ragionevolezza si può ridurre grosso modo a everythings is justiciable: anche la sicurezza nazionale e le questioni militarie quindi anche Nethanyahu e tutto il suo governo diventano perseguibili in Israele.
  • Il quinto punto dell’intervento riguarda il ruolo dell’Attorney General, organo monocratico di Common Law, ma che assume nell’ordinamento israeliano originale postura: un po’ dentro e un po’ fuori dall’autorità di governo. La proposta è di ridurne il ruolo da consigliere indipendente del governo a consulente ed esecutore di disposizioni governative.

Qualunque cosa possa succedere…

I quindici magistrati della Corte Internazionale di Giustizia chiamati a decidere della denuncia presentata dal Sudafrica contro Israele per reati gravissimi in atto, hanno una responsabilità molto più grande di quella che media e governi occidentali tendono a riconoscere loro, come se si trattasse di un ordinario contenzioso tra stati per una questione di confini o per l’estensione delle acque territoriali. Così non è, e il discorso vale soprattutto nel caso che in questa decisiva fase preliminare venga respinto il restraint, cioè un provvedimento d’urgenza che imponga il cessate il fuoco immediato. Supponiamo che il restraint non arrivi e tutto venga rinviato a una sentenza che se mai fosse pronunciata arriverà forse tra vent’anni e forse mai e in ogni caso sarà ignorata da una delle parti in causa. Una decisione di questo genere, una decisione pilatesca o non-decisione avrebbe un impatto forte sull’opinione pubblica di tutto il mondo non occidentale, non suonerebbe neutra e verrebbe letta così: qualunque cosa succeda, va bene così.
Nel momento in cui un intero popolo chiuso come bestie in gabbia venisse lasciato alla merce’ di massacri quotidiani spietati e sadici che sono sotto gli occhi di tutti, i magistrati occidentali si prenderebbero una tremenda responsabilità verso le popolazioni civili dei loro paesi, tanto più se i loro governi cedono al ricatto di Israele prendendo una posizione formale che niente e nessuno impone loro di prendere. Una non decisione vorrebbe a significare che non ci sono più regole e tanto meno c’è qualcuno che possa pretendere che siano rispettate. Nel momento in cui tranquillamente seduti si propri scranni, quei quindici magistrati decidessero che il più mostruoso sanguinoso e prolungato atto di terrorismo non merita neanche l’invito a che si cessi la strage è evidente che questa decisone presa a maggioranza da francesi, inglesi, americani, tedeschi, australiani, senza considerare i loro possibili alleati, suonerebbe anche più pesante di una formale ordinaria dichiarazione di guerra, di quelle che da molti decenni non fa più nessuno. E per di più dichiarazione di guerra senza limiti e confini riguardo al coinvolgimento di civili e di inermi.
Di sicuro qualche anima bella tratterà queste nostre parole come una minaccia, ma sia ben chiaro che l’autore non intende minacciare nessuno, tanto meno i magistrati della corte di Giustizia ai quali auguriamo lunga e prospera vita. Non ci sembra neanche giusto diffondere il loro nome come di sicuro farebbe il governo d’Israele a parti invertite se fosse nelle loro mani la decisione di continuare la strage di cittadini israeliani inermi. In quel caso potremmo star sicuri che Israele garantirebbe loro vita lunga e prospera?

Chi per mestiere o per qualsiasi ragione pratica la storia sa che in passato sono bastati pretesti molto meno pesanti per scatenare guerre sanguinose e stragi dell’umanità. Per di più gli stati occidentali che la divinità rende stupidi come suole fare con chi vuole rovinare sembrano orientati a rinunciare anche alla foglia di fico dell’indipendenza della magistratura, lasciando in capo ai soli magistrati le decisioni prese. E invece no, su minacciosa pretesa di Israele assumono in prima persona la responsabilità delle decisioni da prendere, come hanno già fatto le Germania e il Canada. E la stessa opinione pubblica occidentale è convinta che i morti di Gaza siano così poco importanti per il resto del mondo come sono per gli occidentali, che alla perdurante strage non si ribellerà o perché sono troppo deboli o pusillanimi o perché li si può comprare con poco. O semplicemente perché sono negri senz’anima e senza sentimenti come ha insegnato per secoli il civile occidente mentre praticava schiavitù e colonialismo in nome della sua civiltà superiore.

Sarà un processo lungo

E già si sentono gli elogi per Israele che accetta di difendersi nel processo e non dal processo, come ha fatto nei passati settantacinque anni ogni volta che ha potuto. Ma in questo caso non può, perché il procedimento andrebbe avanti anche in contumacia. Israele ha sempre respinto ogni proposta di indagini obiettive e neutrali sulle accuse di esecuzioni extragiudiziali, rapimenti, torture, detenzioni arbitrarie, omicidi volontari di giornalisti e di agenti di organizzazioni umanitarie. Hanno giustificato la distruzione di un ospedale ribattendo che Israele è una democrazia e le democrazie non distruggono gli ospedali. Forse non tirano neanche le bombe atomiche. Hanno pronunciato le frasi sciagurate della prima Intifada: ai ragazzini che tirano le pietre spezzategli gambe e braccia; ed era un primo ministro laburista a dirlo, non era Netanyahu. Sono quelli che le inchieste se le fanno da soli e sono bastati due minuti per chiudere quella sul bombardamento che ha ucciso più di cento civili in un colpo solo a Gaza: qualcuno ha sbagliato bomba. Spiacenti. Quel qualcuno ha un nome, ha ricevuto un ordine, doveva seguire un protocollo o in Israele le bombe si distribuiscono dal droghiere? Cosa le è rimasto? Poca roba. È andato via quasi tutto. Allora mi dia quel che ha. A domani.
E così ci si dispiace anche per i tre ostaggi israeliani uccisi con fredda determinazione, in più fasi. C’era troppo rumore, i soldati erano stressati. Queste sono le indagini condotte dall’esercito, sullo 0.7 % delle denunce ricevute. Per il resto niente, sempre che uno si arrischi a presentare denuncia ai soldati israeliani che i sudafricani accusano di sadismo e torture sistematiche.

Per una richiesta di commissione d’indagine internazionale

Il 7 ottobre la stampa e le televisioni annunciavano che 40 neonati erano stati decapitati dai barbari assassini e tutti i giornali occidentali avevano dato al fatto la massima evidenza. Poi la notizia era sparita. Non c’erano prove, non c’erano foto, non c’erano testimoni, non c’erano inchieste, non c’erano neonati, non c’era niente di niente.
Dopo quasi tre mesi da fatti esplode sui giornali un’altra notizia, anche se questa volta solo i giornali di estrema destra non osano sbatterla in prima pagina. I barbari assassini e disumani – e quindi ben venga che siano trattati come tali – della decapitazione in serie dei neonati erano passati ai più orrendi crimini di massa sulle donne. Sono i bianchi che rispettano le donne, non i negri palestinesi che sono tutti assassini e meritano di andare in Congo con gli altri negri uguali a loro. 1.200 firme, secondo il Corriere della Sera, ha raccolto l’appello a riconoscere il femminicidio di massa commesso da Hamas sulle donne il 7 ottobre.
L’obiettivo è arrivare a una denuncia per crimini contro l’umanità che faccia da contraltare alla denuncia ben più circostanziata e provata mossa dal Sudafrica nei confronti dello Stato di Israele.
Nei tempi recenti le balle più stratosferiche hanno fatto scuola: dalla denuncia del possesso di armi di distruzione di massa inventato da Bush, Colin Powelli e Tony Blair per giustificare il massacro di Saddam Hussein e della sua famiglia ai quaranta neonati con le teste mozzate.

“Qui non si tratta di entrare nell’idea del conflitto e di immischiare giudizi politici: non si può tacere”. Queste le parole di un abile propagandista come Ruth Shammah. Parliamo solo di noi, e di quello che noi vogliamo si dica di noi, non parliamo di politica e di 75 anni di crimini e di duemila bombardamenti. Sono stati commessi abusi indicibili! Più indicibile di cinquanta neonati con le teste mozzate? Sono in corso delle inchieste? Quelle inchieste che avrebbero dovuto fare gli oltre cento reporter uccisi a Gaza e i 150 funzionari e dipendenti dell’ONU appositamente eliminati per togliere di mezzo testimoni?
L’Onorevole Quartapelle invoca: “Il governo italiano metta a disposizione risorse investigative per investigare su questo tipo di crimine”. Solo quelli di cui è accusato Hamas, s’intende, a sostegno di chi risorse ne ha più che in abbondanza, anche di tipo investigativo e in sovrappiù ha ricevuto il pieno partigiano sostegno del procuratore della Corte Penale Internazionale che ha garantito al governo israeliano che non deve avere nulla da temere.
Dietro a loro Ilaria Borletti Buitoni: “In Occidente soffiano venti antisemiti fortissimi”. Forse che le stragi di civili a Gaza ne abbiano qualche responsabilità?
Sottoscrive anche Salvatores, su un diverso generico bersaglio: “È stato un massacro inaccettabile. Penso che Nethanyahu sta sbagliando”. Uno sbaglio o una lucida politica criminale, sostenuta dalla maggioranza del popolo israeliano?

E perché dunque “esprimere dolore e riprovazione per le donne oggetto di violenze”, ma senza una parola per donne e bambini palestinesi oggetto di mille violenze?
Non stupisce che tra le adesioni ci siano la ministra della Pari Opportunità, Eugenia Roccella, MEB e Mara Carfagna, Letizia Moratti e Giovanna Melandri, tutte monocole e strabiche di lunga data.
Né altri sempre pronti a mobilitarsi dalla parte dei bianchi offesi: Ambra Angiolini, Vittorio Sgarbi, Marco Tronchetti Provera, Dacia Maraini, Ferruccio De Bortoli, Carmen Llera Moravia, a conferma che c’è sempre un fronte bipartisan di borghesia bianca pronto a consolidarsi quando si tratta di difendere politiche razziali e razziste. Dispiace per una persona per bene e di grande correttezza come Augias. Ma perché non chiedere quanto meno un cessate il fuoco e una commissione d’indagine internazionale, di quelle che Israele rifiuta di accogliere da 75 anni?

Che significa fare un’inchiesta?
Significa quanto meno accertare se è poi vero che il ministro della sicurezza nazionale israeliana Ben-Gvir ha dato precise indicazioni dopo il 7 ottobre di “vendicarsi contro i prigionieri palestinesi”, e se ha detto che “per ogni giorno trascorso senza il rilascio di un prigioniero israeliano, un detenuto palestinese deve essere giustiziato”.
E nel caso queste direttive e dichiarazioni venissero accertate, gli omicidi dei sette detenuti palestinesi giustiziati in carcere dal 7 ottobre potrebbero trovare un mandante. Il settimo ha un nome Abdel Raman Bassem el Bash, 23 anni di Nablus secondo la dichiarazione congiunta della Commissione per gli affari dei prigionieri e il club dei prigionieri palestinesi.
Sette sono i martiri ma centinaia le violenze e torture che vengono segnalate da tutte le prigioni (Megiddo, Gilboa, Ofer, Beersheba e Damon, in particolare). Contemporaneamente a queste morti, c’è un numero imprecisato di altri morti tra i detenuti nel campo di Jde Taman a Gaza. Se è vero che viene utilizzato lo stadio come prigione, perché la UEFA che sovraintende alla Federazione israeliana non dice nulla?
I detenuti sono sottoposti a torture, trattamenti umilianti e degradanti. Fame, sete, privazione del sonno, aggressioni con i cani, cibo gettato a terra e calpestato dalle guardie, il tutto alla ricerca ossessiva dei combattenti di Hamas e per la scoperta e distruzione dei tunnel.

Human Rights Watch ha un responsabile per il quale è già stata scritta la sentenza; per ora continua a ripetere che “la ricerca dei combattenti di Hamas non giustifica gli abusi sui lavoratori cui era stato concesso il permesso di lavorare in Israele”. Perché su di loro? Perché sono quelli che gli israeliani conoscono meglio, perché sono in grado di minacciare e maltrattare le loro famiglie, sono i più indifesi e, per gli israeliani, l’anello debole della catena.
Michelle Randawa, responsabile di HRW ha chiesto di loro, ma nessuna risposta è venuta dagli israeliani. Haaretz riporta continue denunce di aggressioni, violenze, torture, ma le riporta come fossero considerate eccezioni senza neanche domandarsi quale livello bisognerà raggiungere per stabilire che c’è del metodo in quella follia.
Delle oltre 200 detenute palestinesi vittime di torture e di aggressioni sessuali, le anime belle di Occidente non si curano di loro come non si curano della deputata del FPLP arrestata per la quarta volta perché “appartenente a un’organizzazione terrorista e per propaganda sovversiva”, né si curano degli oltre quattrocento morti e tremila arresti in Cisgiordania dal 7 ottobre anche se l’Ong israeliana Hamoked parla di uso sistematico della violenza nelle carceri in sovrappiù ai 244 omicidi commessi a partire dal 1967.

Luciano Beolchi

  1. In Gran Bretagna, la Camera dei Comuni ha approvato con 282 voti favorevoli e 235 contrari The economic activity of public bodies che vieta di boicottare stati (in particolari territori internazionali) se questo boicottaggio non corrisponde alla politica formale del governo UK (8 conservatori hanno votato con laburisti liberaldemocratici e nazionalisti scozzesi).[]
  2. Luca Baccelli, Professore Ordinario di Filosofia del diritto, Università di Camerino, Il Manifesto, 3 gennaio 2024; v. Luca Baccelli su C.P.I. e le ambivalenze del procuratore.[]
  3. Ha rappresentato la Croazia contro la Serbia e ha difeso le vittime nordirlandesi del Bloody Sunday.[]
  4. È già stato davanti alla Corte, in difesa di Serbia, Emirati Arabi e Camerun.[]
  5. Il caso, sul genocidio dei Rohynga, risulta ancora pendente.[]
diritto internazionale, Israele, Palestina
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