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Perché ci odiano tutti?

di Luciano
Beolchi

È dall’inizio dell’orrenda strage di Gaza che da parte israeliana si sente ripetere, con toni vieppiù indignati, questa domanda. Se fosse una vera domanda si potrebbe dire che una risposta comincia a venire – dopo otto mesi di strage e quasi quarantamila morti – proprio dal fronte più radicalmente filo israeliano, da parte di quelli che nessun dubbio o incertezza fa rinunciare a inviare armi e denaro e a collaborare in ogni campo militare e politico.

E così una risposta ce la dà il ministro italiano Crosetto con la sua dichiarazione “Israele semina odio che si ripercuoterà sui figli”. È solo un’impressione, per carità, diceva Crosetto1 – dopo 35.000 morti – mentre il cauto Tajani, a proposito della richiesta di arresto di Nethanyahu, dichiarava “è inaccettabile si stabilisca un parallelo tra Nethanyahu e Hamas”. Anche il bellicoso Stoltenberg dopo aver chiesto a Israele “una risposta proporzionata” fin dll’ottobre 2023 si è poi dimenticato di andare a verificare cosa succedeva.

Joseph Borrell, lo sconfitto dell’ultima guerra europea in Africa, si dice “inorridito dalle notizie che arrivano da Rafah sugli attacchi israeliani che hanno ucciso decine di sfollati, tra cui bambini piccoli”. Gli ordini della Corte di Giustizia e del Tribunale Internazionale devono essere rispettati da tutte le parti”.

Alla ricerca di un posto di lavoro, Borrell preferisce non farsi nemici là dove si decidono le nomine e aggiunge che “le accuse di genocidio vanno indagate”. Scholtz, cancelliere tedesco, era stato il primo capo di governo a precipitarsi in Israele per far pesare il suo sostegno senza condizioni e a gennaio aveva voluto essere il primo a contestare le denunce di genocidio presentate dal Sudafrica.

Il 27 maggio a Bruxelles anche il suo governo, forse in previsione del catastrofico risultato elettorale dell’8-9 giugno, accennava a un cambio di passo e condannando l’ennesima strage di Israele su un campo profughi, chiedeva a Israele di dar seguito all’ordinanza del Tribunale Internazionale di fermare l’offensiva su Rafah e il ripristino di Eubam, la missione di assistenza per la gestione del valico di Rafah.

Queste erano le decisioni prese unanimemente dal Consiglio dell’Unione Europea, insieme alla decisione di continuare a finanziare l’autorità palestinese.

Sempre a Borrell, nella sua qualità di ministro della guerra, era toccato di difendere il procuratore Khan dall’accusa di antisemitismo “un’intimidazione inaccettabile”, come sempre accade per chiunque faccia qualcosa che non piace al governo di Nethanyahu. Dunque si potrebbe dire che anche nel campo più filo israeliano s’intravedeva un accenno di risposta alla domanda perché tutti ci odiano: se solo fosse una vera domanda.

Nel frattempo altri 3 stati (Norvegia, Spagna e Malta) si sono aggiunti ai 142 che già riconoscono lo Stato di Palestina. Presto si aggiungerà anche il Belgio. Sono i primi paesi europei dopo quelli che l’avevano riconosciuto ai tempi del patto di Varsavia.

In questi giorni, dopo l’ennesima intimidazione della Corte di Giustizia a non proseguire l’offensiva su Rafah, è scoppiata la notizia apparsa su +972 su una permanente attività di spionaggio israeliano nei confronti dei magistrati del Tribunale Internazionale, dopo che il Procuratore Khan ha chiesto l’autorizzazione a emettere 5 mandati di cattura, compreso Nethanyahu.

Qual è la linea rossa di Joe Biden che ancora non è stata superata? Hamas è ancora in vita e lancia missili su Tel Aviv e sul terreno affronta gli israeliani nella zona di Rafah. Due soldati israeliani sono stati ritenuti responsabili della morte di due prigionieri palestinesi durante un trasporto su un percorso accidentato. Nove soldati della riserva sono stati arrestati per aver torturato stuprato e sodomizzato un prigioniero palestinese: rischiano un’ammonizione o addirittura una censura. Secondo gli organi di informazione italiana sono almeno 50 i palestinesi detenuti morti per torture e violenze.

Yossi Cohen – ex capo del Mossad – ha cercato di intimidire prima Bensouda poi Khan, dal 2015 ad oggi. Si esercita attività di spionaggio sulle testimonianze, sui colloqui dei magistrati e sui documenti dei palestinesi e +972 denuncia “La guerra sporca di Israele”, ma la domanda “Perché tutti ci odiano?” resta puramente retorica giacché nessuno di quanti la pongono si sogna di rispondere. Teoricamente la risposta potrebbe andare dalla più ingenua a quella più articolata. Potrebbe essere: “perché sono cattivi”, “perché siamo più intelligenti”, “perché siamo più ricchi e ci vogliono portare via i soldi”. Sino alla risposta tautologica: “ci odiano perché sono antisemiti”. Come se i palestinesi non fossero semiti tanto e quanto gli israeliani. Infatti, i veri antisemiti DOC, quelli che in Germania danno fuoco alle case dei profughi palestinesi, hanno notoriamente un’insopprimibile riluttanza a dare sostegno a Israele, stato innegabilmente ebraico.

La realtà è che la domanda, essendo puramente retorica, non cerca risposta ed è solo il prologo di una litania che chiede giustificazione agli atti più efferati, il titolo di sola e unica vittima, l’intestazione esclusiva di ogni diritto e, naturalmente, soldi e armi.

Se dietro quella domanda ci fosse una ricerca di risposta, qualunque risposta, sarebbe il segno di una ricerca di dialogo, quale che possa essere la distanza delle posizioni opposte: con la recente uccisione di Ismail Haniyeh Israele ha ucciso il dialogo e segnato la sorte dei prigionieri palestinesi e degli ostaggi. Ma tutto quello che è successo negli ultimi 75 anni dimostra che non c’è ricerca di dialogo, perché ai palestinesi si nega il diritto di esistere, a cominciare dal riconoscimento del loro nome, prima ancora dei diritti di esseri umani.

Quando i principi religiosi e di superiorità razziale sono all’origine dei conflitti è difficile confrontarsi come si fa ordinariamente, anche in forma agguerrita tra opinioni diverse.

I principi religiosi e di superiorità razziale non sono opinioni, ma rappresentano lo status stesso dell’individuo e della comunità e se la pratica in forma di azione politica dei principi di superiorità razziale è riconosciuta come reato in molti paesi civili bisognerebbe riflettere sul fatto che anche i principi di superiorità religiosa hanno prodotto altrettanti danni, stragi e conflitti dei principi di superiorità razziale; ed è il motivo per cui la tradizione democratica ha difeso la libertà religiosa individuale e nello stesso tempo ha difeso la laicità della comunità nella sua forma più ampia, nello stato. Uno stato che si definisce confessionale o teocratico, come quello di Israele dal 2018, per definizione non può essere democratico e non può non cercare di imporre valori e principi non democratici.

Eppure che il comportamento del governo di Israele, del suo esercito e di gran parte della sua popolazione e dei suoi media sia fortemente stigmatizzato nel mondo è un fatto.

Forse perché nei loro comportamenti si coglie una certa indifferenza criminale alle sofferenze altrui? O per la sfacciataggine che poi è derisione anche di chi legge, di chi guarda e di chi cerca di capire e si sente dire che nella Striscia di Gaza, spianata dai bombardamenti, i palestinesi non hanno mai avuto tanto da mangiare: oltre tremila calorie al giorno a persona, secondo attendibili studiosi. Il fatto è – si sostiene- che sono quelli di Hamas che rubano le vettovaglie. O forse riesce difficile condividere l’humour nero che i soldati del popolo di Israele stanno diffondendo a piene mani sui tik-tok e altri social consimili – come spaccare i giocattoli dei bambini o fare battute sulle case o le tende in fiamme o creare graziose scenette a partire dalla foto del bambino decapitato tenuto in braccio dal padre.

O forse non apprezzano i gesti volgari, di dileggio e di dispetto verso le autorità internazionali di giustizia che non si limitano a ridacchiare delle loro burle come nel passato.

E per tutti è sempre pronto l’insulto: antisemita. E noi spettatori sudditi di governi imbelli cosa dovremmo fare? Partecipare alla strage e all’umiliazione? No, questo no, fate benissimo da soli. E allora applaudire? Contribuire, incitare i nostri governi a darvi più soldi e più armi. Persino qualcuno dei vostri più fedeli sostenitori che fino a ieri diceva che voi siete “l’unica democrazia del Medio Oriente”, ora senza alcun imbarazzo per le parole di ieri, vi chiama seminatori di odio senza però alzare un dito per mettere fine all’orrenda strage.

In una guerra la propaganda cerca di mettere in evidenza i gesti eroici e di pacificazione. Finora questa guerra non è riuscita a mostrarne neanche uno da parte delle IDF. E i casi sono due: o è una guerra di vero, totale, assoluto sterminio o vuole essere rappresentata come una guerra di vero, totale, assoluto sterminio. E questo spiegherebbe il motivo per cui le figure di pace che legano una comunità e sono i cardini di una ricostruzione sono anche i primi bersagli dell’esercito del popolo di Israele: i medici, i giornalisti, i distributori di aiuti, gli insegnanti palestinesi e non solo e tutti coloro che in qualche modo rappresentano la continuità di una comunità che si vuole sterminare.

Di sicuro non suscita entusiasmo e simpatia la brutalità verso gli inermi e la vanteria continua e costante per il fatto di avere amici ricchi, potenti e abbastanza cinici da sostenerti in ogni circostanza e nelle peggiori imprese.

Non bisogna pensare a strage e genocidio come a un’iperbole o a una forzatura retorica per aumentare la solidarietà con i palestinesi. Quando Crosetto mette gli amici israeliani in guardia dal diventare seminatori di odio lo fa da amico fedele, non certo da avversario e neanche da critico.

Il governo Nethanyahu si avvia a festeggiare un anno di sopravvivenza dopo la battaglia del 7 ottobre e la strage infinita che ne è seguita2.

Quale che sia la conclusione politica di questa guerra non potrà finire affidando a Israele le chiavi di Gaza. Perciò, dal punto di vista israeliano, Gaza deve morire e il popolo palestinese deve essere sterminato.

Neanche i governi occidentali propongono di lasciare al paese genocidario il controllo del paese vittima perché è in gioco quel poco che resta di un diritto internazionale; né è pensabile di perpetuare il modello di sopraffazione che Israele usa nei confronti della Striscia dal 2005 in poi: periodi di ordinario brutale assedio seguiti da attacchi violenti e sterminatori e poi da un altro periodo di assedio e di prevaricazione; e se Israele può permettersi di offendere e di dileggiare la Corte di Giustizia e il Tribunale Internazionale, i paesi occidentali non si possono permettere di farlo perché anche in quella sede si combatte tra Nord e Sud una lotta per l’egemonia mondiale. Se ancora nel 2021 gli Stati Uniti erano in grado di piegare scandalosamente la volontà del Tribunale Internazionale, le decisioni odierne del Procuratore Khan mostrano quanto terreno abbiano perso da allora; e non si possono permettere di perderne ulteriormente, tanto meno di cedere interamente il controllo di questa importante organizzazione, che sarebbe solo il primo bastione del predominio occidentale a cadere. È attraverso le grandi istituzioni internazionali – Banca Mondiale, Fondo Monetario Internazionale e le stesse Nazioni Unite – che il blocco occidentale esercita il suo dominio dispotico sul Sud del mondo, oltre che con la forza delle armi, quali che esse siano.

Per Israele è impossibile imporre il suo dominio sui palestinesi alle stesse condizioni di prima ed è per questo che ha accettato la sfida di Hamas che si sintetizza in questo: o noi o loro. Sicché è anche possibile che Nethanyahu, dall’essere il diavolo che tutti gli israeliani volevano scorticare, diventi il padre della patria, il secondo fondatore di Israele e magari resti primo ministro per altri 15 anni; oppure, in alternativa, che diventi il prossimo bersaglio di un Mossad in cerca di capri espiatori.

Nethanyahu da persona cinica e brutale quale è sa che la sua unica speranza di sopravvivenza politica coincide col continuare ad infierire sui palestinesi. Il progetto israeliano prevede verosimilmente che a Gaza non restino più di mezzo milione di persone e ogni accordo futuro con i paesi arabi dovrà includere l’assorbimento di una quota di rifugiati gazawi. Quello che ancora non è stato definito è il metodo: supererà il modello del massacro degli armeni del 1915 o il viaggio della morte dei campi di sterminio nell’inverno 1945?

Se si finge di non capire quale sia il progetto israeliano per Gaza è perché non si vuole accettare e tanto meno prendere sul serio quanto il governo israeliano ripete a chiare lettere fino dall’ottobre 2023: sterminare Hamas e il popolo palestinese: parole cui la Corte di Giustizia e il Tribunale Internazionale, a differenza dei governi occidentali, sembrano voler dare credito.

Vale ancora quanto disse il presidente Pertini”… E il responsabile di questo orrendo massacro è  ancora al governo in Israele.”

Luciano Beolchi

  1. E non è da escludere che lo dica per ripicca, dopo che il governo gli ha ritirato l’autorizzazione a spedire armi in Israele, accorgendosi dopo 8 mesi che è un paese in guerra.[]
  2. Gilbert Achcar in un articolo su Le Monde Diplomatique del giugno 2024 (pag. 18) riporta un bilancio degli scontri del 7 ottobre riferendosi a fonti israeliane. In detto articolo si dice testualmente: “L’operazione condotta da Hamas ha provocato 1.143 vittime tra le quali 767 civili e 376 militari e membri delle forze di sicurezza, secondo le fonti israeliane. A parte più di 1.600 assalitori palestinesi uccisi sul campo secondo le stesse fonti…”.

    1.143 contro 1.600: questo in termini militari si chiama battaglia e non strage di inermi. Gli assaliti, per quanto attaccati di sorpresa come hanno fatto centinaia di volte gli israeliani contro i palestinesi non erano affatto inermi, se le perdite tra gli assalitori sono state superiori a quelle tra gli assaliti.[]

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2 Commenti. Nuovo commento

  • Marcello Pesarini
    14/08/2024 16:25

    Un bellissimo articolo. Non se ne sa mai abbastanza

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  • Luigi Porro
    14/08/2024 19:21

    Un racconto dei fatti, dalla costituzione dello stato d’Israele fino agli avvenenti recenti ineccepibile.
    Solo coloro che non vogliono oppure fingono di non capire, e purtroppo sono la maggior parte dei Leader europei e occidentali, pensano che alla fine questa guerra si spegnerà apoco a poco.
    La strategia degli Israeliani è chiara; sradicare i palestinesi da Gaza; per farlo distruggono qualsiasi infrastruttura, scuole, ospedali, bazar e ogni centro di aggregazione, non solo ma uccidono deliberatamente tutte quelle persone che possono essere dei riferimenti per la popolazione. Quando avranno finito con Gaza, troveranno il pretesto per ripetere le stesse cose in Cisgiordania.
    Se i paesi occidentali come si sta vedendo nei fatti, sembrano criminalmente complici o in qualche modo distratti, oppure, peggio ancora, si comportano in questo modo per no dispiacere gli americani.
    Quello che però sconcerta di più è l’atteggiamento degli stati confinanti, i cosiddetti paesi arabi fratelli. Non stanno muovendo un dito per aiutare i palestinesi! Dopo le guerre combattute contro Israele fino alla fine degli anni settanta, il cui scopo falsamente dichiarato era di soccorrere i palestinesi, ma che in realtà miravano solo ad ingrandire i loro territori; Ognuno di quei paesi confinanti, escluso la Siria, si sono accordati con Israele ab andò andò i palestinesi al loro destino di sopraffazione e di morte. Infatti nessun paese arabo sarebbe disponibile ad accogliere profughi di Gaza.

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