Riprendiamo con lo stesso titolo da volerelaluna.it l’articolo di Nicola Vallinoto –
Mi inserisco nella discussione sulle elezioni europee avviata dalla redazione di Volere la luna che ringrazio per aver offerto questo spazio di dibattito pubblico.
Nel discorso di fine anno il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ci ha spronato a partecipare attivamente alla vita civile a partire dall’esercizio del diritto di voto: «Non dobbiamo farci vincere dalla rassegnazione. O dall’indifferenza. Non dobbiamo chiuderci in noi stessi per timore che le impetuose novità che abbiamo davanti portino soltanto pericoli. Prima che un dovere, partecipare alla vita e alle scelte della comunità è un diritto di libertà. Anche un diritto al futuro. Alla costruzione del futuro. Partecipare significa farsi carico della propria comunità. Ciascuno per la sua parte». Anche se non ha parlato espressamente d’Europa, questo passaggio rappresenta un monito a non disertare le prossime elezioni europee. In esse la scelta che dovranno fare i cittadini italiani ed europei è abbastanza chiara: Stati Uniti d’Europa o Europa delle nazioni. In mezzo abbiamo l’Unione europea che non è né l’uno né l’altra. I critici dell’attuale UE si dividono sostanzialmente in due gruppi: il primo – che chiamo innovatori – vuole completare il processo di integrazione e procedere verso gli Stati Uniti d’Europa, ovvero il progetto federale del Manifesto di Ventotene; il secondo – che definisco regressivi – vuole tornare all’Europa delle nazioni, ovvero il progetto confederale del generale De Gaulle. In mezzo ci sono i conservatori a cui va bene lo status quo.
L’UE si trova in mezzo al guado. Quale strada prenderà dipenderà dai cittadini europei. Non esistono scorciatoie, né governi, né direttori, né assi privilegiati, né forze esterne che potranno sciogliere le catene nazionaliste. Se l’UE farà il passo decisivo verso la federazione, ciò avverrà per una scelta precisa derivante da una volontà popolare maggioritaria, la sola che può superare egoismi nazionali, veti governativi, diffidenze reciproche ed ostacoli burocratici. Le forze innovatrici dovranno mostrare in che modo l’UE può gestire meglio i beni pubblici continentali rispetto agli Stati nazione. Se non lo faranno lo spazio politico sarà colmato dalle forze regressive. I giovani nati in questo millennio che si mobilitano per i cambiamenti climatici sono quelli che più hanno da perdere in un’Europa divisa e per questo saranno la forza costituente determinante per la realizzazione di una vera sovranità europea.
Fatta questa premessa vorrei fare alcune precisazioni sul federalismo. Molti ne parlano ma pochi ne conoscono i principi fondanti. Il federalismo si basa sul principio di sussidiarietà per il quale le decisioni vengono prese al livello più vicino possibile ai cittadini. Solo per quei problemi che non possono essere risolti ai livelli territoriali più vicini ai cittadini si scala al livello superiore. Alcune questioni come la guerra e la pace, i cambiamenti climatici e le migrazioni andrebbero gestite a livello europeo. A volte – ad esempio per il clima – non basta neanche questo e bisognerebbe scalare a livello globale. A livello federale vengono prese decisioni collettive su temi di interesse comune a maggioranza (qualificata o meno che sia) e senza i veti che bloccherebbero ogni decisione come avviene regolarmente nelle riunioni del Consiglio europeo. Questo perché l’UE non è ancora una democrazia federale compiuta con un Governo responsabile di fronte al Parlamento.
La federazione europea non è un super Stato come alcuni paventano associandola a una iper burocrazia. In uno Stato federale non vi è nessuna centralizzazione ma decisioni prese ai livelli idonei alla soluzione del problema – nell’ambito di una condivisione della sovranità che rafforza i singoli Stati membri – e un bilancio adeguato: ora siamo a un misero 1% del PIL dei 27 Paesi UE. Le risorse in campo non sono sufficienti al compito da svolgere. Tra i detrattori di un’Europa federale vi sono coloro che dicono che, se il Consiglio europeo decidesse a maggioranza, sarebbe difficile o impossibile mettere in minoranza paesi come la Germania o la Francia. A negare questa affermazione basta citare l’esperienza della Banca centrale europea che non si esprime all’unanimità. Dopo la crisi dei mutui subprime l’allora presidente della BCE, Mario Draghi, disse che avrebbe fatto tutto ciò che sarebbe stato necessario – l’ormai famoso what ever it takes – per salvare l’Euro. E questo avvenne nonostante l’opposizione del governatore tedesco.
Gli Stati Uniti d’Europa non sono un sogno ma un progetto politico concreto che nasce dalle ceneri della Seconda guerra mondiale dal confino di Ventotene dove alcuni antifascisti di diversa estrazione politica riuscirono a trovare una luce per uscire dalle tenebre del nazionalismo che ha causato decine di milioni di morti. Il progetto di un’Europa libera e unita – ancora oggi – è l’unico che valga la pena di perseguire al fine di dare una risposta alle ansie dei giovani per il proprio futuro e alle paure di una globalizzazione predatoria guidata da pochi soggetti planetari che odiano la democrazia. Il capitalismo della sorveglianza mal digerisce i tentativi regolatori dell’UE. E’ in atto la più grande accumulazione di ricchezza di tutti i tempi da parte di una manciata di piattaforme digitali con un potere inimmaginabile sulle nostre vite. Solo un’Europa sovrana anche nel campo digitale può tentare di sovvertire questa espropriazione di dati e di ricchezze. La federazione europea – se e quando sarà completata – non sarà una fotocopia degli Stati Uniti d’America semplicemente perché la storia dei paesi europei con una tradizione secolare è diversa da quella delle tredici colonie che hanno dato vita prima alla confederazione e qualche anno dopo – con la Convenzione di Filadelfia – alla federazione.
Alcuni negano la possibilità di una democrazia sovranazionale sulla base del presupposto che il popolo europeo non esiste. In realtà il popolo europeo esiste ma non è un popolo con una sola lingua, una sola religione e una sola cultura. Così come il popolo della Confederazione elvetica parla quattro lingue con altrettante culture o il popolo dello Stato federale indiano parla oltre 100 lingue (di cui una ventina ufficiali) con diverse religioni (induisti, musulmani, cristiani, sikh, buddisti, giainisti), anche il popolo europeo è naturalmente plurinazionale e plurilinguistico e trova le sue basi nei valori sanciti dalla Carta dei diritti fondamentali dell’UE. È un popolo che ha già fatto i primi passi durante le imponenti manifestazioni per la pace di inizio secolo: mentre alcuni governi europei – la coalizione dei volenterosi – scelsero di assecondare l’intervento americano in Iraq, la stragrande maggioranza dei cittadini e delle cittadine europee scese in piazza per rivendicare la loro opposizione alla guerra. Il problema fondamentale – di democrazia – è che quella espressione maggioritaria non ha potuto far seguire una decisione conseguente delle istituzioni europee perché la sovranità in politica estera, oggi come allora, resta nazionale.
Federazione europea non significa avere istituzioni sovranazionali al di sopra dei singoli Stati ma al servizio degli Stati e soprattutto del popolo europeo. Istituzioni condivise sono necessarie per prendere decisioni collettive in modo democratico e con la partecipazione dei cittadini sia per il tramite dei loro rappresentanti in Parlamento, sia con strumenti di democrazia partecipativa come l’iniziativa dei cittadini europei e, auspicabilmente presto, i referendum europei. L’interesse generale del popolo europeo non può essere tutelato dall’unanimità di 27 Stati nazionali figurarsi quando diventeranno 37. Per questo il potere di veto deve essere superato altrimenti l’UE non conterà più nulla in un mondo che presto conterà 10 miliardi di persone. Pensare di poter governare la globalizzazione con strumenti nazionali, mantenendo la divisione politica del mondo in 200 Stati nazione che confliggono su tutto, è pura utopia. In Europa stiamo provando a superare il feticcio del nazionalismo (oggi lo chiamiamo sovranismo ma sempre di quello parliamo ovvero di dividere gli uni dagli altri sulla base dei confini nazionali) condividendo una idea di fratellanza e sorellanza che vada oltre gli steccati nazionali e che abbia alla base valori condivisi come la pace, la giustizia ambientale e sociale, oltreché la consapevolezza di essere parte di un unico pianeta e quindi partecipi di una cittadinanza planetaria. Le grandi manifestazioni globali dei giovani del 2019 per il cambiamento climatico sono state l’espressione più evidente di un “popolo mondo” che a gran voce rivendica il diritto a un pianeta vivibile per tutti, anche per le generazioni che verranno.
Per quanto riguarda la risoluzione del Parlamento europeo del 22 novembre con la quale si chiede la riforma dei Trattati, la situazione è bloccata dal Consiglio europeo perché ci sono solo 13 paesi favorevoli ad avviare una riforma. Il Governo italiano si pone tra coloro che si oppongono alla riforma: lo abbiamo visto con il voto contrario al Parlamento europeo degli eurodeputati di Fratelli d’Italia e della Lega mentre alla Camera e al Senato (nelle sedute che hanno preceduto il Consiglio europeo di dicembre) le risoluzioni della maggioranza non hanno ripreso la questione della revisione dei trattati e il Governo ha espresso parere negativo sulla parte delle risoluzioni del Parlamento europeo relative alla revisione dei trattati. Difficilmente riusciremo ad attivare una Convenzione per la riforma dei trattati in tempi brevi. Se ne parlerà, forse, dopo le elezioni europee e comunque non prima del 2025. Ciò non vuol dire che non si possono fare passi in avanti: ci sono almeno due strade entrambe difficili ma non impossibili soprattutto per chi non vuole accettare lo status quo che paralizza l’UE. La prima è che un certo numero di Stati decida di avviare una cooperazione più avanzata in quei settori dove non c’è unanimità. È già stato fatto in passato con l’euro e con Schengen. In futuro nulla vieta di avviare, per esempio, un trattato di Lampedusa con il quale gestire collettivamente una vera politica europea per le migrazioni tra quei paesi che vogliono farlo, lasciando aperta la porta ai paesi che oggi non ne vogliono sapere come l’Ungheria di Orban. La seconda strada, quella maestra, è di cogliere l’appuntamento delle prossime elezioni europee per chiedere ai candidati di impegnarsi affinché la prossima legislatura sia costituente.
La costruzione degli Stati Uniti d’Europa come diceva Altiero Spinelli “non cade dal cielo” e necessita della partecipazione di tutti. Vuol dire cambiare prospettiva: ovvero abbandonare lo sguardo nazionale, con il quale leggiamo e interpretiamo il mondo, e adottare lo sguardo cosmopolita, il solo che ci consente di metterci nei panni degli altri. Chi vuole restringere la democrazia tra gli angusti confini nazionali nega che la cittadinanza e la politica possano esprimersi a più livelli. Nega che ci si possa sentire allo stesso tempo cittadini del proprio quartiere, della propria città, della propria regione, dell’Italia, dell’Europa e del mondo. Ciascuna di queste appartenenze compone un puzzle che rappresenta la nostra identità plurale, che può e deve esprimersi a tutti i livelli: dal quartiere al mondo.
Volere la luna è pensare che la politica serva a cambiare la vita di tutti gli abitanti del Pianeta terra non solo degli italiani, dei francesi o dei tedeschi. Volere la luna è capire che il mondo non si divide in italiani e stranieri e che la nostra patria è il mondo intero.