editoriali

Per una nuova globalizzazione socialista

di Roberto
Musacchio

Cosa ci può essere di peggio della globalizzazione capitalistica per come l’abbiamo conosciuta e contrastata?

La domanda è spontanea, e necessaria, oggi in pieni venti di guerra che hanno effetti non circoscritti, ma generali.

La guerra scatenata dalla Russia non ha solo potenzialità di escalation terribili, ma incide pesantemente su tutti gli equilibri economici esistenti.

Anche per questo le responsabilità della NATO, dell’Occidente e della UE nell’aver ignorato le possibili conseguenze delle loro azioni unilaterali trentennali sono gravissime. La Russia sta “imitando” i comportamenti messi in atto dagli “occidentali” in tanti altri scenari. Ma mentre la Russia stessa ha per 30 anni “giocato di sponda” con questi atti unilaterali, ora l’Atlantismo non sopporta questa forma di “reciprocità”. Intendiamoci. Niente può giustificare mai i singoli atti di guerra, chiunque li compia, questa volta la Russia. E ciò che accomuna i “dominanti” trasversalmente nella gestione del capitalismo globalizzato è tanto nonostante i momenti in cui si determinano i contrasti anche feroci. Lo aveva detto il movimento dei movimenti parlando di guerra preventiva e permanente, militare ed economica. Lo dice Papa Francesco parlando di guerra mondiale a puntate in cui si arricchiscono i mercanti di armi. Come i signori dell’energia continuano a fare profitti enormi ovunque. Non c’è oggi alcuno scontro di interessi di classi sociali ma una guerra sui dividendi. Eppure proprio la questione energia dice che c’è un limite oltre il quale il cemento di classe della globalizzazione può creparsi. Se si vuole essere minimamente seri nessuna transizione energetica, nel contesto climatico e sociale in cui siamo, è possibile in un quadro di guerra come l’attuale o pensando di riattrezzare la catena del valore, e tanto meno il governo dell’entropia e della termodinamica, per rapporti di alleanza geopolitica. E tutto questo vale anche per la questione alimentare. Lo scoppio dell’inflazione a livelli ormai desueti, i rischi di catastrofe umanitaria per molti Paesi dell’Africa, ci dicono che la situazione può sfuggire di controllo anche ai dominanti. Tutta l’edificazione della UE di Maastricht è fatta sull’uso per molti aspetti strumentale dell’angoscia tedesca per lo spettro inflattivo che rimanda a Weimar. Il rapporto con la Russia è comunque una costante della Germania da Brandt a Merkel, purtroppo declinando dalle grandi visioni valoriali del primo all’opportunismo della partecipazione a Gazprom e North Stream della seconda. Non sono cose che si “smontano” dalla mattina alla sera. Per questo considerare quella attuale, e le altre grandi crisi precedenti, come fa Enrico Letta, come “costruzione dell’Europa secondo il metodo Monnet” è sbagliato e molto grave. Già il funzionalismo è un metodo che prescinde da un’idea condivisa di costruzione democratica. Appoggiarlo a crisi catastrofiche che costano morti e sofferenze estreme è inconcepibile. Serve a poco la retorica della costruzione tra lacrime e sangue. Le lacrime e il sangue sono dei moltissimi. I dividendi dei pochi. Per questo l’attuale crisi può essere affrontata solo facendo quello che non si è fatto dopo l”89. Partendo da Spinelli, Brandt, Palme, Berlinguer, dai movimenti pacifisti e non dal “funzionalismo dell’Atlantismo”.

Allora, nell’89, si è pensato di celebrare una vittoria in una guerra fredda. Oggi pensare di fare altrettanto in un conflitto caldissimo sarebbe un errore tragico. Irrimediabile.

Quello che serve è una nuova visione complessiva. Che non è la globalizzazione atlantica contro quella asiatica con la corsa agli arruolamenti delle potenze di mezzo e agli armamenti. Sarebbe una corsa verso il precipizio. Tanto meno si può pensare ai neonazionalismi come rientro dalla globalizzazione stessa. Sarebbero quanto mai improbabili a valle del conflitto orwelliano tra Ovest ed Est. E avrebbero il segno delle dittature di classe coperte da presunti stati di emergenza. È il momento invece di riproporre una visione. Quella di una globalizzazione socialista ed ecologica. Di cui l’Europa è parte e motore. Che affronta frontalmente il cuore di quella capitalistica, espropriazione del lavoro e dei beni comuni, e propone il rovesciamento di entrambi questi dati. Facendo leva sulle contraddizioni manifeste dopo tre grandi crisi globali. Sull’esigenza di una gestione comune e democratica dei grandi temi sociali e ambientali. Sul bisogno di riconvertire tutto in termini ecologici e sociali. La sovranità alimentare e l’autodeterminazione energetica sono l’esatto opposto delle follie dell’acquisto di gas USA, di uso di carbone e nucleare, di via libera agli OGM di cui si sta deliberando oggi.

Serve una visione di democrazia globale. Un’ONU riformata con strumenti democratici di intervento sugli aspetti globali della gestione del Pianeta. Lo scioglimento delle alleanze militari e delle strutture ademocratiche del capitalismo. Parlamenti continentali. Politiche economiche ambientaliste che globalizzano i diritti e non la catena del valore capitalista. Appunto una nuova globalizzazione socialista.

Roberto Musacchio

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