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Per Massimo Scalia

Vogliamo onorare Massimo Scalia che ci ha lasciati ieri riprendendo dalla rete il suo ultimo articolo contro il ritorno del nucleare.
Scalia, e Mattioli, si soffermano in particolare contro la nuova bufala delle piccole centrali. Un testo quanto mai opportuno visto che addirittura il Parlamento Europeo ha approvato a larga maggioranza trasversale un testo in questo senso
Massimo Scalia, storico militante e scienziato, è stato fondamentale nella battaglia antinucleare in Italia. E continuerà ad esserlo. Un abbraccio a tutti i suoi cari.
Al contrario, a testimoniare il grottesco trionfalismo del fronte pro-nucleare potete seguire questo link.

Il professor Massimo Scalia è morto ieri, 12 dicembre, all’età di 81 anni.

Considerato uno dei padri dell’ambientalismo italiano, Scalia era docente di Fisica Matematica all’Università “La Sapienza”, leader del movimento antinucleare e protagonista dei due referendum (1987, 2011) contro l’energia nucleare. Cofondatore di Legambiente e dei Verdi, è stato parlamentare alla Camera dei Deputati (1987-2001), dove ha promosso la legislazione su fonti rinnovabili e risparmio energetico (Leggi 9 e 10 del 1991) e sul bando dell’amianto (1992).

QualEnergia.it vuole ricordarlo pubblicando l’ultimo suo articolo, curato insieme a Gianni Mattioli, apparso sulla rivista bimestrale QualEnergia (n.5/2023), appena uscita.


Il dramma scatenato dal massacro perpetrato da Hamassembrava aver coperto il brusio sul nucleare che stava crescendo nel “palazzo”, dove in realtà stavano lavorando come formichine.

La piattaforma “Il nuovo nucleare in Italia”, un documento confidenziale, presentato al ministro dell’Ambiente e della Sicurezza energetica, Pichetto Fratin, il 22 ottobre (Il Sole 24 Ore Radiocor Plus – Milano).

E dopo la pensata dei tre deputati della maggioranza, che avevano tentato con un emendamento al “decreto Sud” di affidare alla Difesa la realizzazione non solo dei nuovi Centri per il rimpatrio, ma anche gli “impianti energetici” – leggi “centrali nucleari” –, erano insorti i nuovi pretoriani “atomici”, cazziando la superficialità di Salvini: «Sul nucleare serve serietà» (Il Foglio, 27.10.2023), il quale, una volta tanto, incredibile!, non c’entrava.

E Pichetto, volando novello Aladdin sulla sua piattaforma, aveva asseverato con fermezza: «Abbiamo bisogno di stare nella ricerca di un nucleare pulito, di nuova generazione, tanto diverso da quello referendario» (Il Sole 24 Ore Radiocor Plus – Milano, 30.10.2023).

Già, ma quale nucleare?

Il Ministro aveva però anticipato la risposta, addirittura prima che gli fosse presentata la piattaforma, con un tema a lui caro, quello degli SMR (Small Modular Reactor): «Difficile che vedremo una centrale nucleare, vedremo tanti small reactor che sono delle piccole centrali da 300, 500, 1000 megawatt questo sì. Sfatiamo un mito poi: saranno i privati nel 2030-2035 a fare domanda per installare le centrali, non sarà lo Stato che lo farà, ma saranno le imprese che avranno l’interesse» (AGEEI, 6.10.2023).

Per non umiliare il vicepremier, Pichetto si era sentito in obbligo di dire anche lui qualche grossa minchiata, come quella di qualificare “piccole centrali” reattori da 300 a 1000 MW.

Sembra di risentire l’indimenticabile Cingolani! 300 MW è infatti la taglia massima prevista per gli SMR, che non sono poi davvero una novità e presentano il seguente quadro: due in esercizio in Russia, un PWR (Pressurized Water Reactor) da 70 MW e un RBKM da 11 MW(un mini reattore moderato a grafite tipo Cernobyl); un HTGR (High Temperature Gascooled Reactor) da 210 MW in Cina e un altro, sembra, in India, ma del quale non si trova traccia se non nell’annuncio che ne fa un sito di statistiche, che però all’annuncio si ferma.

SMR inesistenti

La IAEA (International Atomic Energy Agencyci informa che ci sono complessivamente oltre 80 progetti di SMR in vari Paesi del mondo, alcuni sono stati ritirati, e dei quattro in costruzione, due sono in Cina, uno in Russia e uno in Argentina.

Però, nonostante il panegirico e i vantaggi che l’Agenzia atomica predica per gli SMR come “Nuclear Power for the Future”, l’ultimo rapporto sul loro stato dell’arte risale a tre anni fa e, dopo decadi di chiacchiere – i prototipi sono partiti negli anni ’60 in Germania, Russia e Giappone – l’espansione degli SMR è rimasta flatus vocis: meno di un millesimo della potenza nucleare in esercizio nel mondo!

Con la produzione di energia nucleo-elettrica, non fa mai male ricordarlo, che su scala mondo è scesa a meno del 10% di quella elettrica complessiva e, conseguentemente, a meno del 2% dei consumi finali d’energia.

In definitiva i tanto sottolineati aspetti appetibili degli SMR – la piccolezza della taglia rispetto alle centrali di potenza; la modularità, cioè la possibilità di assemblare in fabbrica componenti e sistemi e il trasporto dell’unità assemblata nel sito dell’installazione – hanno convinto solo gli utenti abituali, che sono le Marine degli Stati che hanno in dotazione sottomarini a propulsione nucleare.

L’eterna liaison nucleare civile/nucleare militare, come, a parte l’ormai annosa vicenda dell’Iran, confermò pochi anni fa, ce ne fosse stato bisogno, la richiesta abbastanza ultimativa che la Rolls Royce, uno dei produttori di SMR, avanzò al Governo inglese per sollecitare altri ordinativi (Chaffee P., 2020, “Rolls Royce pushes for major SMR commitments”, Nucl. Intell.Weekly.14).

Piccoli e sicuri? Piccoli certamente, quanto alla sicurezza siamo alle solite con la fissione nucleare.

Gli SMR adottano le stesse tecnologie di fissione ultra-note e non sono mai stati concepiti per la sicurezza intrinseca, i problemi sono sempre gli stessi.

Insomma, per la fissione vale, all’insegna del repetita iuvant, la battuta di Giorgio Parisi: «È più vecchia del transistor».

Il perché di questo ritardo e come l’innovazione abbia riguardato componenti e soluzioni ingegneristiche anche importanti, ma non la Fisica del reattore, lo riserviamo ai ripetitivi dibattiti per un eventuale terzo referendum sul nucleare.

Quanto alla contaminazione radioattiva si avrebbe, per cumulativi 1.000 MW, cioè quanti quelli di una centrale di potenza, un maggior coinvolgimento di territorio dovuto al frazionamento in tanti piccoli impianti.

Imprese indecise

Ma vuoi mettere il vantaggio che questi SMR non si faranno a spese dello Stato ma di gruppi di imprenditori che si consorzieranno ad hoc?

Sorride all’idea, il nostro fratacchione, anche se poi i proponenti la piattaforma sono pubblici, tranne Nomisma Energia: Edison, Ansaldo Nucleare, Enea, Politecnico di Milano.

Ma il sorriso fratiniano non esime dal porsi dei dubbi su quali siano questi imprenditori e se abbiano competenze e credibilità industriali per realizzare impianti di adeguata tecnologia nucleare.

Di quale entità è, per esempio, il loro portafogli ordini? Ma come, c’è la “Fermi energia” che ha un contratto con l’Estonia per l’entrata in esercizio, non prima del 2030, di un suo SMR, che diventerebbe addirittura di IV generazione nel 2035.

Sì, però Pichetto non se la fila proprio e cita l’esempio di Torino, dove «un gruppo di imprese della cintura potrebbe prendere uno small reactor di quelli che sta sperimentando Edison che è del gruppo francese Edf, ma siamo tutti nell’Unione europea. Questo può darsi che succeda.» (ANSA, Torino, 20.10.2023).

Voluta omissione di un altro SMR di progettazione italica, quello della Newcleo, che pure aveva commosso il Sole24ore (31.8.21) e che a Torino una sede ce l’ha? E la “sovranità energetica nazionale” allora? Sempre sotto la cappella dei francesi, quando si parla di nucleare.

Come ai tempi di Silvio e delle pacche sulle spalle che generosamente gli dispensava Sarkozy, quando voleva rifilare all’Italia la bellezza di quattro EPR (European Pressurized Reactor, un reattore PWR da 1.600 MW, ndr) – a proposito, che vergogna e che smacco per Asterix e Obelix è quell’EPR, che marcia con 14 anni di ritardo, e moltiplicazione per sei del costo iniziale, là nel loro villaggio di Flamanville. E a respingere le pretese galliche ci pensò felicemente il popolo italiano col referendum del 2011.

Quel che si voglia, ma gli SMR garantiscono costi competitivi! Peccato, allora, non averne informato il Governo degli Stati Uniti, che ha annullato il progetto del piccolo reattore modulare che NuScale Power Corp., una delle più accreditate nel settore SMR, stava costruendo con la Utah Associated Municipal Power Systems.

Come mai? Inizialmente, il costo dell’elettricità prodotta era stimato in 58 dollari per megawattora, ma col tempo è aumentato del 52% fino a raggiungere 89 dollari per megawattora, secondo quanto citato da Bloomberg (ZUL/EFS ECO, 9.11.2023).

C’è allora da elogiare la prudenza fratesca del Ministro, che ha voluto partecipare allo schiamazzo sul nucleare – sul quale Repubblica, odorato il vento, ha subito giocato il ruolo di “antemarcia” con un servizio peraltro esaustivo (“Il tabù nucleare”, 8.10.2023) – ma che ha sagacemente spostato i termini verso il 2030-2035 (vedi sopra nota AGEEI) e, con sussulto patriottico, rivendicato un ruolo per la patria di Fermi (indubbiamente molto sottodimensionato in “Oppenheimer”, il bel film di Nolan): «[…] possiamo essere davvero i primi o in prima fila in quello che sarà il nucleare del futuro, che non sarà oggi e non sarà domani» (ibidem).

Il Ministro si è impegnato a presentare il quadro regolatorio del nucleare che verrà entro la fine della legislatura e, agli “Stati generali della Greeneconomy” a “Ecomondo” (Rimini) ha citato il problema delle scorie nucleari asserendo: «Dobbiamo trovare una soluzione» (La Verità, “Presto avremo un deposito per le scorie” 8.11.2023). Però!

Non rimane allora che continuare a esternare la noia per la esasperante ripetitività del dibattito sul nucleare, come nell’introduzione al bel libro di Lucia Venturi: “La menzogna nucleare” (Intermezzi Editore), ricordando che quella ripetitività è figlia del “niente di nuovo” sul fronte dell’innovazione nella fissione nucleare.

Una cappa che scende plumbea, come il refrigerante di alcuni progetti SMR, sulle speranze degli “orfani del nucleare”, ma anche degli inevitabili neofiti generazionali, più o meno avvocati dell’atomo.

E così si attenua anche la prospettiva di una terza battaglia referendaria, quasi ci dispiace, e non per meri motivi anagrafici.

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