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Non capire gli errori e ricommetterli è diabolico: il Covid nella provincia di Bergamo

di Francesca
Nava

Angelo Moretti, 77 anni di Nembro, il 24 gennaio viene ricoverato nel reparto di Medicina dell’ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo. Diagnosi: politicemia, una malattia del sangue. Inizialmente viene messo in una stanza con tre posti letto per pazienti gravi e, dopo qualche giorno, di fianco a lui viene ricoverato un signore di Alzano Lombardo con problemi respiratori a cui subito viene messo il casco CPAP per la ventilazione meccanica. Il vicino di letto del signor Moretti ha un virus, ma nessuno sa di preciso che cosa sia. Dopo pochi giorni l’uomo attaccato al respiratore viene intubato e portato all’ospedale “Bolognini” di Seriate, in provincia di Bergamo. La nipote del signor Moretti ha 9 anni e vorrebbe fare visita al nonno in ospedale. Con la madre, figlia di Angelo Moretti, arriva all’ingresso del reparto di Medicina del “Pesenti Fenaroli”, ma un’infermiera dice alla donna di non portare all’interno la bimba a causa delle molteplici infezioni: “questo reparto è pieno di polmoniti” sono le sue parole esatte. Siamo agli inizi di febbraio.

Il signor Moretti, nel frattempo, migliora e viene spostato in una stanza da quattro posti letto, sempre nel reparto di Medicina. È il 19 febbraio. In Italia, ufficialmente, il Covid-19 non è ancora arrivato. Codogno e Alzano Lombardo sono solo due piccoli comuni del nord italia sconosciuti al mondo.

Al mattino Angelo chiama più volte la moglie dicendo che lo avrebbero dimesso. Successivamente, la richiama dicendole che forse non lo avrebbero dimesso perché aveva la febbre. Gli viene somministrata la tachipirina e la febbre scende.
Nel primo pomeriggio Angelo Moretti viene dimesso nonostante avesse inserito il catetere per urinare e avesse ancora un po’ di febbre. Una volta a casa l’uomo non è “più lui”: passa dall’essere totalmente autosufficiente, al dover dipendere in tutto dalla moglie.

Lunedì 24 febbraio, il giorno dopo l’accertamento dei primi casi positivi al Covid-19 all’interno dell’ospedale di Alzano Lombardo (uno nel reparto di Medicina, uno in quello di Chirurgia – deceduto nella notte a Bergamo – e un sospetto Covid al pronto soccorso) e nonostante la chiusura e successiva riapertura dell’ospedale, viene confermata ad Angelo Moretti la visita dall’urologo per il catetere all’interno dei poliambulatori del “Pesenti Fenaroli” di Alzano. Alle 9 del mattino, la figlia e la nipote del signor Moretti accompagnano l’uomo in ospedale e si accorgono che nella struttura circola moltissima gente. Nessuno, a parte gli infermieri, indossa la mascherina. Ovviamente non la indossano nemmeno loro tre. Fatta la visita tornano tutti insieme a casa. All’indomani, il 25 febbraio, Angelo e la moglie iniziano a presentare sintomi riconducibili al Covid-19. Il signor Moretti ha la febbre alta, dissenteria, difficoltà respiratorie, mal di gola e perdita di gusto e olfatto. La figlia Monia chiama immediatamente una ambulanza che porta entrambi i genitori all’ospedale di Treviglio. Vengono ricoverati, viene fatto loro il tampone e solo al padre viene messo il casco CPAP. Lui risulta positivo al Covid-19, la moglie no. Il 26 febbraio Angelo Moretti viene messo in coma farmacologico, intubato e trasportato alla Poliambulanza di Brescia, dove muore il 13 marzo 2020.

Questa è solo una delle oltre 200 storie raccolte dal Comitato “Noi Denunceremo: Verità e Giustizia per le vittime del Covid-19”. Storie trasformate in esposti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bergamo, che da da oltre due mesi indaga senza sosta sull’ipotesi di reato di epidemia e omicidio colposo per capire se siano state commesse negligenze all’interno dell’ospedale di Alzano e se queste, insieme alla mancata zona rossa in Val Seriana, possano essere considerate le cause dell’abnorme incremento di mortalità in tutta la bergamasca. Il coronavirus a Bergamo e provincia ha ucciso in un mese e mezzo seimila persone. Ogni esposto, che verrà comunque valutato singolarmente caso per caso, aggiunge un tassello prezioso all’indagine. Oggi, ad esempio, sappiamo con certezza che il virus in quell’ospedale circolasse già da settimane, molto prima del fatidico 23 febbraio. Oggi sappiamo anche che la popolazione della Val Seriana è stata mandata al macello, in giro per la valle senza nessun avvertimento, nonostante i casi di Covid conclamati all’ospedale di Alzano. Il fatto che il 24 febbraio i poliambulatori del “Pesenti Fenaroli” fossero aperti al pubblico ne è la prova.

La rimozione e l’oblio uccidono due volte chi è già morto. E mortificano i sopravvissuti che quell’oblio combattono ogni giorno a mani nude.

C’è un filo rosso che tiene insieme i primi quaranta esposti contro ignoti depositati il 10 giugno alla Procura di Bergamo dai parenti delle vittime. È una dettagliata ricostruzione di tutti i passaggi e del contesto sanitario che ha preceduto lo scoppio della pandemia in nord Italia e determinato un numero così alto di vittime. Un drammatico elenco di inefficienze, errori, omissioni e forse complicità, che porta la firma di diversi attori. Le responsabilità penali dovranno essere accertate dalla Magistratura, questo è chiaro, ma la crudeltà dei fatti, le responsabilità morali della politica, sono tutte racchiuse nelle storie agghiaccianti di questi sopravvissuti, che oggi reclamano giustizia, ma soprattutto verità e diventano memoria collettiva. Un filo rosso che solleva interrogativi su quello che non ha funzionato nella catena di comando, che da Milano prima e da Roma poi, ha deciso, anzi, non ha deciso di isolare il focolaio lombardo intorno all’ospedale “Pesenti Fenaroli” di Alzano Lombardo. Un impianto accusatorio granitico, coeso, che punta il dito contro la politica e chiama in causa gli amministratori locali, i dirigenti della sanità lombarda e lo stesso governo centrale. I membri del Comitato “Noi Denunceremo”, guidati dal carismatico fondatore, il commercialista bergamasco Luca Fusco e dalla pasionaria avvocata di Seriate Consuelo Locati – entrambi figli di vittime del coronavirus – hanno scelto di presentarsi così davanti alla giustizia, legati spiritualmente da un minimo comune denominatore: le loro storie, l’urgenza di ricostruire ogni singolo passaggio di questa tragedia, la realtà dei numeri, la ricerca della verità.

Diventa sinfonia ogni loro denuncia, dietro cui si cela la sofferenza di intere comunità e dentro a cui si citano articoli di stampa, documenti, testimonianze e dichiarazioni. Tutto agli atti dell’inchiesta della Procura di Bergamo, che vede già due persone iscritte sul registro degli indagati.

Non c’è vittimismo, non c’è piagnisteo. I bergamaschi sono così: indomiti e fieri, riservati e silenziosi, ma quando in gioco c’è la dignità umana, l’oltraggio al bene più sacro, quello della vita e il rispetto della morte, reagiscono come tigri.

Il secondo “Denuncia day” è in programma a inizio luglio. Ci saranno altri esposti, altre storie, altre voci che invocano giustizia per le vittime di una “strage annunciata”.

“C’è una catena di comando che deve rispondere sulla folle riapertura dell’ospedale di Alzano Lombardo. Sulla mancata zona rossa – mi dice il fondatore del comitato Luca Fusco – a noi non interessa mandare le persone in galera, vogliamo conoscere la verità e vogliamo che i responsabili vengano sollevati dal loro incarico. Conoscere gli errori, risalire alle responsabilità è l’unico modo per cacciare queste persone e sostituirle con dirigenti capaci. Il sistema sanitario lombardo, tutto il sistema nel suo complesso, ha evidenziato delle storture, delle falle e va revisionato. La nostra è una battaglia di civiltà, che andrà a vantaggio di tutta la collettività, non del singolo. Nessuno di noi chiede giustizia per se stesso. I cittadini vogliono sapere davvero che cosa sia andato storto in Val Seriana. Chi abbia preso certe decisioni. Se ci siano state pressioni del mondo economico. Perché non sia stato dato l’allarme alla popolazione. Pretendono e meritano persone in grado di tutelare la loro salute”.

Domenica 28 giugno il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, sarà davanti al Cimitero Monumentale di Bergamo per la cerimonia di commemorazione dei defunti di Covid-19. E qui Luca Fusco si incupisce.

“Nonostante una richiesta accorata di una nostra iscritta al comitato, Cristina Longhini, e una pec conseguente inviata al Quirinale con notifica di lettura non abbiamo nessuna notizia di un invito del nostro comitato alla cerimonia di commemorazione. Ci saremmo aspettati un contatto, non è accaduto, non ci aspettiamo più nulla. Siamo molto delusi. Sembra quasi, come ha detto mio figlio Stefano, che dimenticare Bergamo, dimenticare le vittime di Bergamo, dimenticare che qui ci sia stata la più grande ecatombe della storia d’Italia dal secondo dopoguerra in poi, spostandosi invece su Codogno e altre zone della Lombardia, serva per farci vedere la lapide e nascondere il cimitero”.

Ma un guerriero non ha bisogno di cerimonie. La Procura di Bergamo va avanti spedita con l’inchiesta e questo rincuora i parenti delle vittime.

“Gli inquirenti bergamaschi stanno facendo un egregio lavoro – commenta Luca Fusco – siamo felici della nomina di Andrea Crisanti come consulente tecnico-scientifico della Procura di Bergamo. Lui è l’esperto che ha lanciato il modello Veneto, dove l’epidemia è stata circoscritta e si sono salvate molte vite”. Dunque, ora, è proprio il nesso di causalità tra il mancato isolamento del virus e l’incremento esponenziale dei morti che andrà dimostrato. Per farlo, se i numeri lo diranno, Crisanti si avvarrà dell’expertise di statistici ed epidemiologi del prestigioso ateneo britannico Imperial College di Londra, uno dei più innovativi al mondo, che già a metà gennaio attraverso scrupolosi modelli matematici aveva capito la portata letale di questa epidemia, quando ancora tutto il mondo dipendeva solo dai dati poco trasparenti forniti dalla Cina.

Lunedì 22 giugno, all’uscita dal Tribunale di Bergamo, dopo un incontro con i pm durato circa un’ora e mezza, il professor Crisanti ha dichiarato: “Ho ricevuto quattro quesiti sull’ospedale di Alzano e sulla zona rossa, non sulle Rsa. Mi avvarrò della collaborazione di esperti di statistica. Mi sono preso 90 giorni di tempo per consegnare i risultati”. Crisanti, prima di entrare in Procura, ha rilasciato anche un’altra dichiarazione estremamente significativa: “Se all’ospedale di Schiavonia (in provincia di Padova) avessimo fatto come ad Alzano, sarebbe stata una strage”. Pochi giorni fa il microbiologo che ha lanciato il modello dei tamponi a tappeto in Veneto aveva dichiarato alla sottoscritta per TPI: “Ce la metterò tutta per aiutare i pm di Bergamo ad arrivare alla verità. Il 21 febbraio bisognava chiudere tutto subito: la Lombardia e parte del Veneto. Questo l’ho detto immediatamente. Sono stato l’unico a dirlo. C’è una mia intervista su Il Tempo di quei giorni e non mi rimangio nulla di quello che ho detto. Il 25 febbraio c’erano i dati di Vo’ che dimostravano che c’era già il 3 per cento della popolazione infetta. La situazione era già drammatica e quindi bisogna chiedersi su quale base siano state fatte certe dichiarazioni. Il 26 febbraio noi abbiamo pubblicato i dati di Vo’ e se già allora il 3 per cento della popolazione era infetta è chiaro che gli stessi livelli si sarebbero trovati in altre zone. Con un tempo di replicazione di 5 giorni e un RT di 3, ciò significa che il 4 marzo, quando ormai erano passati 15 giorni, il virus era già arrivato al 20 per cento. I dati erano lì davanti a loro, che cosa hanno fatto in Lombardia con i dati del Veneto?”.

Ora dunque nell’inchiesta per epidemia e omicidio colposo è il momento delle consulenze scientifiche, dopo le audizioni che sono già avvenute le scorse settimane con il governatore della Regione Lombardia Attilio Fontana, con l’assessore al Welfare Giulio Gallera, con il presidente di Confindustria Lombardia Marco Bonometti, con il presidente del Consiglio Giuseppe Conte e i ministri della Salute Roberto Speranza e dell’Interno Luciana Lamorgese. Nei mesi precedenti erano già stati sentiti anche il direttore generale dell’ASST Bergamo est, Francesco Locati e l’ex direttore generale dell’assessorato al Welfare, Luigi Cajazzo, sostituito in questi giorni da Marco Trivelli, volto della scuola ciellina cresciuta nel ventennio di Roberto Formigoni.

C’è infine un’ultima nota dolente di tutta questa vicenda. In un territorio abbandonato, dove sono saltate tutte le cinghie di trasmissione tra gli ospedali e i medici di base, dove la gente è morta in casa, dove i cittadini si sono improvvisati medici e infermieri, dove i tamponi sono stati fatti solo in ospedale su pazienti in fin di vita, dove saturimetri e bombole di ossigeno sono diventati vitali e introvabili; qui dove – mentre tutta Italia era barricata in casa – hanno continuato a lavorare decine di migliaia di persone nelle fabbriche rimaste sciaguratamente aperte per un mese intero dopo i primi casi positivi di Alzano, ebbene in questa terra ricca e tradita dalla sua stessa opulenza, c’è infine un ultimo barlume di speranza che sembra andare in fumo.

“Per quanto riguarda la commissione d’inchiesta della Regione Lombardia sulla gestione dell’emergenza Covid-19, da statuto regionale la nomina del presidente compete alle opposizioni – mi dice Luca Fusco alla fine di questa intervista – a fronte della nomina della consigliera Patrizia Baffi di Italia Viva, eletta con i voti della maggioranza, giustamente la consigliera ha fatto un passo indietro e si è dimessa. Adesso la commissione è vacante. Tutti i consiglieri di minoranza si sono espressi per eleggere il consigliere del PD Jacopo Scandella, ma da notizie che mi sono giunte nemmeno settimana prossima è calendarizzata una seduta per la costituzione della commissione. Non si capisce perché Regione Lombardia non voglia far nascere questa commissione d’inchiesta utile per fare luce sui fatti e ritrovarsi in autunno con un piano concreto per aggiustare le falle del nostro sistema sanitario. Chiediamo che venga nominata e che possa cominciare a lavorare”.

Ottobre è vicino. Non capire gli errori e ricommetterli è diabolico.

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