Riprendiamo da napolimonitor.it, con lo stesso titolo, l’articolo di Turi Opera –
Quello che dice quanto accaduto il giorno di Natale, a chi è abituato a frequentare l’Istituto Penale Minorile “Cesare Beccaria” e i ragazzi che lì sono costretti a stare o che da lì sono passati, è cosa nota, risaputa. Al Beccaria si sta male, sono atavici i problemi, interventi strutturali sono in corso d’opera da sedici anni determinando la chiusura di un’intera ala dell’istituto, la chiusura del reparto femminile, la riduzione della capienza disponibile maschile (da cinquanta a trentuno ragazzi) e il sovraffollamento delle aree restanti (al momento della fuga erano in quarantadue!); al Beccaria manca un direttore in pianta stabile da venti anni, gli educatori sono pochi e stanchi e hanno un sacco di problemi organizzativi, qualcuno di questi è da troppi anni chiuso e istituzionalizzato lì dentro; i servizi sociali sono oberati e fanno fatica a rispondere ai bisogni necessari ai detenuti in carico; al Beccaria, come in qualsiasi altro istituto di pena, gli agenti, con turnover continui, fanno gli agenti. Nel rapporto 2022 “Ragazzi dentro” di Antigone, dove con grande precisione vengono descritti uno per uno i diciassette istituti penali minorili italiani con una visita annuale, approfondimenti, relazioni e dati, tra le altre cose sul Beccaria si legge:
“Non sembra più l’IPM-modello che era stato in passato. Anzi, colpisce il contrasto tra un quartiere intorno all’IPM in rapidissima espansione e un istituto ancora alle prese (dopo quindici anni) con una ristrutturazione eterna di cui ancora non si vede la fine (nonostante le numerose ‘promesse’ e scadenze fissate puntualmente derogate), costringendo operatori e giovani detenuti a non poter sfruttare appieno le potenzialità della struttura, che, in molte aree, risulta un cantiere a cielo aperto, transennata o ricoperta da ponteggi. Il cantiere a cielo aperto che interessa buona parte dell’IPM è sintomatico di un istituto in eterna transizione, con una direzione ‘a scavalco’ con altri istituti e la scelta di trasformare il Centro di prima accoglienza in reparto isolamento Covid. Piuttosto ambigua la gestione degli spazi detentivi attigui all’infermeria. Si tratta di celle chiuse e più anguste di quelle dei reparti ordinari che ospitano ragazzi non solo per ragioni sanitarie ma anche disciplinari e di mera organizzazione degli spazi. Le tante attività trattamentali proposte faticano a tradursi in percorsi significativi di inserimento lavorativo”.
Don Gino Rigoldi, storico cappellano dell’Istituto (da cinquantadue anni!), l’ha denunciato più volte: «Serve un direttore»; «Ci sono poche opportunità efficaci»; «I lavori di ristrutturazione dell’edificio durano da troppi anni e creano disagio»; «Servono più educatori e serve rivedere l’intervento educativo»; «Bisogna aspettare che ci scappi il morto perché il ministero si muova?». Don Gino è arrivato a lanciare anche una provocazione che, non è difficile, reputare come unica proposta sensata: «L’IPM Cesare Beccaria va chiuso, tutti gli IPM vanno chiusi, non servono».
Ogni volta che un minorenne finisce in un carcere dovrebbe essere vista come una sconfitta per tutta la comunità, per ogni istituzione, per ogni società che si ritiene o si definisce avanzata. L’esistenza stessa di questi istituti di pena legittima questa sconfitta, giacché provocano e riproducono solo disagio e sofferenza. Bisognerebbe partire da qui, dalla provocazione di Don Gino: le carceri minorili dovrebbero chiudere, non risolvono nessun problema.
L’impianto giuridico minorile italiano è tra i più avanzati al mondo, con dispositivi molto differenti da quelli previsti per gli adulti, in cui la misura detentiva è considerata veramente come extrema ratio. Il numero degli ingressi negli IPM si è dimezzato negli ultimi dieci anni. In Italia oggi nei diciassette istituti in funzione ci sono circa quattrocento detenuti, di cui venti ragazze (numeri contenutissimi, soprattutto se si paragonano con quelli di altre nazioni). Nonostante questi elementi, le carceri per i minorenni in Italia negli ultimi anni sembrano però aver peggiorato le loro condizioni e la loro inadeguatezza nell’accogliere questi giovani perturbanti.
Perché negli istituti penali minorili italiani si sta male? Perché si sta male anche al Beccaria che dell’idea di “istituto modello” mantiene solo un ricordo, nonostante continui a essere l’istituto a ricevere più di altri risorse pubbliche e private? Perché questi luoghi non guariscono il male, ma anzi lo riproducono e lo amplificano? La risposta potrebbe sembrare semplice e ideologica, ma quella più azzeccata è quasi banale: perché il carcere fa schifo e fa ancora più schifo se è un carcere per minori; delle sofferenze, delle violenze subite e agite, dell’autolesionismo (teatralizzato per sbattere in faccia il terribile dolore quotidiano per la propria condizione), si trova poca traccia in tutti i ragionamenti fatti e che si stanno facendo; dei rapporti conflittuali e difficili con gli educatori e le educatrici, con le assistenti sociali, con gli agenti, con i compagni di detenzione c’è poca traccia; delle poche possibilità, delle comunità inadeguate c’è poca discussione; delle pile stilo ingoiate, dei tagli sulle braccia e sullo stomaco, delle risse e dei pestaggi, del nome della propria madre scolpito nella carne con l’accendino rovente non si parla. Forse aiuterebbe ascoltare con più attenzione e senza pregiudizi o moralismi le canzoni di persone come Baby Gang.
Le biografie dei detenuti degli IPM ci dicono che chi finisce in questi posti terribili sono solo ragazzi fragili, poveri, soli, affaticati psicologicamente, marginalizzati socialmente e, perché no, ribelli. Dei bellissimi ribelli. “Il giovane criminale è colui che ha forzato una porta che dava su di un luogo proibito. Vuole che questa porta si apra sul più bel paesaggio del mondo, esige che il bagno penale che ha meritato sia feroce. Finalmente degno della fatica che ha fatto per conquistarlo” (Il giovane criminale, Jean Genet, 1948).
Come già scritto: in questi anni le denunce di addetti ai lavori, di personaggi autorevoli e competenti, la ricerca sociologica, il privato sociale, l’associazionismo che si occupa dei diritti dei detenuti, i media, le pubblicazioni specializzate ci hanno dato tutti i dati che circostanziavano una situazione terribile e in peggioramento. L’ho detto all’inizio: chi conosce il Beccaria non si è stupito di quello che è emerso con “l’evasione di Natale”. Sapevamo tutto, ma non riuscivamo a combinare niente. Gli addetti ai lavori e i professionisti accreditati ce l’avevano già spiegato e avevano raccolto il necessario a comprendere il fenomeno, ma tutto precipitava. Va dato atto ai giovani inscienti fuggiaschi di Natale e ai loro compagni di detenzione, contrassegnati come rivoltosi, di aver fatto sapere a tutto il paese che il carcere fa schifo e che dentro al Beccaria si sta male. Vedrete che qualcosa cambierà in meglio in questi posti terribili. Il merito andrà dato a questi giovani criminali. Grazie ragazzi.