Per chi si occupa di politiche di contrasto alla povertà questo è un momento tanto importante quanto delicato. Mentre una parte della politica si interroga sul senso stesso di una misura come il Reddito di Cittadinanza (RDC), mettendone in discussione l’esistenza, un organo scientifico come la Commissione di valutazione del RDC istituita presso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ne mette in luce l’utilità nonostante alcune criticità: dai criteri di accesso, alla complessa gestione e attuazione dei patti per il lavoro e per l’inclusione sociale[1].
Già nel 2020, una serie di valutazioni di importanti soggetti istituzionali quali Inps, Corte dei Conti e ISTAT mettevano in evidenza come tale misura fosse stata efficace nel ridurre l’intensità della povertà e nel raggiungere una platea ampia di popolazione in stato di bisogno, senza, tuttavia, riuscire a raggiungere buona parte delle persone in povertà assoluta. Sul versante dell’attivazione lavorativa, l’ANPAL evidenziava invece le oggettive difficoltà di collocamento della platea di destinatari, dovute principalmente al possesso di livelli di istruzione bassissimi.
Tenendo in considerazione tali aspetti generali sul funzionamento dell’attuale misura nazionale di contrasto alla povertà, tra la fine del 2019 e i primi mesi del 2020, proprio a ridosso della crisi pandemica, il gruppo di ricerca INAPP ha deciso di interrogare i referenti regionali delle politiche sociali e delle politiche attive del lavoro su alcune questioni significative relative al passaggio dal Reddito di Inclusione (REI) al RDC. In particolare, il lavoro mirava a capire se e quanto la messa a regime del RDC fosse stata influenzata dalla precedente misura (il REI) intercettando il punto di vista del livello regionale di governo, punto di vista che non sempre emerge in maniera ben definita nel dibattito attuale.
L’analisi delle esperienze regionali sull’attuazione del REI ha portato alla luce diversi e rilevanti elementi che aiutano, almeno in parte, a leggere quello che oggi accade con il RDC. Tra le evidenze di maggior rilievo emerse in tale attività di ricerca emerge come il processo di rinnovamento verso una governance multilivello è stato sicuramente avviato, ma la frammentazione e la sovrapposizione delle competenze attribuite ai vari soggetti che concorrono nel definire e nell’applicare politiche e misure di contrasto alla povertà, hanno inciso (e incidono tutt’ora) in maniera significativa sull’efficacia di attuare gli interventi di policy.
Anche a seguito dell’introduzione del RDC sarebbe stato opportuno chiarire meglio fin dall’inizio come si dovessero sviluppare le interrelazioni tra i diversi soggetti, stabilendo modalità operative utili a seguire flussi dinamici lineari e agevoli per permettere l’interazione e l’integrazione senza puntare necessariamente all’omologazione delle competenze.
Ancora, nei rapporti con gli Ambiti sociali territoriali, l’approfondimento in diverse Regioni ci restituisce una fisionomia caratterizzata da una forte complessità e, al tempo stesso, da un livello di competenze e professionalità non sempre sufficienti, ad esempio, a costituire in maniera solida le c.d. “équipe multidisciplinari”, formula organizzativa cardine sia nel caso del REI che nel caso dell’RDC che dovrebbe permettere un dialogo strutturato tra operatori provenienti da servizi diversi per costruire il percorso più adatto per sostenere le persone e le famiglie più vulnerabili.
Una delle osservazione riportata da tutti i testimoni privilegiati intervistati è quella riferita alla “breve vita” del REI. Essendo infatti una misura entrata in vigore a gennaio 2018 e superata già nel mese di marzo dell’anno successivo, non è stato semplice per le Regioni esprimere un giudizio, sottolineando che non vi sono stati i tempi necessari per maturare considerazioni di sintesi su tale esperienza e per intervenire in corso d’opera sulle criticità emergenti. I ricercatori si sono dunque trovati di fronte a una sorta di bilancio ‘sospeso’ ma potenzialmente positivo, determinato dalla predisposizione di una strategia nazionale di contrasto alla povertà che ha offerto alle Regioni la possibilità di costruire una strategia anche a livello regionale.
Diverse, inoltre, sono state le voci che hanno sottolineato l’importanza del REI come ‘palestra’, in cui sperimentare soluzioni organizzative e operative e che dunque è servito da apripista alla nuova misura.
Un ulteriore interessante punto di vista, riguardante alcune realtà regionali più di altre, restituisce l’idea di un sistema che spesso funziona a seconda delle persone che lo dirigono. Spesso fra i territori che lavorano meglio e quelli che mostrano maggiore incertezza ciò che fa la differenza è il dirigente che si trova a gestire, a organizzare e a definire il percorso a livello territoriale, rispondendo, in tal caso, a una sorta di responsabilità nei confronti del servizio pubblico e utilizzando le proprie competenze per colmare eventuali vuoti del sistema.
Un ulteriore vincolo emerso durante l’indagine, forse alla base di tutte le criticità emerse, riporta a una certa debolezza delle amministrazioni, degli Ambiti, dei Servizi sociali e dei Centri per l’impiego nel gestire la mole di lavoro legata all’attuazione del REI, con tutto quello che ha comportato sia in termini di quantità sia di qualità delle prestazioni richieste.
Le strutture si sono trovate a gestire una quantità di lavoro eccessiva rispetto a una disponibilità non ancora adeguata. Tali aspetti si sono ovviamente amplificati con l’avvento e la messa a regime del RDC, caratterizzato da numeri di gran lunga superiori in termini di beneficiari.
Tutti i soggetti incontrati, infine, concordano sull’importanza della capacità di ‘fare rete’, soprattutto per gli Ambiti territoriali sociali, maturata durante il REI, e sulla necessità di potenziarla e consolidarla per far fronte alle situazioni di emergenza sociale. La complessità dei bisogni delle persone svantaggiate richiede un’azione coordinata e una collaborazione tra molteplici attori, per questo le istituzioni coinvolte nel processo e i servizi preposti sono tutti chiamati a sviluppare abilità a strutturarsi in reti, e la presenza di un network diviene essenziale.
Infine, rispetto al ruolo delle regioni nell’ambito della strategia nazionale definita dal policy maker ‘centrale’ (il MLPS), richiamato in precedenza, è bene ricordare come anche nel recente Piano Nazionale degli interventi e dei servizi sociali 2021–2023[2] sia stato evidenziato il ruolo della Rete della protezione e dell’inclusione sociale, presieduta dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali, come sede istituzionale di confronto tra Ministeri, Regioni, Enti locali, Inps, Parti sociali, Terzo settore e Utenti attraverso le loro associazioni. Come specificato nel documento citato, inoltre, “la Rete si articolerà anche in una Cabina di regia che cercherà di assicurare il coordinamento complessivo dell’utilizzo dei fondi destinati ai servizi sociali del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza PNRR, del PON Inclusione e dei fondi nazionali facenti capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali”.
Ecco, le risorse finanziarie di cui tanto si parla. Il fatto che quelle dedicate al contrasto alla povertà siano di fatto e finalmente diventate ‘strutturali’ e non disponibili a seconda del vento (politico e ideologico) che tirava (e che tira!), è un risultato assolutamente importante.
Tuttavia, come evidenziato da Remo Siza[3] qualche anno fa “ciò che dobbiamo evitare è una sorta di ‘efficacia presunta’, supporre, cioè, che sia sufficiente finanziare generosamente una misura per raggiungere i risultati auspicati e dare risposta alle esigenze concrete delle famiglie e delle persone”.
Le Regioni dovranno giocare in questo senso un ruolo importante di monitoraggio e controllo della spesa e della sua qualità per evitare che non venga utilizzata in maniera efficace e utile all’interesse generale. E ciò anche per evitare che qualcuno possa trovare terreno fertile nell’affermare che la spesa sociale, nelle sue diverse forme, alla fine non serva o serva a far stare seduti sul divano le persone, distogliendo l’attenzione dal fatto che il lavoro, in Italia, viene comunque retribuito troppo poco.
Scarica qui il rapporto di ricerca dell’INAPP: INAPP_D’Emilione_et_al._Esperienza_regioni_applicazione_ReI_IP_29_2021.pdf
* Matteo d’Emilione è un ricercatore dell’INAPP (ex ISFOL) – Istituto Nazionale per l’Analisi delle Politiche Pubbliche
[1] Introduzione-Relazione-valutazione-RdC.pdf (lavoro.gov.it)
[2] https://www.lavoro.gov.it/priorita/Documents/Piano-Nazionale-degli-Interventi-e-dei-Servizi-Sociali-2021-2023.pdf
[3] https://welforum.it/lefficacia-presunta-del-reddito-di-cittadinanza/