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Le grane di Zelensky

di Franco
Ferrari

Le ultime settimane hanno evidenziato una serie di difficoltà nella gestione politica oltre che nella strategia militare su cui il presidente ucraino ha improntato la guerra. Sul terreno l’esercito ucraino ha recuperato meno dello 0,25% del territorio che la Russia aveva occupato in giugno, quindi ancora meno se si considerano le zone che prima dell’inizio della guerra avevano dato vita alle Repubbliche del Donbass.

Si è evidenziato come le linee di difesa approntate nei mesi scorsi dai russi abbiano finora retto mentre Kiev sperava di poter dividere il territorio orientale aprendo un corridoio verso la città di Melitopol. Di fronte alle pressioni occidentali che chiedevano qualche risultato più consistente tale da rafforzare il consenso alle ingenti spese militari sostenute finora, i militari ucraini hanno sempre risposto che non potevano pagare un prezzo umano ancora più alto di quello che stanno già pagando. Le uniche operazioni che al momento possono dare qualche successo almeno in termini di propaganda sono le operazioni condotte con droni che ultimamente si sono concentrate sulla Crimea. Dal punto di vista militare non sembrano tali da cambiare il quadro complessivo ma potrebbero avere come effetto nel medio-lungo periodo di aprire qualche crepa nell’establishment militare e nell’opinione pubblica russa.

Se si leggono le analisi e i commenti che circolano negli Stati Uniti e in Europa sembra abbastanza evidente che ci sono poche aspettative dall’esito della controffensiva. Il settimanale britannico Economist ha dedicato diverse pagine a fare il punto della guerra intitolando l’editoriale “il tempo del ripensamento”. Questo ripensamento, risulta evidente dalla lettura del giornale, riferimento di settori dell’Occidente liberista, non implica certo ragionare sulla possibilità di mettere fine alla guerra, al contrario.

Per l’Economist “la controffensiva iniziata in giugno era basata sulla speranza che i soldati ucraini, equipaggiati con armi occidentali moderne e dopo essere stati addestrati in Germania, avrebbero catturato abbastanza territorio da mettere i suoi leader in posizione di forza ad ogni successivo negoziato”. Questo è uno dei ragionamenti con i quali una parte dell’establishment occidentale ha giustificato l’ingente impegno militare come precondizione per una trattativa tale da spostare gli equilibri che al momento sul terreno sono favorevoli alla Russia. Una tesi che per la verità Zelensky non ha mai avallato.

In ogni caso, conclude l’Economist, “il piano non sta funzionando”. Ciò nonostante non ci sono ragioni per pensare ad un cessate il fuoco o a colloqui di pace. Semmai bisogna prepararsi ad una “guerra di attrito” che durerà per molto tempo. Lo stesso Zelensky lo dichiara al settimanale britannico: “devo essere pronto per la guerra lunga” (il Presidente parla proprio in prima persona “I have”). Ma, sostiene l’editoriale, né l’Ucraina né gli occidentali sono pronti per questo mutamento di prospettiva perché sono ancora “fissati sulla controffensiva”.

Il quadro proposto è tutt’altro che ottimista: i soldati ucraini sono esausti, molti dei migliori sono stati uccisi. Nonostante il ricorso alla coscrizione l’esercito di Kiev manca delle risorse umane sufficienti per sostenere una controffensiva permanente e di larga scala. E quindi l’Ucraina deve attrezzarsi per una guerra che duri molti anni.

Per attrezzare il paese a questa guerra lunga diventa importante intervenire sull’economia che è crollata di un terzo. Metà del bilancio statale è pagato con soldi occidentali. Con diversi milioni di ucraini che se ne sono andati all’estero (molti in Russia) e 1 milione sotto le armi, scarseggia la forza lavoro. La soluzione dovrebbe essere l’arrivo di investimenti dall’estero che sembrano però piuttosto improbabili nel contesto di una “guerra lunga”. Il governo ucraino oltre ad eliminare la corruzione dovrebbe rendere più semplice fare affari nel paese. Da questo punto di vista il governo di Kiev ha già fatto molto riducendo drasticamente i diritti dei lavoratori e mettendosi a disposizioni delle grandi centrali finanziarie statunitensi ed europee (come Blackrock).

L’Economist ritiene anche che si dovrebbe garantire una roadmap per l’entrata dell’Ucraina in Unione Europea (provenendo da un paese che dall’UE è uscito questo genere di consigli sembrano piuttosto bizzarri) ma soprattutto deve mettere nel conto un costo maggiore dell’attuale per il sostegno alla guerra. Gli europei hanno fornito tante armi quanto gli Stati Uniti e un maggiore sostegno finanziario, ma questo probabilmente non basterà. Nel caso di vittoria di Trump nel 2024 l’assistenza militare Usa potrebbe venire drasticamente ridotta. Anche nel caso di una sua sconfitta probabilmente da oltre Atlantico verrà un minore interesse al prolungamento della guerra.

Che cosa pensano gli ucraini di tutto questo? A fronte della domanda se gli eventi conducano verso una direzione giusta o sbagliata, i primi stanno calando in misura significativa scendendo sotto il 50% mentre quelli che vedono le cose andare male sono ora più del 30% e la loro percentuale è in ascesa. In ogni caso, dato che non si terranno elezioni fin che dura la guerra, questo cambiamento di umore non dovrebbe preoccupare Zelensky.

Per il governo ucraino l’evoluzione della politica statunitense sarà evidentemente decisivo. Finora sono arrivati 113 miliardi di dollari. L’Amministrazione Biden ne ha chiesti altri 24 che, con l’attuale tempistica serviranno forse per tre mesi. L’opposizione tra Camera dei Rappresentanti e Senato USA non ha finora modificato le scelte politiche del Presidente, ma questa situazione potrebbe modificarsi nei prossimi mesi. L’ingresso nell’anno elettorale impone ai candidati, che saranno come sembra ormai probabile Biden e Trump come quattro anni fa, di tenere conto degli orientamenti dell’opinione pubblica. Gli ultimi sondaggi dicono che per il 51% degli americani gli Stati Uniti “hanno già fatto abbastanza” e per il 55% che “non dovrebbero essere autorizzati fondi aggiuntivi”.

Per ora, secondo Mark Cancian, analista del CSIS, un blocco totale o una riduzione degli aiuti Usa sembra poco probabile, ma il conflitto politico intorno alla politica statunitense in Ucraina è destinato a crescere. I progressisti vogliono incrementare l’aiuto umanitario a discapito di quello militare, mentre la destra populista spinge sempre per ridurre la spesa federale e per evitare coinvolgimenti in conflitti all’estero ritenuti non essenziali all’interesse americano. Una parte di questi ritengono anche che Putin sia un alleato nella “culture wars” in cui l’estrema destra si è sempre più impegnata negli ultimi anni.

La principale preoccupazione, scrive Mark Cancian, è quella di una guerra eterna (“forever war”), un conflitto che prosegue indefinitamente con un grande costo umano ed economico ma senza che si profili possibile esito. Come si vede ciò che per l’Economist è il nuovo “piano” da perseguire, oltre Atlantico viene visto come una prospettiva che farebbe crescere l’opposizione alla guerra.

Di altro parere Nataliya Bugayova che scrive sul neoconservatore “Institute for the study of wars”. Per questa autrice la controffensiva ucraina non sta andando così male come si dice. La conduzione della guerra ha consentito “ripetuti successi”. La controffensiva può proseguire anche in autunno e inverno malgrado le piogge e il fango in modo da poter riprendere più vigorosamente nella primavera dell’anno prossimo. La convinzione della Bugayova è che “l’Ucraina può vincere questa guerra” e la Russia può essere solo battuta sul campo di battaglia. E’ questa evidentemente la linea più oltranzista che al momento non sembra tanto condivisa fra gli esperti militari ma è condivisa dalle tendenze russofobe che hanno negli Stati Uniti una lunga tradizione. Ricorda molto i commenti di esperti militari in occasione della guerra del Vietnam o di quella in Iraq (la tanto vantata “surge” che i neocon dell’Institute for the study of wars, hanno continuato a sostenere anche quando era chiaro il suo fallimento).

In questo quadro, che vede un articolarsi delle posizioni occidentali e l’emergere di posizioni più critiche sull’esito e la durata del conflitto, le ultime settimane hanno evidenziato altri problemi per il regime di Kiev. All’ONU la linea oltranzista di Zelensky che colloca la guerra all’interno di un conflitto epocale tra bene e male, e in uno scontro secolare con la Russia, deve fare i conti con l’interesse del “sud globale” ad evitare una nuova guerra fredda nel quale doversi schierare e subordinare agli Stati Uniti o alla Cina (che pure finora ha cercato di respingere la tentazione di proporsi come guida di un campo contrapposto a quello occidentale).

Lo scontro con la Polonia che ha annunciato che darà all’Ucraina solo armi vecchie e non quelle nuove, dimostra che l’appoggio di forze politiche scioviniste e anti-russe non è affatto scontato e che la natura stessa del nazionalismo etnico è di contrapporre i propri interessi a quelli altrui.

La performance al parlamento canadese che doveva costituire uno dei punti di forza propagandistici per confermare il sostegno a Kiev è finita con un clamoroso autogoal. L’invito e la standing ovation per un combattente ucraino durante la seconda guerra mondiale nelle file delle Waffen-SS (“il periodo più bello della sua vita” ha dichiarato) ha portato alle dimissioni del presidente liberale del Parlamento. Le proteste delle organizzazioni ebraiche che hanno ricordato come quei combattenti abbiano attivamente partecipato alla Shoa (e anche alla pulizia etnica contro i polacchi e contro gli ucraini antifascisti) lo hanno costretto all’autocritica. Sembra piuttosto incredibile che al di là della specifica biografia dell’ex soldato nazista, si potesse pensare che qualcuno che durante la seconda guerra mondiale ha combattuto contro i “russi” (in realtà contro l’Unione Sovietica con cui il Canada era alleato) potesse farlo senza schierarsi dalla parte del nazifascismo.

Se in Canada i vari esponenti politici hanno cercato di giustificare con un “non sapevo” i loro applausi, Zelensky si è ben guardato dal fare lo stesso. Chi ha combattuto nella guerra eterna contro i “russi”, nazista o meno, è sempre benvenuto.

Franco Ferrari

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