È accaduto in Slovenia.
Lo spoglio delle schede scrutinate del referendum organizzato da Levica e dalle opposizioni di sinistra contro il tentativo avanzato da Janez Jansa di modificare l’attuale normativa in difesa dell’acqua pubblica e degli ecosistemi in cui essa ha origine si è concluso martedì 13 luglio alle 13.31. Col 99,97% di schede valide. Hanno votato contro la legge proposta dal governo di centrodestra, 667.119 cittadini (86,6%), favorevoli 104.000 (13,4%): per la legge che regola il referendum bastava un quorum di 350mila votanti, sono andati alle urne quasi 800mila. Il referendum, fortemente voluto da Levica e dai comitati ed associazione ambientaliste, ha così inflitto un duro smacco al governo di centrodestra.
Nella Costituzione della Repubblica Slovena l’art. 70 stabilisce che l’acqua pubblica è un diritto fondamentale per tutti i cittadini e che l’acqua potabile va garantita ed erogata al di fuori delle logiche di mercato… Ed anche il divieto di costruire, cementificare, modificare gli ecosistemi ed i terreni intorno ai laghi, ai fiumi ed alle sorgenti della Slovenia.
I gruppi della società civile, le opposizioni di sinistra si sono così mobilitate per difendere il risultato acquisito nel novembre 2016, allorquando il parlamento sloveno aveva approvato con 64 voti a favore e nessun contrario un emendamento della costituzione che riconosceva l’acqua pubblica come diritto fondamentale per tutti i cittadini. Lubiana non solo si è scampati a questo pericolo, ma si è inflitta una cocente debacle ale smanie i grandezza del presidente del consiglio Janez Jansa, una lunga traiettoria da sinistra a destra, dal PDS fino, in tempi più recenti all’amicizia con Orban ed agli altri sponenti della destra europa.
Ma è da dire che la Slovenia, ancora ai tempi dell’ex Jugoslavia era stata all’avanguardia del movimento ambientalista del paese, e che la protezione dell’ecologia alpina venisse riconosciuta come una priorità del paese, ha motivazioni antiche e radicate nella storia stessa della piccola repubblica alpina.
Nel centro di Lubiana campeggia una fontana barocca con obelisco, ai cui piedi sono collocate tre statue che rappresentano i fiumi Sava, Ljublanica e Krka (la statua è opera di Francesco Robba, scultore veneto che si ispirò verosimilmente a quella più famosa dei Quattro Fiumi a Roma) e ciò a ricordare come la prima ricchezza della Slovenia siano le sue acque. L’errore di Jansa è stato quello di aver pensato che si potesse cancellare col passato politico della ex Jugoslavia, la stessa storia dei suoi paesi, delle loro tradizioni, della memoria collettiva che le persone, invece, hanno saputo custodire, preservare, riattualizzare con battaglie esemplari.
Molte, a suo tempo furono le dimostrazioni contro la centrale nucleare di Krsko, a 125 km in linea d’aria da Trieste, che oggi proprio Jansa vorrebbe mantenere in funzione (è attiva dal 1981) e raddoppiare.
Ecco, per capire l’esito di questo referendum, va detto che non solo i cittadini hanno saputo comprendere la gravità del percolo e le finalità che la manomissione legislativa di Jansa e del suo governo si proponeva, ma che quella comprensione derivava da una conoscenza storica mai rimossa e da una consapevolezza diffusa, di rispetto e dedizione alla peculiarità ed alle bellezze che il paese custodisce, quei fiumi, quei laghi, le foreste di pini che il popolo ha sempre sentito come sue, una collettività che custodiva curava, migliorava l’ambiente su cui viveva e lavorava.
Lubiana, la capitale, fu costruita dalle popolazioni slave che qui si insediarono nel VI sec.d.C. sulle rive del fiume affluente della Sava e che conservava un antico nome della passata dominazione romana, il Laibacensis Flumen, oggi Ljublanica.
E poi i sette laghi alpini del monte Tricorno/Triglav (le cui vette campeggiano nella bandiera nazionale), ed il lago di Bohinj ampio, 3,3 km2 situato a sud di quel monte che forma uno dei due rami sorgentiferi della Sava, e l’ancor più pittoresco lago di Bled, situato ad ovest della confluenza della Bohinjka Sava con la Dolinska Sava le cui acque si uniscono presso le cittadine di Lesce e Radovlijca. La Slovenia infine non è solo terra di laghi e montagne, ma anche di risorse naturali, economiche e culturali che si sviluppano in simbiosi con l’ambiente: il popolo sloveno ha compreso il disegno di Jansa, ha votato ed ha scelto per il futuro.
Diremo anche come la Slovenia sia stato infine il primo paese dell’Unione europea a difendere l’acqua pubblica nella propria costituzione. L’articolo 70 della Carta fondamentale slovena recita: “Le risorse di acqua rappresentano un bene pubblico che è gestito dallo Stato. Le risorse di acqua sono usate in primo luogo e in modo sostenibile per fornire ai cittadini acqua potabile e, in questo senso, non sono un bene di mercato”1.
Il Movimento per l’acqua Pubblica (za Pitno Voda) che era riuscito a raccogliere oltre 50mila firme per indire il referendum, avendo avuto modo di sviluppare una intensa campagna di controinformazione per svelare l’inganno che il governo di destra voleva compiere con la manomissione legislativa ha così smascherato e sconfitto quel piano. Le modifiche di legge previste da Jansa e dal suo entourage non si limitavano infatti solo ad allentare strette e controlli sulle regole che definivano e limitavano le regole sulla costruzione nelle aree costiere e lacustri. Gettava anche le basi per uno “sviluppo” deregolamentato a tutto vantaggio di palazzinari, speculatori, affaristi.
Ed il giustificato timore, percepito dalla stragrande maggioranza degli elettori, che in tal modo si sarebbero costruite strutture che avrebbero limitato l’accesso dei cittadini a laghi, fiumi e mare,come alberghi, parcheggi, ristoranti e negozi, impianti a pagamento, etc aumentando il rischio di inquinamento delle acque e minacciando oltre ala qualità dell’acqua potabile, anche la qualità della vita, per la stragrande maggioranza di loro,si è così concretizzato con una valanga di no.
L’accesso all’acqua quindi dovrà continuare ad essere garantito al di fuori delle logiche di mercato e della privatizzazione e giammai l’acqua potrà essere considerata una merce, l’unico gestore continuerà ad essere lo Stato.
Il movimento ecologista, che aveva copiato molto a suo tempo dai verdi tedeschi, ha sviluppato una tendenza alternativa, di opposizione e di ancoramento ai valori, tradizionali e moderni di salvaguardia del territorio, della cultura multietnica del paese, e soprattutto della solidarietà, in netto contrasto con la follia nazionalista che nel 1991 aveva dichiarato la secessione dalla Jugoslavia.
I giovani di Levica non erano ancora nati, quindi nessuna accusa possibile di jugonostalgia, ma certo è che i loro padri, le loro madri, molti cittadini sloveni si trovarono ad essere apolidi da un giorno all’altro, e vennero banditi – come stranieri in patria – dalla “democratica” Slovenia di Milan Kucan che voleva “entrare in Europa”. Un ex comunista… come Jansa. Ora, dopo questa vittoria si torna a guardare al futuro. Certo Jansa non darà le dimissioni, ma la sua già ridotta credibilità non potrà che giovare al rafforzamento delle ragioni di chi chiede che un’altra Slovenia sia possibile.
Post Scriptum.
C’era preoccupazione per un possibile esito negativo della consultazione,un precedente referendum, tenutosi il 2017 e relativo alla costruzione della linea ferroviaria Divača-Koper/Capodistria, contro il raddoppio della linea ferroviaria, erano andato pressochè deserto, vi avevano partecipato meno del 20% dei cittadini.
Va detto però quell’opera infrastrutturale aveva le sue buone ragioni per essere attuata, in un momento in cui il rilancio del Porto di Trieste, del suo ruolo internazionale, indirettamente trainava anche lo sviluppo contermine dei porti di Monfalcone e Capodistria/Koper e dunque di una più vasta area geopolitica, quindi comprensibile il dissenso e il diniego popolare, che dalla realizzazione di quell’infrastuttura potrà trarne vantaggio.
- Il Parlamento della Repubblica di Slovenia con legge costituzionale 17 novembre 2016, n. 001-02/15-4/17 (UZ70a) ha introdotto nella Costituzione l’art. 70.a rubricato “Diritto all’acqua potabile”. Il processo di produzione della norma costituzionale è stata innescata dall’iniziativa popolare di raccolta di firme con il motto “Insapore, incolore e senza proprietari: l’acqua è libertà”. L’iniziativa è stata altresì supportata da un numero considerevole di enti locali.[↩]