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La sinistra spagnola alla difficile prova elettorale

di Franco
Ferrari

Quasi in extremis, la sinistra radicale spagnola è riuscita a raggiungere un accordo per presentarsi unita alle elezioni del 23 luglio. Una scadenza importante non solo per gli equilibri politici di Madrid ma per l’intera Unione Europea.
La confluenza in quello che mantiene le caratteristiche di un movimento politico-elettorale piuttosto fluido nella struttura organizzativa, come è Sumar, ha consentito di riunire sotto il “grande tendone” una dozzina di formazioni politiche nazionali e locali. Se era sostanzialmente acquisita l’adesione di Izquierda Unida, di Mas Pais (scissione di Podemos) e di alcuni gruppi verdi minori, lo scoglio principale era quello di Podemos.
Alla fine l’intesa con la formazione “morada” guidata da Ione Belarra è stata raggiunta ma non senza lasciare strascichi legati all’esclusione dalle liste della Ministra dell’uguaglianza Irene Montero. La leadership di Sumar ha negato, seppur con un certo ritardo e in modo abbastanza flebile, di aver posto il veto a Montero. Resta il fatto che alla fine l’accordo si è chiuso tra il movimento di Yolanda Diaz e Podemos senza il recupero del nome dell’ancora Ministra (oltre che compagna di Pablo Iglesias).
Le ragioni di questa conclusione, che diversi militanti hanno criticato aspramente sulle reti sociali, sembra legata alle complicazioni sorte a seguito della legge “solo sì es sì”, finalizzata soprattutto a colpire ogni forma di violenza contro le donne. Per un cavillo legale l’introduzione delle nuove norme ha portato alla riduzione di pena per uomini già in carcere per atti di violenza sessuale e in diversi casi anche alla loro anticipata liberazione. La norma che avrebbe dovuto evitare questo effetto è stata dichiarata inapplicabile dal “Tribunal Supremo”, con una decisione che ha sollevato critiche da varie parti. In ogni caso questa vicenda ha creato reazioni negative nell’opinione pubblica.

Al di là della vicenda personale, il nuovo assetto della sinistra radicale tiene conto del quasi esaurimento dell’esperienza di Podemos che, da forza largamente predominante in una sinistra in crescita è diventata uno dei soci minori di una realtà che oggi deve difendere le posizioni conquistate dopo la grande recessione e il movimento 15M.
Ed anche del passaggio da un’unica formazione politica nazionale (Izquierda Unida) che era riuscita a partire dalla seconda metà degli anni ’80 a costruire uno spazio di convergenza, promosso dal Partito Comunista ma aperto a forze diverse, a una serie di formazioni spesso di dimensione e radicamento locale presenti in regioni diverse da quelle con una tradizionale presenza di nazionalismo di sinistra (Euzkadi, Catalogna, Galicia).
Questa frammentazione ha, come forse inevitabile contropartita, con tutti i rischi che ne conseguono, un’accentuazione della personalizzazione della leadership. Il movimento Sumar si è fortemente identificato con la Ministra del Lavoro Yolanda Diaz, il cui volto sarà presente sulla scheda elettorale (come già fece all’inizio Podemos con Iglesias). D’altra parte senza una guida forte, popolare e dotata di un proprio diretto patrimonio di consenso, probabilmente sarebbe stato molto più complicato riuscire a tenere insieme i pezzi di un complicato puzzle.

Gli ultimi sondaggi danno a Sumar un consenso oscillante tra il 13 e il 15%, non lontano da quello raggiunto nelle precedenti elezioni. Un dato certamente modesto se confrontato col momento della grande ascesa della formazione populista di Pablo Iglesias, ma di gran lunga più favorevole di quello che vedeva Izquierda Unida ridotta a conservare un solo parlamentare.
La sinistra radicale spagnola resta quindi un soggetto politico senza il quale non è possibile costruire un governo alternativo alla coalizione che vede la destra tradizionale del Partito Popolare unita all’ultradestra reazionaria e revanscista di Vox. I dati indicano che i rapporti di forza sono al momento sul filo del rasoio. Per formare una maggioranza nelle Cortes sono necessari 176 seggi e gli ultimi sondaggi danno al fronte della destra tra i 177 e i 181, ai quali si potrebbe aggiungere qualche formazione locale moderata.

In questi giorni, in vista delle elezioni di sindaci e presidenti di regione, sulla base dei nuovi rapporti di forza emersi dal voto amministrativo del 28 maggio, Popolari e Vox stanno stringendo accordi in quasi tutta la Spagna. Se mai è potuto esistere un qualche “cordone sanitario” nei confronti dell’ultradestra di Santiago Abascal, questo è ormai da tempo caduto. Vox porterà nelle amministrazioni tutto il revanscismo machista, l’ostilità ai migranti ed anche l’ultraliberismo di cui è banditore. Lo stesso Partito Popolare, laddove mantiene la maggioranza assoluta e quindi non ha bisogno del supporto dell’ultradestra, si fa in larga parte portavoce degli stessi temi.
La mobilitazione dell’elettorato progressista riuscirà a impedire che si formi una maggioranza tra la destra e l’ultradestra in Spagna? Certamente la regressione politica, sociale e culturale sarebbe importante e rafforzerebbe la destra in tutta Europa oltre a favorire la crescente saldatura tra conservatori e partiti neo-autoritari e revanscisti.
Persino un partito della sinistra ultraradicale come la CUP catalana ha deciso nel comune di Ripoll, un piccolo centro della provincia di Gerona, di tentare la costruzione di un fronte che coinvolge socialisti ed Esquerra Republicana e che potrebbe includere anche i centristi di Junts, per impedire che l’amministrazione locale cada nelle mani dei neofranchisti di Adelante Catalunya.
Difficilmente Pedro Sanchez che, pur inizialmente di malavoglia, ha deciso di puntare sull’alleanza con la sinistra, potrebbe sopravvivere alla perdita del governo. L’unico barone socialista che è riuscito a difendere la sua posizione in Castilla-La Mancia gli è ostile. Anche se un cambio di strategia non sarà semplice perché il Psoe ha perso la possibilità di optare per un “secondo forno” quello di Ciudadanos, ormai completamente scomparso e i cui elettori si sono riversati su PP e Vox.

Quali sono le ragioni della forza della destra che non sembra intaccata dall’iniziativa di un governo che pure sui temi economico-sociali ha compiuto alcuni passi nella direzione giusta e in un contesto nel quale la situazione economica è moderatamente positiva?
Per la Spagna, come per altri Paesi (Italia incusa), non si è fornita ancora una risposta soddisfacente. Non sempre le motivazioni riguardano la condizione economica, quanto la capacità della destra (grazie anche al rilevante potere mediatico di cui dispone) di imporre in agenda temi che suscitano reazioni emotive anche se razionalmente non hanno alcuna influenza sulle condizioni di vita delle persone. Particolarmente abile in questo senso si è dimostrata la leader popolare madrilena Isabel Ayuso.
Il quotidiano parigino Le Monde dedicava nei giorni scorsi un’inchiesta della sua corrispondente spagnola al caso di Toledo. Una città castigliana governata dai socialisti dal 2007 e finita a destra nel maggio scorso. Fra le varie motivazioni esposte da alcuni elettori socialisti che hanno votato a destra vi è quella del sostegno al governo nazionale della sinistra basca di Bildu, ancora identificata con l’ETA e quindi con il terrorismo. La presenza nelle liste di questo partito (che ha avuto per altro un ottimo risultato in Navarra) di alcuni ex condannati per le azioni dell’ETA e ora usciti dal carcere, è stata fortemente amplificata nei media di destra e ha certamente inciso sul voto. Il dibattito, ha dichiarato Txema Fernandez della lista di IU-Podemos di Toledo: “è stato monopolizzato dalla questione degli ex militanti dell’ETA sulle liste di Bildu. Noi non abbiamo saputo spiegare la legge sulle abitazioni, che è stata percepita come favorevole agli squatters mentre fissa soprattutto un tetto al costo degli affitti. O la legge del consenso sessuale, che ha provocato la liberazione anticipata degli aggressori. E la gente ha dimenticato tutti i miglioramenti sociali: l’aumento dell’8% delle pensioni, quello del salario minimo, il blocco del prezzo del gas…”.

Il mese o poco più che manca alle elezioni dovrà servire per conquistare una parte di elettorato popolare e cercare di focalizzare l’agenda sui temi nei quali la politica del governo uscente è più convincente e ha quanto meno abbozzato una possibile svolta rispetto ai dogmi liberisti. Come spiega Izquierda Unida l’accordo tra tutte le forze di Sumar consente ora di fronteggiare l’ondata reazionaria e garantire la riedizione del governo di coalizione. E quindi, come recita lo slogan elettorale di Yolanda Diaz: “salimos a ganar el pais”.

Franco Ferrari

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