di Roberto Musacchio
“….Si, “empatica”…con il perseguitato. Con il gitano, il nero, l’ebreo…con il morisco, il moro, che tutti abbiamo dentro. Granada odora di mistero, come una cosa che non può essere e tuttavia è. Che non esiste però influisce o che influisce precisamente perché non esiste, che prende il corpo e conserva e aumenta il suo aroma. Che si vede assediata e cerca di…injertarse, di infiltrarsi in tutto quel che la circonda….”. Alfredo riflettè. Non parlava. Allora Enrico disse:” A me sembra una definizione esatta del comunismo”. Alfredo lo guardò, sorrise:”Io sono il morisco” disse.
Con queste parole che Alfredo ed Enrico leggono da un libro di interviste di Garcia Lorca prima di separarsi l’uno per tornare a Roma l’altro per cominciare una nuova vita a Milano, si sta per concludere “la rivoluzione dei piccoli pianeti”, il romanzo, anzi un romanzo nel 68, così lo sottotitola Pierluigi Sullo che lo ha scritto (edizioni lastaria, 15 euro).
Non una celebrazione, né una nostalgia. Una storia che ti fa vivere 12 mesi, a cavallo tra la metà del 67 e quella del 68, come se ciò che viene narrato stesse accadendo ora. Ma lasciandoti allo stesso modo nel tempo dove oggi siamo.
Due “presenti”. Perché il 68 è quel presente che sempre prepara il futuro. E non a caso comincia prima di cominciare, nel 67, e finisce prima di finire.
Alfredo ed Enrico, due dei “dreamers” di una storia che ci mostra un gruppo di sognatori e di ciascuno e ciascuna sa descriverci sogni ma anche incubi, si salutano tornando da Parigi dove il maggio è stato già cancellato dal finire dell’estate ma dove niente sarà più come prima. E prima hanno lavorato in una fabbrica in Germania per “emanciparsi” dalla licenza liceale appena presa. E hanno incontrato una giovane musicista fuggita dai carri armati che spezzavano il sogno di Praga. E si salutano leggendo Lorca perché la guerra civile spagnola fa parte di quella storia, per Enrico anche personale, che prepara questa volta non una guerra ma una rivoluzione. Di piccoli pianeti perché il 68 la rivoluzione non la fece ma far girare il Mondo si che lo fece. Dreamers, il film di Bertolucci, l’ho pensato leggendo queste pagine. Perché anche Sullo ci regala bellezza, desiderio, rivoluzione sessuale dei suoi piccoli pianeti. Il trio dei tre bellissimi ragazzi che Bertolucci mette in scena sta chiuso in una stanza con il fratello e la sorella francesi che si aprono all’amore di un viaggiatore americano. Bertolucci rende l’incanto del desiderio e della bellezza che fanno la rivoluzione. Padre e madre, “bobo”, borghesia bohemien, non osano neanche entrare in quello spazio che si compiacciono di lasciare libero. Ma quando appare la piazza, e la violenza, i dreamers si separano.
I dreamers di Sullo anche hanno le loro bolle di desiderio, sesso e bellezza. Ma la Storia, padri e madri, scuole, strade e piazze, popolano i loro sogni e i loro incubi. Perché le colpe dei padri purtroppo possono ricadere sui figli. Perché l’orrore della guerra è vicino. Perché se scrivi oggi sai che il 68 è per sempre ma non è sempre il 68.
Una storia di amicizie tra uomini ma in cui le donne non sono “angeli del ciclostile”. Una storia in cui tutto, canzoni, vestiti, fatti e luoghi è vero, come lo vivessi o come lo hai vissuto. Una storia che per qualcuno finisce lì perché forse sapeva che la storia sarebbe finita. O forse no. Perché un libro bello ci dice che la storia continua.