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La Nuova Caledonia è arrivata sull’orlo della “guerra civile” grazie a colonialismo francese, nichel e armi

di Alessandro
Scassellati

Violente proteste sono scoppiate nell’arcipelago francese del Pacifico meridionale (composto di circa 500 isole) mentre tensioni emerse negli ultimi decenni sono giunte al culmine. La Nuova Caledonia è un territorio francese d’oltremare, di fatto una colonia, a quasi 17 mila km da Parigi. Se in passato il Pacifico meridionale era un’area relativamente tranquilla, oggi è al centro della grande rivalità tra la Repubblica Popolare Cinese e gli Stati Uniti. Macron ha cercato di riaffermare l’importanza della Francia nella regione del Pacifico, dove la Francia ha un’impronta strategica attraverso il controllo di territori che includono la Nuova Caledonia, la Polinesia francese, Wallis-et-Futuma, la Réunion e Mayotte. È l’unico paese dell’UE ad avere territori nell’Indo-Pacifico dove vivono oltre 1,6 milioni di cittadini francesi e 7.000 soldati. Situata tra l’Australia e le Fiji, la Nuova Caledonia è uno dei numerosi territori coloniali francesi che si estendono dai Caraibi, all’Oceano Indiano e al Pacifico che rimangono parte della Francia postcoloniale. È uno dei cinque territori insulari francesi nell’Indo-Pacifico, un “filo di perle” che rafforza la pretesa di Parigi di avere la seconda zona economica esclusiva più grande del mondo, in gran parte grazie al suo controllo marittimo delle acque intorno a quelle isole. Così, la Nuova Caledonia sostiene il ruolo della Francia come grande potenza nel mondo, ma sono gli indigeni Kanak a pagarne il prezzo.

Nelle ultime due settimane, la Nuova Caledonia, ricca di nichel, altre risorse naturali e con una popolazione di 270 mila abitanti, che nelle intenzioni di Parigi avrebbe dovuto essere l’Eldorado francese, ancora una volta è stata investita da violente proteste, che hanno portato alla morte di sette persone e a oltre 300 feriti intorno alla capitale caledoniana di Nouméa. Il governo francese è entrato in uno stato di massima allerta e il presidente Macron ha annullato diversi eventi ufficiali per tenere riunioni di emergenza. Ha prima dichiarato lo stato di emergenza (per almeno 12 giorni) conferendo al potere esecutivo maggiori poteri per tenere la situazione sotto controllo. Poi, il 23 maggio è volato a Nouméa, dove ha passato 18 ore e ha promesso di non forzare un cambiamento di voto nel territorio, insistendo però sul fatto che “il ritorno dell’ordine repubblicano è la priorità”. I manifestanti hanno detto che un ritardo non è sufficiente e che la riforma dovrà essere ritirata.

La tensione è rimasta alta per diversi giorni nella capitale Nouméa, dove sono stati chiusi gli aeroporti ed è stato imposto il coprifuoco nel tentativo fallito di prevenire disordini. Louis Le Franc, rappresentante della Francia nel territorio, ha definito un “miracolo” il numero limitato di vittime. I media locali hanno riferito di episodi di saccheggi, incendi dolosi e uso di armi da fuoco. In un’intervista radiofonica, il ministro francese degli Interni e dei Territori d’Oltremare1 Gérald Darmanin ha detto che “circa 100” agenti della sicurezza sono rimasti feriti e che era stato imposto il coprifuoco. Ha inviato quattro squadroni della gendarmeria dalla Francia (almeno 2 mila poliziotti), mentre dalla Polinesia francese sono stati fatti arrivare altri due squadroni. Giovani manifestanti hanno dato fuoco a fabbriche, concessionarie di automobili, attività commerciali, mediateche, banchine, farmacie, abitazioni. I vigili del fuoco hanno ricevuto almeno 1.500 chiamate e sono intervenuti in circa 200 incendi. Le aziende sono state saccheggiate. Secondo il pubblico ministero Yves Dupas, in poco più di una settimana quasi 400 edifici pubblici, aziende, negozi e abitazioni sono stati distrutti dagli incendi appiccati dai rivoltosi. Oltre 130 persone sono state arrestate. “La situazione resta molto tesa“, ha avvertito dopo alcuni giorni il primo ministro francese Gabriel Attal al termine di una nuova riunione d’emergenza, dopo che il rappresentante locale dello Stato francese aveva affermato che una “guerra civile” era imminente. Almeno 10 membri della Cellula di coordinamento delle azioni sul campo (CCAT), un gruppo indipendentista creato lo scorso novembre (un’emanazione dell’Union Calédonienne, la frangia radicale del partito indipendentista FLNKS) che ha dato impulso al movimento di protesta, sono stati messi agli arresti domiciliari. Nell’ambito dello stato di emergenza, la Francia ha vietato TikTok in Nuova Caledonia nel tentativo evidente di interrompere l’organizzazione delle proteste. La decisione ha consentito inoltre alle autorità di ordinare gli arresti domiciliari per le persone ritenute una minaccia per l’ordine pubblico, nonché di effettuare perquisizioni, sequestrare armi e sospendere il diritto alla libera riunione.

Le violente proteste sono iniziate nella notte tra il 13 e il 14 maggio contro un disegno di legge di riforma elettorale approvato dall’Assemblea nazionale (con 351 voti favorevoli e 153 contrari) il giorno precedente che permetterebbe a tutti i cittadini (anche a quelli non indigeni, ossia francesi) che risiedono sull’isola da più di 10 anni di votare alle elezioni del congresso della Nuova Caledonia, l’organo legislativo locale, una mossa che secondo i movimenti indipendentisti indebolirebbe la rappresentanza della popolazione indigena del territorio, i Kanak (l’allargamento dell’elettorato sarebbe pari ad un quinto). Il cambiamento richiederebbe una modifica costituzionale e quindi dovrà essere confermato dai parlamentari del Senato e dell’Assemblea nazionale in una sessione di votazione congiunta.

 

La lunga storia coloniale e la lotta per l’indipendenza dalla Francia

La Nuova Caledonia fu colonizzata circa 3.000 anni fa dalle popolazioni melanesiane e chiamata così dall’esploratore britannico James Cook nel 1774. Nel 1820, mercanti britannici iniziarono a costruire “comptoirs”, strutture strategicamente posizionate per promuovere il commercio internazionale. Vent’anni dopo, i missionari arrivarono con l’idea di cambiare il modo di vivere delle persone ora conosciute come Kanak, trasformando le loro convinzioni e convertendole al cristianesimo. Tuttavia, le cose non andarono sempre come previsto e nel 1847 i Kanak attaccarono una delle missioni, decapitando fratel Blaise Marmoiton. I Kanak potevano essere colonizzati, ma non si sarebbero lasciati colonizzare.

La Nuova Caledonia fu conquistata dalla Francia nel 1853. I francesi istituirono una “bagne”, un campo di lavoro per detenuti che lavoravano in condizioni spaventose. Circa 20 mila detenuti vennero trasferiti tra il 1864 e il 1897, la maggior parte dei quali furono impiegati per estrarre nichel (a partire dal 1864) e rame dal 1875 in poi. I detenuti venivano incoraggiati a restare dopo aver scontato la pena, al fine di promuovere la colonizzazione2. A poco a poco, i coloni francesi monopolizzarono le terre coltivabili, destabilizzando l’economia alimentare melanesiana e lasciando ai nativi terre di qualità inferiore. Nel giugno 1878, in seguito all’assassinio di una famiglia di coloni, le relazioni conflittuali subirono un’accelerazione: l’amministrazione coloniale rinchiuse dieci capi tribù Kanak e i melanesiani lanciarono attacchi su larga scala, uccidendo circa 200 gendarmi e coloni. L’insurrezione fu repressa dalla Francia in modo estremamente sanguinoso: il capo Ataï fu decapitato e la sua testa, messa in formaldeide, fu inviata come trofeo a Parigi3. Altri capi Kanak furono giustiziati senza processo e quasi il 5% dei melanesiani furono uccisi (circa 2.000 persone).

Durante il periodo coloniale, nel XIX secolo, i Kanak furono ridotti in schiavitù, per svolgere lavori forzati in luoghi come Australia, California, Canada, Cile e Fiji (con la tratta inter-asiatica degli schiavi verso India, Giappone, Sud Africa e ciò che è ora Malesia). Molti Kanak furono sradicati dalla loro terra per essere impiegati come lavoratori forzati nelle piantagioni, nei ranch e nei lavori pubblici francesi.

Durante la Prima Guerra Mondiale i soldati Kanak si ritrovarono a combattere una guerra che non li riguardava affatto. Oltre a ciò, i colonialisti francesi si impossessarono di ancora più terra per soddisfare il crescente bisogno di rifornimenti (i Kanak furono costretti a trasferirsi nelle zone di riserva dell’isola, più vicine alle montagne, occupando solo il 10% della superficie dei loro territori ancestrali, mentre la loro popolazione era diminuita drasticamente a causa delle malattie e delle loro condizioni di vita che erano diventate molto dure). Nel 1917 fu organizzata una guerriglia attorno alla figura di Noël, capo della tribù Tiamou. Questa è stata sconfitta dopo un anno. Anche Noël fu decapitato e una sessantina di altri ribelli furono condannati. Dopo questa nuova rivolta, i coloni francesi tentarono un nuovo approccio. L’obiettivo era quello di formare una “élite repubblicana Kanak” che potesse corrompere lo spirito di resistenza dall’interno.

Nel 1931, i Kanak furono esposti come se fossero animali all’Esposizione Coloniale di Parigi. Dopo la seconda guerra mondiale lo status della Nuova Caledonia cambiò. Ufficialmente non fu più considerata una colonia e ai Kanak fu concessa la nazionalità francese. La popolazione indigena ottenne il diritto di voto nel 1957. La Nuova Caledonia divenne il terzo produttore mondiale di nichel e le autorità francesi incoraggiarono l’insediamento di cittadini francesi nel territorio. Questo afflusso di coloni ha aumentato la popolazione del 20% nella prima metà degli anni ’70. Allo stesso tempo, si stavano sviluppando idee indipendentiste, aprendo la strada a una nuova era di rivolte anticoloniali negli anni ’80: quelle che la Francia arrivò a chiamare “les évènements”.

Negli anni ’60 le rivendicazioni nazionaliste Kanak divennero più formalizzate. Gli studenti di sinistra che avevano preso parte al maggio ‘68 tornarono in Nuova Caledonia. L’attivista di estrema sinistra Nidoïsh Naisseline fondò i “Foulards Rouges” (Sciarpe rosse), mentre nel 1971 altri attivisti indipendentisti formarono il “Groupe 1878” (un riferimento alla rivolta di quell’anno). Chiesero la restituzione delle terre e vollero preservare la loro identità. Si fusero per creare il Partito di Liberazione Kanak nel 1975. Ne seguirono altri, come il Parti indépendantiste nel 1979.

Pierre Declercq, insegnante e sostenitore dell’indipendenza, fu assassinato nella sua casa nel settembre 1981. I suoi assassini non furono mai individuati. Sono scoppiate manifestazioni e sono stati istituiti posti di blocco. La situazione continuò a peggiorare nel luglio 1983, quando dei gendarmi furono uccisi.

Nel 1989 era previsto un referendum sull’autodeterminazione, ma il movimento indipendentista voleva che l’elettorato fosse limitato in modo che a votare fossero le popolazioni indigene e non i coloni. Questa richiesta è stata inizialmente respinta. Nel 1984, gli attivisti indipendentisti Kanak si recarono nella Libia di Gheddafi per un addestramento militare. Il Fronte Indipendente divenne il Fronte de libération nationale kanak et socialist (FLNKS), e quest’ultimo chiese il boicottaggio delle elezioni territoriali del 1984 a causa della regola elettorale, che consideravano illegittima. Uno dei leader indipendentisti, Eloi Machoro, ha rotto un’urna elettorale per simboleggiare il boicottaggio. Fu l’inizio di una quasi-insurrezione. Nel novembre 1984 furono istituiti posti di blocco, il sottoprefetto fu sequestrato, la stazione di polizia occupata nel comune di Thio e cinque elicotteri del GIGN (corpo scelto di intervento rapido) furono disarmati. A dicembre le case europee furono saccheggiate e date alle fiamme. Ci sono stati omicidi e rapimenti, che provocarono decine di morti. Il governo socialista francese di Laurent Fabius inviò l’esercito e la gendarmeria, vietò tutte le manifestazioni e pose le tribù sotto stretta sorveglianza. Dopo un breve periodo di calma, le tensioni tra i coloni e i combattenti per l’indipendenza divamparono nuovamente. Nel gennaio 1985, il GIGN giustiziò Eloi Machoro e furono introdotti lo stato di emergenza e il coprifuoco.

Per calmare gli animi, il governo di Fabius ha concesso alla Nuova Caledonia una maggiore autonomia e ha introdotto una serie di riforme democratiche. Ciò però non durò a lungo, poiché l’anno successivo la destra tornò al potere con il governo di coabitazione guidato da Jacques Chirac. Venne votato lo statuto “Pons I”, pensato per contrastare le ambizioni indipendentiste, ridurre i poteri concessi ai “consigli regionali” e organizzare un referendum sull’autodeterminazione. Ancora una volta il FLNKS decise di non partecipare al referendum se i coloni avrebbero potuto votare allo stesso modo dei Kanak. Una posizione sostenuta dal Movimento dei Non Allineati. L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite aveva approvato una risoluzione che affermava “il diritto inalienabile del popolo della Nuova Caledonia all’autodeterminazione e all’indipendenza”, inserendo la Nuova Caledonia nella lista dei territori non autonomi delle Nazioni Unite, cioè dei territori non decolonizzati “le cui popolazioni non hanno ancora pieno autogoverno”.

Il referendum fu boicottato dal movimento indipendentista e nel settembre 1987 questa “autodeterminazione” fu, come era prevedibile, respinta. Si sono inoltre impegnati a boicottare le elezioni presidenziali e regionali. In ottobre, gli autori di un’imboscata in cui furono uccisi dieci leader indipendentisti nel 1984 furono tutti assolti da una giuria tutta europea, scatenando l’ira dei Kanak. Due giorni prima delle elezioni presidenziali del 1988, i militanti dell’FLNKS lanciarono una nuova offensiva: la crisi degli ostaggi di Ouvéa. Una sessantina di indipendentisti hanno attaccato una stazione di polizia a Ouvéa e hanno preso in ostaggio venti gendarmi (quattro di loro sono stati uccisi durante l’attacco). La metà degli ostaggi furono rapidamente liberati, mentre gli altri furono portati in una grotta. Il governo francese dichiarò l’isola zona militare e vietò l’ingresso ai giornalisti. I soldati francesi ebbero mano libera: i bambini sono stati maltrattati e legati ai pali delle capanne davanti alle loro famiglie.

Il 5 maggio 1988 fu lanciato l’assalto da parte dei militari francesi: i Kanak lasciarono fuggire gli ostaggi senza far loro del male. La versione ufficiale era semplice: 18 rapitori furono uccisi in azione. Solo che 12 di loro sono stati trovati con proiettili in testa oltre alle altre ferite. Si è trattato insomma di esecuzioni sommarie. A giugno, su tutti i fatti di questa vicenda è stata applicata una legge di amnistia, impedendo un’indagine su ciò che è realmente accaduto. Michel Rocard ha confermato: “Alla fine dell’episodio della grotta di Ouvea, c’erano dei Kanak feriti, e due di questi feriti furono finiti con gli stivali da soldati francesi, tra cui un ufficiale (…) Era necessario assicurarsi che questo venisse alla luce, ed era quindi necessario far sì che anche questo fosse garantito dall’amnistia”.

Per riportare la calma furono firmati gli Accordi di Matignon, accettati in particolare dal FLNKS. Sono stati ratificati da un referendum sull’autodeterminazione in Nuova Caledonia, che si è concluso con un voto positivo. Prevedeva che dieci anni dopo si tenesse un referendum sull’indipendenza.

Durante questo periodo, i governi francesi incoraggiarono la costruzione di fabbriche e infrastrutture. Le disuguaglianze nell’arcipelago sono rimaste piuttosto significative. Ci sono state accuse che gli indigeni Kanak hanno dovuto affrontare una discriminazione sistemica e un sottosviluppo cronico. Nel 1998, gli Accordi di Nouméa, raggiunti tra separatisti, lealisti e governo francese, hanno rinviato di altri dieci anni il referendum sull’indipendenza inizialmente previsto per quell’anno.

Il referendum si è svolto nel novembre 2018, con il voto solo dei Kanak e dei “Caldoche” (discendenti di coloni e detenuti di lunga data). Il “no” all’indipendenza ha vinto con il 56,4%. Per legge, i Kanak potevano indire altri due referendum.

Per il 2020 era previsto un nuovo referendum sull’indipendenza, leggermente rinviato a causa della pandemia di CoVid-19. Il voto indipendentista ha guadagnato terreno ma ha perso nuovamente, con il “no” che ha vinto con il 53,2%.

Un terzo referendum si è tenuto nel 2021, ma questa volta è stato boicottato dal movimento indipendentista. Il governo francese ha rifiutato di rinviare il referendum, come richiesto, a causa della pandemia. Dato che gli indipendentisti non hanno votato, il referendum ha dato, senza sorprese, una larga vittoria al rifiuto dell’indipendenza (96%).

Ora, il governo francese sta cercando di approfittare della sconfitta del movimento indipendentista per modificare le regole costituzionali e limitare la possibilità di una futura indipendenza. Vuole aprire il diritto di voto a tutti i residenti della Nuova Caledonia che risiedono nel territorio da almeno dieci anni, il che porrebbe gradualmente i Kanak in minoranza. Dal 2007, solo coloro che si sono stabiliti nell’arcipelago e hanno potuto votare nel 1998 – quando il governo francese firmò l’accordo che riconosceva “la legittimità dei Kanak come popolo indigeno della Nuova Caledonia”, concedeva al territorio una maggiore autonomia e avviava un processo verso l’autodeterminazione – o i loro discendenti possono eleggere l’esecutivo locale. Secondo gli indipendentisti Kanak, il disegno di legge di riapertura del corpo elettorale non è altro che un ritorno alla strategia del colonialismo di insediamento.

Crisi economica, nazionalismo e competizione geopolitica

Secondo il censimento del 2019, il 41,2% della popolazione della Nuova Caledonia si identifica come Kanak (circa 112 mila persone) e il 24,1% come europea4, con i primi che devono affrontare notevoli difficoltà socioeconomiche, tra cui salari più bassi e tassi di povertà più elevati (del 32,5%, rispetto al 9% tra i non Kanak). I Kanak hanno tipicamente livelli di istruzione inferiori rispetto ai caledoniani non indigeni. Solo l’8% dei Kanak ha una laurea e il 46% non ha un diploma di scuola superiore. Nel frattempo, il 54% delle persone di origine europea ha un’istruzione universitaria, percentuale che scende al 24% tra le persone di origine mista. I Kanak costituiscono anche una grande parte della popolazione carceraria, il che ha contribuito ad alimentare un senso di frustrazione, in particolare tra i giovani Kanak che vivono nelle aree urbane.

Macron ha chiesto al primo ministro e al ministro degli Interni francesi di invitare i rappresentanti della Nuova Caledonia a Parigi per raggiungere un accordo. Ha detto che ritarderà il processo di trasformazione in legge del disegno di legge. Tuttavia, ha affermato che un nuovo accordo deve essere raggiunto entro giugno altrimenti firmerà la legge.

In una dichiarazione, la principale forza separatista del territorio e il più grande partito nel congresso locale, il Fronte Kanak e Socialista di Liberazione Nazionale (FLNKS)5, “ha denunciato” gli eventi violenti e ha chiesto “calma e pacificazione”. Ha chiesto ancora una volta che la proposta di riforma elettorale venga cancellata e ha aggiunto che “il clima sociale instabile… evidenzia chiaramente il desiderio di una parte della popolazione di essere ascoltata riguardo al proprio futuro e a quello del proprio Paese”.

Sonia Backès, presidente della provincia meridionale della Nuova Caledonia, dove vivono soprattutto europei, contraria all’indipendenza del territorio ed ex ministro del governo Macron, ha chiesto alla Francia di dichiarare lo “stato di emergenza” e ha accusato alcuni separatisti di promuovere il “razzismo anti-bianco”.

Tra il 2018 e il 2021 si sono svolti tre referendum sull’indipendenza della Nuova Caledonia. Una ristretta maggioranza di elettori ha scelto di restare in Francia durante le prime due votazioni, ma la terza è stata segnata da una bassa affluenza alle urne poiché i separatisti hanno invitato i loro sostenitori a boicottare il voto a causa del rifiuto dello Stato di rinviarlo nel contesto della pandemia di CoVid-19. Nonostante i tre referendum falliti, la questione dell’autodeterminazione è rimasta al centro delle preoccupazioni di molti. I partiti indipendentisti, al potere dal 2017, vogliono la piena sovranità entro il 2025. Quelli contrari all’indipendenza sostengono la riduzione dell’autonomia della Nuova Caledonia e vogliono una maggiore integrazione con lo Stato francese.

Secondo gli analisti, le proteste contro la proposta di riforma del corpo elettorale del territorio sono state alimentate da profonde turbolenze economiche che attraversano il remoto arcipelago tropicale. Il governo francese ha attribuito parte della colpa a potenze straniere, soprattutto all’Azerbaigian6 che hanno stretto legami con i separatisti. Ma le tensioni politiche combinate con la miseria economica sono una spiegazione più probabile. La diffusione di armi da fuoco in Nuova Caledonia ha reso la situazione ancora più critica: secondo i media locali, nel territorio ci sono quasi 64 mila armi da fuoco, una ogni quattro abitanti.

La ricchezza della Nuova Caledonia deriva in gran parte dalla sua industria mineraria attualmente in difficoltà. Con quasi il 30% delle riserve mondiali di nichel – un materiale essenziale per la produzione dell’acciaio inossidabile e delle batterie per i veicoli elettrici – la Nuova Caledonia dovrebbe essere in corsa come fornitore di materie prime critiche dell’Europa che si sta attrezzando per provare a competere con la Cina in settori produttivi come le batterie e le auto elettriche. Ma per ora le cose non sono andate così: la produzione di nichel è crollata e gli investitori stranieri hanno abbandonato l’arcipelago. Il settore soffre per le restrizioni all’esportazione da parte delle autorità della Nuova Caledonia e gli elevati costi energetici, che rendono il nichel significativamente più costoso e meno redditizio da produrre rispetto all’Indonesia e ad altri rivali asiatici.

Nonostante i sussidi francesi al settore per centinaia di milioni di euro, l’industria del nichel continua a crollare, con una produzione in calo del 32% nel primo trimestre 2024 rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso. Le autorità francesi hanno avvertito nel 2023 che le tre principali fabbriche di lavorazione del nichel della Nuova Caledonia avrebbero potuto presto chiudere, aumentando del 50% il numero di disoccupati sull’isola. Mentre le proteste si infiammano, questo avvertimento viene confermato dal momento che i principali investitori, come la svizzera Glencore e la francese Euramet, si stanno ritirando o si stanno rifiutando di investire ulteriormente. Lo scorso anno il governo ha presentato un nuovo piano per salvare il settore attraverso sussidi fino a 200 milioni di euro per ridurre i prezzi dell’energia. Invece di calmare le tensioni, tuttavia, il “patto sul nichel” ha attirato le critiche del movimento indipendentista, che lo ha deplorato come un “patto coloniale che darebbe a Parigi troppo potere a scapito delle autorità locali. Dopo mesi di negoziati, il patto è ancora congelato poiché i rappresentanti della Nuova Caledonia ne bloccano la ratifica.

Inoltre, la Nuova Caledonia è circondata da un’immensa “zona economica esclusiva” marittima: 1,36 milioni di chilometri quadrati di oceano ricco non solo di pesci, ma di altre risorse naturali. Infine, il turismo (australiani, neozelandese, europei) è uno dei settori più redditizi della Nuova Caledonia.

La Cina è di gran lunga la principale destinazione delle esportazioni della Nuova Caledonia e la sua quota nelle esportazioni dell’arcipelago sta crescendo a un ritmo impressionante. Nel 2010, la Cina rappresentava il 4% delle esportazioni della Nuova Caledonia; ora ne acquista il 57%. Per quanto riguarda il nichel, la Cina è la terza destinazione delle esportazioni. Nel tentativo di sviluppare l’industria locale ed evitare di diventare solo una miniera per il resto del mondo, le esportazioni di nichel della Nuova Caledonia sono limitate tramite un regime di autorizzazione, noto come la controversadottrina del nichel” della Nuova Caledonia. Oltre ad essere un importante partner commerciale, la Cina potrebbe anche diventare un importante investitore. Un’importante miniera di nichel nella provincia settentrionale, governata da politici indipendentisti, ha già una partnership con l’industria cinese del nichel Yichuan.

Alessandro Scassellati

 

 

  1. Dei Territori di Oltremare fanno parte: Guyana francese, Guadalupa, Martinica, Mayotte, Nuova Caledonia, Riunione, Polinesia francese, Saint-Barthélemy, Saint Martin, Saint Pierre e Miquelon, Wallis e Futuna, Terre australi e antartiche francesi, Isola di Clipperton. L’importanza dei territori d’oltremare nella regione Indo-Pacifica è aumentata per la Francia dopo il fallimento, nel 2021, di un accordo multimiliardario sui sottomarini tra Francia e Australia. L’Australia ha annullato il suo ordine francese a favore di un accordo tra Stati Uniti e Regno Unito (AUKUS), facendo infuriare Parigi e innescando una crisi diplomatica senza precedenti (si veda il nostro articolo qui). L’accordo sui sottomarini, pietra angolare della strategia indo-pacifica di Macron del 2018, avrebbe rafforzato l’influenza militare francese nella regione. Dopo il suo crollo, Parigi ha cercato di costruire legami più profondi con le nazioni del Pacifico. Francia e Giappone hanno concordato questo mese di avviare colloqui formali su un accordo di accesso reciproco alle truppe, che creerebbe strutture per facilitare la cooperazione militare.[]
  2. Mentre venivano deportati criminali comuni, la Nuova Caledonia venne utilizzata su larga scala anche per deportare gli oppositori politici, trasformandola in un vero e proprio “gulag francese”. I rivoluzionari della Comune di Parigi che non furono giustiziati sommariamente furono deportati qui in gran numero, così come gli algerini che resistevano alla colonizzazione francese del 1830. I detenuti venivano utilizzati come manodopera praticamente gratuita per costruire infrastrutture coloniali. I capitalisti divennero sempre più interessati alla colonia quando fu scoperto il nichel. Si svilupparono l’estrazione mineraria e la metallurgia.[]
  3. La testa di Ataï fu recuperata dall’esercito francese e il volto del capo Kanak fu fuso e il suo cranio e il suo volto furono esposti come trofei nei musei francesi. I suoi resti sono stati restituiti al popolo Kanak solo nel 2014, nel corso di una cerimonia organizzata al Museo di Storia Naturale di Parigi.[]
  4. La popolazione Kanak è tradizionalmente contrapposta a due gruppi di discendenza europea: (1) i Caldoche, nati in Nuova Caledonia; e (2) gli Zoreille, che sono nati nella Francia metropolitana e vivono in Nuova Caledonia.[]
  5. La coalizione indipendentista della Nuova Caledonia, il Fronte Kanak e Socialista di Liberazione, FLNKS, fa parte del Melanesian Spearhead Group (MSG), un’organizzazione intergovernativa costituita con l’obiettivo di promuovere la crescita economica tra i paesi melanesiani.[]
  6. L’Azerbaigian ha ripetutamente accusato la Francia di neocolonialismo e ha persino fondato un’alleanza – il Baku Initiative Group – che riunisce 14 movimenti politici nell’ex impero francese in nome della decolonizzazione (tra questi, Kanak della Nuova Caledonia, Maohi Nui della Polinesia francese, Guyana francese, Martinica, Guadalupa e Corsica). Il gruppo ha rilasciato una dichiarazione in cui accusa Parigi di “violare il diritto all’autodeterminazione del popolo Kanak espandendo l’elettorato per mantenerlo una minoranza nella propria patria”. Darmanin ha denunciato quella che ha definito un’ingerenza straniera, accusando l’Azerbaigian di fomentare le rivolte in corso. Il portavoce del Ministero degli Esteri azerbaigiano, Aykhan Hajizada, ha respinto con forza le affermazioni secondo cui dietro i disordini c’è il suo paese. “Invece di accusare l’Azerbaigian di sostenere presumibilmente le proteste indipendentiste in Nuova Caledonia, il ministro degli Interni francese dovrebbe concentrarsi sulla politica fallimentare del suo paese nei confronti dei territori d’oltremare che ha portato a tali proteste”, ha affermato. Le relazioni tra Francia e Azerbaigian hanno toccato il fondo negli ultimi anni a causa del sostegno militare e politico francese all’Armenia, paese vicino e storico rivale del Caucaso meridionale, una situazione ulteriormente intensificata dalla presa militare da parte di Baku della regione etnica armena del Nagorno-Karabakh lo scorso anno. In compenso, le vere potenze dell’area sono Cina, Australia (a 1.200 km) e Giappone. Le autorità francesi sostengono che l’eventuale indipendenza della Nuova Caledonia si tradurrebbe automaticamente nell’egemonia economico-politica cinese sull’arcipelago. Ma anche il Giappone e l’Australia sarebbero interessati ad aumentare la loro influenza.[]
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