Il tema della difesa europea è, da oltre settanta anni, parte integrante del dibattito sul modello di integrazione del continente. Poiché anche i federalisti più convinti sanno che l’Europa – divisa dalla “pace di Vestfalia” nel 1648 in stati-nazione – non raggiungerà mai un livello di integrazione federale simile a quello delle ex-colonie britanniche dall’altra parte dell’Atlantico, l’obiettivo dei sostenitori della difesa europea non è quello di creare un unico esercito europeo di terra, d’aria e di mare ma di coordinare le politiche nazionali sotto un unico comando condiviso allo scopo di dotare – come si afferma dal 2013 – l’Unione europea di una sua “autonomia strategica”.
Agli inizi degli anni cinquanta, l’ingresso della Germania occidentale fra i paesi europei di democrazia liberale, nel quadro della divisione dell’Europa fra imperialismo sovietico ed egemonia statunitense, pose la questione del suo riarmo.
C’era chi riteneva che esso avrebbe dovuto aver luogo nell’ambito della NATO e cioè sotto l’ombrello di Washington e c’era invece chi riteneva che esso dovesse aver luogo in un quadro europeo.
Secondo Altiero Spinelli e i federalisti europei la creazione di un comando europeo unificato doveva essere invece la conseguenza e non la premessa dell’integrazione politica dell’Europa delle democrazie liberali e il progetto francese di una “Comunità Europea di Difesa” (CED) sarebbe stato accettabile solo se esso fosse stato collocato all’interno di una “Comunità Politica Europea” (CPE) secondo un modello democratico e federale.
Il legame inscindibile fra unità politica e difesa europea fu fatto invece fallire dall’alleanza politicamente suicida di nazionalisti di destra e di sinistra nella inconsistente illusione che la decisione di non riarmare la Germania occidentale nel quadro europeo avrebbe avuto come conseguenza la neutralità dell’Europa occidentale e l’equidistanza fra imperialismo sovietico ed egemonia statunitense nonostante la divisione del mondo in due blocchi contrapposti dalla guerra fredda.
Da allora le sinistre, non solo in Francia ma in tutta l’Europa occidentale, hanno pagato cara questa scelta suicida consentendo di fatto ai paesi europei ad Ovest della cortina di ferro di essere “protetti” dall’ombrello di Washington.
L’aggressione di Vladimir Putin all’Ucraina – dopo otto anni di conflitti nella regione, la cui responsabilità deve essere equamente condivisa fra Russia, Ucraina e Alleanza Atlantica a guida statunitense – ha messo fine a trent’anni di apparente détente fra Est ed Ovest, ha sconvolto gli equilibri geopolitici sul continente e ha rafforzato temporaneamente l’unità dell’occidente trasformando in una folle chimera l’idea imperialista di una “grande nazione russa” trent’anni dopo la dissoluzione dell’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS).
Quel che è avvenuto dal 24 febbraio 2022 in poi con l’invasione dell’esercito russo sul territorio ucraino ha riaperto il dibattito sulla difesa europea insieme alle prospettive dell’annessione dei Balcani Occidentali (Serbia, Macedonia del Nord, Montenegro, Bosnia Erzegovina, Kosovo, Albania) e dei paesi dell’Europa orientale al di fuori dell’area di influenza della Russia (Ucraina, Moldova e Georgia) all’Unione europea e più in generale sul futuro dell’Europa.
Sulla difesa europea, fatta eccezione per la cosiddetta “bussola europea” adottata a maggio 2022 in cui si stabilisce che entro il 2025 l’Unione europea dovrà dotarsi di un battaglione di cinquemila militari “di pronto intervento”, i paesi europei si sono mossi in ordine sparso decidendo ciascuno per sé di aumentare le spese militari ma mantenendo la divisione in ventisette strutture di terra, ventisei d’aria e ventitré di mare e scegliendo l’atlantismo come priorità rispetto all’europeismo.
Si colloca in questo quadro la visione estrema di una parte del mondo federalista secondo cui il potere dell’Unione europea di decidere sulla pace e sulla guerra – un potere che gli Stati hanno perso settanta anni fa cedendolo alla NATO – dotandosi di una difesa comune sarebbe il passaggio definitivo verso uno Stato europeo dopo la condivisione venti anni fa di un unico potere monetario.
La visione federalista contenuta nel Manifesto di Ventotene del 1941 e poi elaborata da Altiero Spinelli nel corso di tutta la sua azione politica europea è invece quella che fu sostenuta al tempo della CED nel 1952 e cioè che l’unità politica secondo un modello federale dovesse precedere l’integrazione militare, che l’obiettivo non era quello di cancellare gli Stati – e tantomeno di rendere omogenei i popoli europei in un unico popolo imitando il melting pot statunitense – ma di creare un sistema di “unità nella diversità” secondo l’applicazione del principio di sussidiarietà che vige in tutte le strutture federali (che divergono tuttavia nelle rispettive organizzazioni di governo) e che affida al livello federale la politica estera e della sicurezza, la cittadinanza e un forte livello di politica fiscale autonoma dagli Stati federati per garantire un bilancio che eserciti le funzioni allocative, redistributive e di stabilizzazione.
A questi tre elementi si aggiunge il principio secondo cui il potere costituente appartiene alla federazione, che l’adesione alla federazione non consente alcuna forma di secessione e che la federazione garantisce il rispetto dello stato di diritto e del primato del diritto federale nei settori di competenza della federazione.
Appare evidente che, sul piano teorico, la creazione di uno Stato europeo potrebbe avvenire attraverso la decisione di un’avanguardia di governi escludendo il Parlamento europeo che rappresenta l’insieme delle cittadine e dei cittadini europei ma affidando a valle del processo intergovernativo il potere “notarile” di ratifica ai parlamenti nazionali.
La creazione di una federazione come ultima fase del processo di integrazione europea, iniziato nel 1950 e proseguito ogni volta con il consenso dei parlamenti nazionali che hanno ratificato i trattati o con il consenso dei cittadini in trentadue referendum confermativi dal 1975 al 2008, dovrà avvenire attraverso una fase costituente che abbia al suo centro il Parlamento europeo al cui interno sono rappresentate tutte le forze politiche di maggioranza e di opposizione nei paesi membri e non solo le coalizioni maggioritarie che sostengono i governi che siedono nel Consiglio europeo e nel Consiglio, per garantire il suo carattere democratico.
Si tratta della strategia che il Movimento europeo rivendica per le elezioni europee nel maggio 2024 e su cui chiama in una alleanza di innovatori tutti i democratici europei.
Pier Virgilio Dastoli