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La crisi energetica tra guerra e transizione ecologica

di Riccardo
Rifici

Lo scorso 20 settembre si è svolto un incontro in video conferenza e in diretta Facebook sul tema “LA CRISI ENERGETICA TRA GUERRA E TRANSIZIONE ECOLOGICA” organizzato dall’Osservatorio Europa e da “Rosso Verde non è un ornamento”

All’incontro, condotto da Riccardo Rifici e introdotto da un intervento di Andrea Masullo, sono intervenuti: Roberto Musacchio, Paolo Cacciari, Loretta Mussi, Ernesto Screpanti, Danilo Monelli Alessandro Sforzolini Scarsellati.

L’introduzione e i diversi interventi hanno condiviso molti contenuti comuni e hanno approfondito alcuni punti. Salvo qualche diversa sottolineatura su alcune questioni hanno sostanzialmente visto un generale accordo.

Nelle righe che seguono non si vuole fare un report preciso dell’incontro, ma piuttosto un resoconto ragionato sui temi affrontati, con quelle che sembrano le considerazioni finali emerse. Naturalmente i presenti all’incontro possono aggiungere o correggere quanto scritto in questo articolo, con altri articoli o commenti. Anche questo è un modo per attivare un dibattito più generale e più approfondito!

Una prima considerazione emersa ha riguardato il come e il perché l’intera comunità internazionale si trovi ad attraversare una sorta di “tempesta perfetta”. Infatti, alla crisi climatica che ormai non lascia passere giorno, senza inviarci i suoi forti e violenti messaggi (ghiacciai che si sciolgono, siccità che si alterna a devastanti alluvioni, ecc…), si è aggiunta prima la pandemia di Covid, e poi la guerra in Ucraina che, a differenza delle altre piccole guerre, che comunque hanno continuato ad imperversare in diverse parti del mondo, ha assunto un’importa di rilevanza eccezionale, sia perché si è da subito configurata come conflitto di carattere mondiale che coinvolge due super potenze (l’alleanza atlantica governata dagli USA e la Russia di Puntin) tale da mettere in discussione gli equilibri mondiali, sia perché ha da subito inciso su alcuni contesti come quello dell’energia e delle materie prime. In conseguenza di tali eventi si sta producendo un’altra crisi di carattere economico, che attraverso meccanismi come quello inflattivo genererà cambiamenti nello stesso modello di globalizzazione che abbiamo vissuto sino ad oggi, e cambiamenti peggiorativi nella vita di miliardi di persone nel mondo (naturalmente a farne le spese sarà sempre quel “99%” della popolazione del che possiede di poco o niente).

Sia nell’introduzione che in diversi interventi è emerso il denominatore di questa “crisi perfetta”: il modello socio-economico che domina il mondo. Il modello del capitalismo finanziario, che nonostante le manifestazioni formali di interesse alle questioni ambientale, continua a trascinarci verso la catastrofe, che non riguarda solo la questione del clima (2 o 3 gradi in più), ma una questione ancora più complessa e delicata: la distruzione degli habitat naturali e la perdita di biodiversità del pianeta. Ciò che già ha provocato effetti collaterali e gravi come ad esempio pandemie che seguono il salto di specie di microorganismi, da animali selvatici all’uomo. Continuare su questa direzione produrrà effetti catastrofici per l’esistenza di molte popolazioni di viventi (umani compresi).  Ad esempio, uno dei primi effetti negativi che già si evidenziano nell’economia umana, riguarda la perdita di fertilità dei suoli, che, a causa della perdita di biodiversità (causata principalmente dal modello agricolo industriale), vede ridurre il contenuto di sostanza organica e la capacità di scambio ionico dei suoli. Insomma un processo che richiede sempre più energia (oggi l’agricoltura industriale consuma più energia di quella che produce) e di sostanza di sintesi e che ci porta verso la progressiva desertificazione.

Questa “crisi perfetta” è stata l’occasione per i signori dell’energia per riproporre, pur facendo concessioni alle fonti rinnovabili, un modello di produzione e distribuzione dell’energia basato su grandi impianti centralizzati e governato dai mercati finanziari.

Infatti, gli interessi delle lobbies impiantistiche e della finanziaria si sono fatti sentire, sia con l’azione speculativa sul prezzo dell’energia, sia sulla forte sponsorizzazione del gas e del nucleare come soluzione non solo per garantire la transizione, ma come prospettiva futura.

Così come anche le impennate del costo delle bollette energetiche sono iniziate nel 2021, vale la pena sottolineare come tutto ciò sia avvenuto già prima dell’inizio della guerra in Ucraina. Ad esempio le volontà della Commissione europea di inserire il gas e il nucleare nella Tassonomia (le regole per finanziare gli investimenti per la sostenibilità) risale al 2020. Con il Regolamento delegato (UE) 2021/2139 del dicembre del 2021 è stato introdotto il nucleare e il gas nella Tassonomia, e la decisione definitiva è passata con il voto del Parlamento UE del luglio 2022 che ha respinto una mozione contraria a tale inserimento nella Tassonomia).

Sul tema del rincaro delle bollette energetiche è chiara la responsabilità della speculazione finanziaria, e, a questo proposito, è importante comprendere quanto siano grandi le responsabilità della politica del nostro paese, in particolare anche di quelle forze come il PD, che hanno messo la gestione dell’energia, nelle mani dei privati per l’aspetto della produzione e nelle mani della speculazione finanziaria per l’aspetto relativo al mercato dei combustibili.

Infatti, come ricordato nell’intervento di Roberto Musacchio, su decisione del governo Monti, si è passati dall’acquisto di combustibili con contratti a lungo termine, all’acquisto “spot” di singole partite di combustibili con prezzi governati dalla borsa di Amsterdam, esponendo così i cittadini e le imprese italiane agli alti e bassi dei prezzi dovuti alle speculazioni finanziarie.

Ciò mentre a partire dagli anni ’90 è continuato il processo di privatizzazione delle grandi aziende energetiche nazionali.

Inoltre negli interventi è stato ricordato come con la vicenda del CIP6 (il CIP6 è una delibera del Comitato interministeriale dei prezzi adottata il 29 aprile 1992), che doveva servire a finanziarie, attraverso un prelievo diretto sulle bollette energetiche delle famiglie, la produzione di energia elettrica prodotta con impianti alimentati da fonti rinnovabili e “assimilate”. È proprio grazie la dizione “assimilate” che ci fu il misfatto! Questa dizione fu aggiunta alla previsione originaria in sede di approvazione del provvedimento, per includere fonti di vario tipo (inceneritori, impianti industriali, ecc..). Va, per questo, affermato che, i maggiori costi che i cittadini italiani hanno sostenuto sino a poco tempo fa, non sono certo serviti ad attuare la transizione energetica.

Buona parte dei finanziamenti provenienti dal CIP6, sono andati agli inceneritori, a impianti industriali e molto pochi alle fonti rinnovabili. Una cifra ben precisa è difficile da trovare, ma una stima fatta nel 2015 parlava di 58 miliardi, solo un terzo dei quali andato effettivamente alle fonti rinnovabili! Il resto nel grande calderone gestito da Confindustria. Il risultato è che oggi, nonostante la crescita degli ultimi anni, ci troviamo con una quota ancora non adeguata di energia da fonti rinnovabili, mentre allo stesso tempo la potenzialità di produzione di energia elettrica da centrali termoelettriche alimentate da combustibili fossili è molto maggiore di quella necessaria al consumo di punta dell’intero Paese (si stima circa il doppio).

Sul tema del mercato dell’energia, sia per quanto riguarda la privatizzazione sia per quanto riguarda la finanziarizzazione, va precisato, come sottolineato da Franco Russo, il ruolo politico giocato, sia dal governo nazionale, che dalla UE. Infatti, mentre negli anni ’90 si sono attuate le privatizzazioni delle aziende italiane (anche attraverso la scelta di “disfarsi” della rete di trasporto del gas), vi è stata una precisa scelta politica della UE che ha indirizzato il mercato degli acquisti di energia verso gli acquisti a “spot” governati dalla Borsa olandese.

La questione della rete di trasporto del gas meriterebbe un approfondimento a sé. Infatti, come nel caso delle reti idriche e di altre reti, va ricordato che tali infrastrutture che sono state realizzate con grandi investimenti pubblici, ora sono diventate una infrastruttura utilizzata per far fare profitti ai privati e una scusa per costringere in tutti i modi gli enti locali ad appaltare, invece di gestire in proprio, quelli che sono considerati “servizi  a rete” (si veda in proposito anche il disegno di legge recentemente approvato dal Governo Draghi). In proposito non si può non sottolineare che quasi sempre i soggetti che vincono le gare per la gestione dei vari servizi a rete si preoccupano solo di fare profitti, e quasi mai di provvedere come dovrebbero a fare manutenzione delle infrastrutture!

Come ricordato nell’intervento di Ernesto Screpanti, la gestione di beni comuni come l’energia è stata per lunghi periodi, dopo la piena affermazione ella rivoluzione industriale, gestita dal pubblico. Ma nell’ultima parte del secolo scorso è stata fatta passare l’idea che la gestione privata di beni comuni garantisse più efficienza. In realtà, si è dimostrato che, quasi sempre, l’interesse per maggiori profitti è andato a discapito di una conduzione che mirasse a garantire la gestione razionale della risorsa per lungo periodo. Ad esempio nel caso dell’acqua, alcuni gestori privati, attraverso politiche tariffarie, hanno favorito maggiori consumi da parte degli utenti.

La crisi perfetta ha avuto l’effetto di rilanciare il nucleare come strumento per garantire l’autosufficienza energetica e il raggiungimento degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas serra.

Come ben illustrato nell’intervento introduttivo di Andrea Masullo, le posizioni espresse dai nuclearisti, oltre ad accontentare problemi come quello dei depositi delle scorie, su basano su non detto e mistificazioni.

Infatti come ben ricordato da Masullo, vanno sottolineate diverse cose:

  1. I cosiddetti reattori puliti di quarta generazione non esistono, vi sono solo prototipi ben lontani da aver concluso la fase di sperimentazione. Questi impianti non potrebbero entrare in funzione prima del 2035 (per l’ultimo impianto europeo costruito in Finlandia ci sono voluti 17 anni!). Per cui, al di là delle discussioni sulla loro sicurezza, non possono essere la soluzione per affrontare la crisi odierna relativa alla fornitura di combustibili, né tantomeno per affrontare il problema dell’emissione di gas serra che, secondo gli obiettivi della UE, dovrebbero essere ridotti del 55% entro il 2030 e del 100% entro il 2050.
  2. C’è poi la questione delle emissioni di CO2, che nella produzione energetica dal nucleare sono azzerate. Ciò sarebbe vero se non si considerassero le emissioni dell’intero ciclo di vita (il cosidetto Life Cycle Assessment), ciò tutte le emissioni prodotte per costruire la centrale rifornirla di combustibile (va detto in proposito che l’estrazione dell’uranio soprattutto con l’aumento della richiesta) avrà costi e emissioni sempre più maggiori in relazione alle maggiori difficoltà di reperimento. Le stime calcolano, dopo una decina di anni di funzionamento, emissioni di CO2 ben superiori a quelle per la realizzazione di impianti fotovoltaici.
  3. Rispetto al tema della maggiore intensità energetica delle centrali nucleari rispetto alle rinnovabili, va sottolineato che oltre a tener conto delle alte perdite di rete del nucleare basato su grandi impianti centralizzati, le fonti rinnovabili hanno una maggiore elasticità nella produzione e nella distribuzione, potendo contare spesso sulla distribuzione diretta e immediata.
  4. Legato al punto precedente va, inoltre, richiamato quello legato al rapporto coi territori e al controllo democratico della produzione e distribuzione dell’energia. Si tratta di questioni rilevanti legate sia al libero accesso all’energia, sia al controllo delle decisioni e delle scelte fatte in materia dai vari soggetti (multinazionali, operatori privati, istituzioni). Questa è una questione che unita ad altre ha limitato il sorgere di esperienza come le “comunità energetiche”
  5. Altro elemento sollevato per promuovere il nucleare e difendere i combustibili fossili, è tuttora, l’idea che le rinnovabili non possano essere in grado di soddisfare i bisogni energetici del nostro paese o del pianeta. Molti studi e dimostrano invece che sia possibile arrivare a soddisfare i bisogni energetici con il 90-100% di sole rinnovabili.
  6. Infine per quanto riguarda i costi (in continua riduzione per le rinnovabili), oggi tenendo conto della gestione degli impianti, il costo del kWh nucleare e 4 volte maggiore de fotovoltaico.

Il tema delle necessità del cambiamento del modello economico capitalista legato al concetto di “crescita”, è stato ripreso da Paolo Cacciari, che ha sottolineato il pericolo di considerare il problema della crisi ambientale solo dal punto di vista del cambiamento del modello di produzione dell’energia. La drammaticità della realtà non riguarda il semplice innalzamento di qualche grado della temperatura, ma riguarda, profondi e gravi cambiamenti nella biosfera, primo fra tutti quello della perdita incessante di biodiversità o (fortemente connesso al primo), la perdita di fertilità dei suoli.

Del resto, anche come sottolineato da altri interventi (Russo, Monelli, Masullo) la semplice risposta tecnologica alla crisi ambientale non può essere la soluzione. Ad esempio la sostituzione delle auto a motore a scoppio con auto elettriche, senza cambiare modello di trasporto non può essere la soluzione.

Su quanto la tecnologia al servizio del capitale possa risolvere i problemi vi sono molti dubbi. Forse è pensabile che il capitalismo sia in grado di ritardare gli effetti più gravi in qualche parte del Pianeta, (in attesa di trovare altri pianeti!), ma certamente a spese della grande maggioranza della popolazione e degli habitat del mondo.

Per quanto riguarda la risposta messa in campo dal Governo e dalle forze politiche italiane è stata spesso confusa e contradditoria. Ad esempio nel caso del cosiddetto “super bonuns” (misura concettualmente positiva), le manovre, per il mancato controllo (sia di efficacia sia, di correttezza amministrativa), si è rivelata più una manovra per rilanciare l’economia e “aiutare” le banche, piuttosto che per raggiungere risultati in termini di miglioramento dell’efficienza energetica degli edifici. Infatti come ricordato da Danilo Monelli, la stragrande maggioranza dei lavori ha riguardato solo interventi manutenzione ordinaria e interventi di “maquillage”.

Va ricordato, in proposito, che una direttiva europea del 2010 (2010/31) (aggiornata da una direttiva del 2018), prevedeva che ogni stato membro procedesse all’efficientamento degli edifici pubblici per una quota del 3% all’anno. La normativa italiana aveva inoltre previsto che negli appalti pubblici relativi alle nuove costruzioni o alle ristrutturazioni, fossero garantiti il raggiungimento di ben precisi obiettivi ambientali (i cosiddetti CAM ovvero i Criteri Ambientali Minimi). Ma di questo molto poco è stato messo in atto! Oggi però, arrivano i consigli del Ministro Cingolani su quante docce fare durante la settimana e a quale temperatura!

Altro terreno su cui operare, sia per garantire modalità di produzione e distribuzione più ecologiche, più legate e vicine ai territori che ne usufruiscono, più democratiche, e sia per garantire forniture i cui prezzi siano meno preda delle speculazioni finanziarie, sono le comunità energetiche e le diverse forme di autoproduzione.  Ma in questo caso le azioni dei vari governi (nazionali e regionali) e delle grandi aziende energetiche sono parse più attive nell’ostacolarne il nasce che nell’aiutarne lo sviluppo. Del resto, gli enti locali spesso si sono dimostrati più interessati ad usufruire di qualche finanziamento pubblico a prescindere della qualità e delle modalità dell’intervento. Quello delle comunità energetiche è comunque certamente un tema da sviluppare in altri momenti di discussione e analisi per proporre iniziative e progetti. Il coinvolgimento delle comunità è, peraltro, un tema importante che può riguardare altri terreni oltre a quello dell’energia. Ad esempio, come ha ricordato Loretta Mussi, in Lombardia, un modello di basato sulla prevenzione ambientale sul territorio e nei luoghi di lavoro (molto presente sino agli anni ‘80, è stato demolito anche per il mancato coinvolgimento delle comunità).

Certamente, nel breve medio periodo, queste esperienze, non escludono la necessità di avere grandi impianti centralizzati per produrre energia per usi particolari (acciaierie, ecc..), ma la strada non è certamente quella di puntare ancora, nel futuro, sui grandi impianti che usano combustibili fossili. Anche perché spesso sono scelte come quelle attuate sull’energia che determinano il modello sociale ed economico, o quanto meno ne condizionano fortemente la qualità.

Insomma il tema dell’energia, come quello dell’acqua e di altri dei beni comuni rimane un tema essenziale, sia per la democrazia, sia per combattere le diseguaglianze, sia per contrastare la catastrofe ambientale a cui stiamo assistendo. Per questi motivi è essenziale una battaglia per riportare sotto il controllo e la gestione pubblica questi beni, e ancora più essenziale e un cambiamento del modello economico produttivo.

Questi temi devono far parte essenziale della ossatura di un programma politico e della visione politica di qualunque forza politica di sinistra.

 

 

 

 

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