di Roberto Musacchio – In Italia per alcuni anni ci fu anche una trasmissione televisiva, “Maastricht, Italia”. Parlava di politica a partire da quel Trattato a indicare che era cambiata la “geografia” delle cose.
A 3 anni dalla caduta del muro di Berlino, il 7 febbraio 1992, in una piccola cittadina olandese, viene sottoscritto il Trattato che dà il via alla UE.
In realtà un nuovo muro che separa quella che era stata l’Europa del modello sociale e democratico dalla nuova “entità” che di fatto è tutt’altra cosa.
Proprio l’unificazione tedesca “mette fretta” al processo di passaggio dalla Comunità alla Unione.
Questa fretta fa si che si mettano da parte le ipotesi di Unione politica, federalista e democratica e che prevalga l’impostazione funzionalistica, molto segnata dall’asse franco-tedesco e pesantemente condizionata dall’ipoteca neoliberista.
L’89 viene tradotto in una vittoria del capitalismo sul socialismo e, su questa premessa, si procede.
La moneta unica viene spinta fortemente dalla Francia per “imbrigliare” la Germania. E la Germania la imbriglia dentro le ferree regole monetaristiche.
Su tutto, l’ideologismo che permea il trattato e che affida al mercato, alle imprese ed alla moneta quelle funzioni politiche e sociali che in democrazia sono prerogative delle strutture rappresentative e delle loro decisioni.
La UE si edifica invece intorno ad una sorta di coppia: moneta e banca Stato.
La finanziarizzazione, la Nato e le nuove reti sono i gangli vitali della strana creatura.
Il corpo antico del modello sociale europeo è carne viva per gli appetiti finanzari mentre l’involucro nazionalistico permane in una sorta di ossimero di una Unione Nazionalistica.
In realtà dopo 30 anni possiamo dire che più che trovarsi di fronte ad una opera incompiuta o arretrata abbiamo visto affermarsi una costruzione molto “moderna” che si proietta nella nuova fase del capitalismo globale finanziarizzato rompendo col vecchio compromesso sociale e democratico.
Sull’onda di Maastricht partono in tutta Europa, Paese per Paese, le linee guida della nuova fase.
Come le privatizzazioni che oggi Prodi ci confessa essergli state comandate.
Privatizzazioni pesanti che in Italia riguardano anche le telecomunicazioni che invece Francia e Germania preservano.
Poi lo scadenzario prevede la fine dell’autonomia del lavoro sancita dai due accordi concertativi che il sindacato accetta e la Cgil subisce.
Accordi che certificano i nuovi rapporti di forza già determinatisi con la fine della scala mobile.
Non siamo più alla politica dei redditi ed alla lotta alla inflazione ma alla certificazione della variabile indiendente rappresentata dai mercati finanziari con lo spread a sostituire l’inflazione come redistribuzione a favore dei ricchi e frusta sociale.
In Italia la separazione tra Tesoro e Banca d’Italia opera già dall’inizio degli anni ’80 e la messa a mercato del debito pubblico ne ha determinato il raddoppio in pochi anni consegnando il Paese alla finanza.
Ben presto arriva anche la prima controriforma delle pensioni che porta il nome di Dini, passato dalla Banca alla politica e dal centrodestra al centrosinistra.
In Italia poi lo sgretolamento del sistema politico è velocissimo e impressionante. La caduta del muro si cumula a tangentopoli.
Il Pci apre le danze, si scioglie e la sua maggioranza passa dal guardare a Mosca all’obbedire a Bruxelles. Più che governo si fa governance. Triste parabola di un partito che dimentica Gramsci e si comporta come un qualsiasi partito dell’est.
L’aver eluso ogni riflessione ha impedito di ricercare le cause di un siffatto comportamento. Si dovrebbe ad esempio scavare su quanto stalinismo statualista si sia fatto governance.
In un Paese come l’Italia dove i partiti sono stati quel collante mancato dallo Stato e dalla Cultura la modificazione genetica di questi finisce col trascinare con se la società.
Non accade subito, che ci sono anni di resistenza. Ciò che resiste allo scioglimento del Pci si incontra con i nuovi movimenti alterglobalisti e tenta anche un vero nuovo inizio.
Ma ci pensa il maggioritario a spianare le resistenze promuovendo una semplificazione funzionale al sistema, permeabile alle nuove pulsioni populiste ma repulsiva verso le alternative sociali.
L’edificazione e l’allargamento della UE avvengono secondo i binari tracciati.
Ai tedeschi dell’est si offre la parità nel cambio della moneta in cambio di doppi regimi contrattuali e normativi che dall’est tracimano all’intera Germania e si fanno permanenti.
La guerra ripudiata nel ’45 ritorna in Yugoslavia di cui si promuove la dissoluzione e l’annessione a scaglioni.
La Nato fa da apripista agli allargamenti selettivi.
E consacra la complicità nei conflitti in Afghanistan e Irak.
In Libia le Nazioni europee fanno in proprio.
L’allargamento alla Turchia è prima evocato e poi revocato. Restano però gli affari crescenti con Erdogan.
Lo stesso vale per le relazioni con la Russia di Putin.
L’ossessione per i migranti sostituisce quella verso il socialismo.
L’Europa si fa fortezza. Migranti ne arrivano ma devono essere alla mercé: meglio clandestini che sindacalizzati.
Se il Maghreb vive la sua primavera la gelida UE ripropone gli stessi “accordi” sottoscritti con i dittatori che prevedono mercato e lager per migranti.
L’Italia con la Libia è tra gli esempi peggiori e conferma che “italiani brava gente” è un modo di dire che resta infelice e che tra centrodestra e centrosinistra si fa staffetta.
Quando i curdi chiedono i loro diritti la UE dimentica ciò che ha fatto per il Kosovo e si affretta a legittimare la loro sconfitta sottoscritta da Putin e Trump, a UE e Erdogan.
Lo stesso vale per i palestinesi in modi sempre più tragici.
Ma anche ai catalani non va bene.
È il mercato globale a decidere nel mondo della globalizzazione. E la geopolitica, e la politica di potenza, si rimodulano su di esso.
Magari ci sta che la City possa giocare in proprio rispetto a Francoforte e dunque può essere Brexit.
È cinica questa UE. E lo sono i suoi leader che passano per le sliding doors tra finanza e politica.
I trattati hanno sostituito le costituzioni dichiarate da molti incompatibili.
Anche la cittadinanza si fa relativa e non solo per i migranti. Mobilità e soggiorno sarebbero tra i diritti dell’Unione ma limitati dal reddito.
Pensioni, salute e assistenza nella disoccupazione divengono i tre grandi filoni da trasformare da diritti di cittadinanza a fondo finanziario europeo secondo il progetto di Ursula Von der Leyen che si prende la guida d’Europa insieme a Lagarde.
Che esce dalla porta girevole del Fmi, storico gestore delle politiche di “aggiustamento” strutturale sulla pelle dei Paesi terzi, compartecipe con la Troika del sadismo contro la Grecia.
Dalla Bce esce Draghi, dopo 10 anni di austerity passati a stampar denaro per le banche in cambio di sacrifici per le persone. Subito il Pd gli offre la Presidenza della Repubblica. E la destra non disdegna. D’altronde da Maastricht in poi hanno votato insieme quasi tutto.
Anche la risoluzione con cui il Parlamento Europeo ha reiventato la seconda guerra mondiale e equiparato nazismo e comunismo.
Chissà se hanno pensato di festeggiare così i 30 anni dall’89.
In realtà loro le speranze dell’89 le hanno uccise.
Erano quelle di ricongiungere uguaglianza e libertà ed invece si sono riconnessi mercificazione e nazionalismi.
L’Europa dall’Atlantico agli Urali, alternativa alla globalizzazione capitalistica era ciò per cui si impegnarono ben prima dell’89 Berlinguer, Brandt e Palme. E il movimento pacifista che lottava contro i missili degli USA e dell’Urss.
Questa è la Europa che doveva nascere dal’89. Non è stato così. E uccidere la speranza è la colpa più grave.
Riaccendere la speranza è ciò che dobbiamo fare. Per farlo occorre abbattere i nuovi muri innalzati dal capitalismo, dai razzismi, dai nazionalismi.