di Paola Boffo –
Lo scorso 24 ottobre il Ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri ha inviato al Vice presidente della Commissione europea Valdis Dombrovskis e al Commissario Pierre Moscovici la risposta alla richiesta di chiarimenti sul Documento Programmatico di Bilancio (DPB) presentato il 15 ottobre.
Dombrovskis e Moscovici hanno scritto secondo le disposizioni dell’articolo 7 del regolamento UE n. 473/2013, che prevede che La Commissione adotti, il prima possibile e in ogni caso entro il 30 novembre, un parere sul documento programmatico di bilancio, e che possa consultare lo Stato membro entro una settimana dalla presentazione del progetto di DPB, nei casi eccezionali in cui riscontri un’inosservanza particolarmente grave degli obblighi di politica finanziaria definiti nel Patto di stabilità e crescita.
Il DBP prevede una variazione del saldo strutturale nel 2020 pari a una riduzione dello 0,1% del PIL, che non corrisponde all’adeguamento strutturale raccomandato dalla UE dello 0,6% del PIL. Il DBP prevede un tasso di crescita nominale della spesa pubblica primaria netta dell’1,9%, che supera la riduzione raccomandata di almeno lo 0,1%. Queste previsioni non sono in linea con i requisiti di politica di bilancio stabiliti nella raccomandazione del Consiglio del 9 luglio 2019, poiché comporta un rischio di deviazione significativa dallo sforzo fiscale raccomandato nel 2020 e nel corso del 2019 e 2020 presi insieme. Il piano italiano, inoltre, non è conforme al parametro di riduzione del debito nel 2020.
Nella lettera si prende anche atto, e ci si riserva di valutarla approfonditamente, della richiesta dell’Italia di avvalersi della flessibilità nell’ambito del braccio preventivo del patto di stabilità e crescita per tener conto dell’impatto sul bilancio di eventi imprevisti.
Il Ministro Gualtieri, nella sua risposta, evidenzia che “l’intonazione moderatamente espansiva della manovra di bilancio” risulta coerente con le regole del Patto di Stabilità e Crescita, tenuto conto della flessibilità che queste prevedono. Contemporaneamente assicura la sostenibilità della finanza pubblica e la discesa tendenziale del debito pubblico, con l’ottica di evitare una stretta pro-ciclica.
Si ribadisce l’impegno del Governo italiano a perseguire una maggiore equità nella distribuzione del carico fiscale attraverso una combinazione di riduzione delle imposte sul lavoro subordinato e specifiche misure di contrasto all’evasione; a prendere parte al Green New Deal europeo attraverso investimenti orientati a favorire l’innovazione e l’adattamento del nostro sistema produttivo a modelli di sostenibilità ambientale e sociale; a intraprendere riforme strutturali capaci di modernizzare il paese e di migliorare la condizione sociale dei cittadini, in particolare in merito a istruzione e salute.
Prima di specificare le motivazioni di ciascuna misura la lettera richiama la posizione assunta dall’Eurogruppo del 9 novembre a proposito del fatto che nell’attuale congiuntura dell’eurozona nel suo complesso, che deve affrontare rischi ciclici e sfide importanti sul piano delle relazioni commerciali internazionali, degli sviluppi geopolitici e del cambiamento climatico, l’area euro deve evitare politiche fiscali pro-cicliche: se i rischi di recessione si materializzano le politiche di bilancio devono essere più “accomodanti”. “Il nostro Governo condivide questa visione. Nel tenere ben presente la necessità di mantenere l’Italia sul sentiero di una riduzione del rapporto debito/PIL, crediamo che l’obiettivo chiave sia la ripresa della crescita economica e l’avvio della transizione verso un modello di crescita inclusiva e sostenibile. Queste considerazioni fondamentali sono alla base della nostra scelta di una posizione di bilancio sostanzialmente neutrale nel 2020 e di un graduale miglioramento dei saldi di bilancio strutturali nei due anni successivi”.
A differenza di quanto accaduto nel 2018, quando la Commissione chiese al governo giallo-verde di riformulare le previsioni, e invitò l’Italia a presentare un documento programmatico di bilancio riveduto e conforme alla raccomandazione indirizzata all’Italia dal Consiglio il 13 luglio 2018, quest’anno, dopo i chiarimenti che sono stati dati dal Governo, la Commissione dovrebbe approvare il DPB nei tempi previsti, come anticipato in queste ore dallo stesso Dombrovskis.
Più minacciosa appare la lettera che l’Italia ha ricevuto dal Direttore Generale della Politica Regionale Marc Lemaître, che stigmatizza “le cifre più che preoccupanti sugli investimenti al Sud, che sono in calo e non rispettano i livelli previsti per non violare la regola Ue dell’addizionalità”.
Lemaître era stato audito lo scorso 3 settembre dalla Commissione Sviluppo Regionale del Parlamento Europeo, in merito all’esecuzione della politica regionale nel bilancio 2014-2020 e al futuro della politica di coesione nel bilancio 2021-2027, anche in vista dell’audizione del futuro/a candidato/a Commissario/a. Già in quella occasione, dopo aver deplorato lo stato di attuazione della programmazione 2014-2020, ed il rischio di disimpegno automatico dei fondi nel caso di mancato raggiungimento dei target di spesa previsti dai programmi per il 31 dicembre 2019, aveva affermato che “La politica di coesione europea dovrebbe essere complementare agli sforzi nazionali, ma il trend preoccupante che osserviamo nel Mezzogiorno è che gli investimenti pubblici sono calati in maniera consistente e oggi sono al livello più basso di sempre: meno dello 0,4 % del Pil”, “in Europa centrale siamo vicini al 4%, quindi dieci volte di più; la politica di coesione può essere efficiente solo se non ci sono allo stesso tempo tagli alla spesa pubblica nazionale. Vediamo quindi che il ‘principio di addizionalità’ oggi non è garantito – ha insistito Lemaitre – si tratta di un punto su cui dobbiamo discutere molto attentamente con le autorità italiane per, speriamo, migliorare le cose nell’ultima parte di questo periodo di programmazione”. “Non conosco nessun altro Paese che ha una situazione così debole” “Gli sforzi europei fatti attraverso il bilancio comunitario sono stati neutralizzati dai tagli agli investimenti pubblici nel Mezzogiorno”.
Nella lettera, pervenuta agli inizi di ottobre, la Commissione sottolinea l’importanza del principio di addizionalità, per cui i fondi strutturali impattano sull’economia solo se non vanno a sostituire la spesa pubblica, ma offrono un contributo aggiuntivo. Si tratta di una regola stabilita nell’articolo 95 del regolamento 1303/2013, che reca disposizioni comuni per l’uso dei Fondi strutturali, sulla base della considerazione per cui, per garantire un effettivo impatto economico, i contributi dei fondi non dovrebbero sostituire le spese strutturali pubbliche o assimilabili degli Stati membri. Inoltre, affinché il sostegno dei fondi tenga conto del contesto economico generale, il livello della spesa pubblica dovrebbe essere determinato in funzione delle condizioni macroeconomiche generali in cui ha luogo il finanziamento, sulla base degli indicatori previsti nei programmi di stabilità e convergenza presentati annualmente dagli Stati membri ai sensi del regolamento (CE) n. 1466/1997 del Consiglio. La verifica del principio di addizionalità, effettuata dalla Commissione ex ante, in fase di programmazione, in fase intermedia di esecuzione dei programmi, ed ex post, alla conclusione del periodo, si concentra sugli Stati membri in cui le regioni meno sviluppate coprono almeno il 15% della popolazione, data l’entità delle risorse finanziarie a esse assegnata.
L’accordo di partenariato tra Italia e Commissione Europea prevedeva, per il periodo 2014-2016, un investimento al Sud di risorse pubbliche pari allo 0,47% del Pil del Mezzogiorno, obiettivo non raggiunto, visto che gli investimenti sono fermi allo 0,40%. La differenza di 0,07 punti percentuali equivale a circa il 20% in meno di risorse pubbliche spese sul territorio. Nel triennio 2014-2017, il tasso d’investimenti è sceso allo 0,38%.
L’analisi dell’andamento della spesa in conto capitale della PA a sostegno dello sviluppo si avvale, ormai da vari anni, di una stima, effettuata dal sistema dei conti pubblici territoriali (CPT), che elabora l’articolazione della spesa destinata al Mezzogiorno nelle sue componenti ordinarie e aggiuntive. Questa elaborazione, denominata Quadro Finanziario Unico (QFU), evidenzia i flussi finanziari annuali di cassa della spesa in conto capitale rilevati dal Sistema Conti Pubblici Territoriali, stimando, sulla base di informazioni esogene al Sistema, la parte aggiuntiva (risorse comunitarie e cofinanziamento nazionale, più le risorse per le aree sottoutilizzate) e la parte ordinaria, ottenuta come differenza tra il totale delle risorse in conto capitale e le risorse aggiuntive. Si tratta dunque di uno strumento statistico che fornisce un dimensionamento delle risorse destinate al Mezzogiorno con una valutazione del contributo aggiuntivo (ai sensi dell’art. 119, comma 5, della Costituzione) finalizzato alla riduzione dei divari tra le aree del Paese coerente con gli obiettivi di sviluppo interni e concordati in sede europea. Questo quadro costituisce anche la base per la redazione di analisi e rapporti di valutazione finanziaria e di verifica del rispetto del principio di addizionalità comunitaria e contribuisce a evidenziare con maggiore efficacia e trasparenza le conseguenze finanziarie e gli scenari alternativi derivanti dalle scelte di politica economica, compatibili con i profili di rientro di finanza pubblica.
Da qui la richiesta della Commissione sulle prossime misure da intraprendere per invertire la tendenza e garantire un adeguato livello d’investimenti al Sud. In caso contrario, potrebbe partire una “rettifica finanziaria”, cioè un taglio dei fondi strutturali, che può arrivare al 5 % della dotazione dei Fondi a favore dello Stato membro interessato per le regioni meno sviluppate per l’intero periodo di programmazione, pari a circa 1,1 miliardi di euro.
La consapevolezza del pesante effetto sostitutivo della politica aggiuntiva, alimentata dai Fondi Strutturali Comunitari e dalle risorse nazionali del Fondo di Sviluppo e Coesione, e del sottodimensionamento della politica ordinaria nel Mezzogiorno hanno fatto ritenere necessaria la reintroduzione di principi per il riequilibrio territoriale già nel Decreto Mezzogiorno sostenuto dall’allora Ministro per la Coesione Territoriale Claudio De Vincenti e prevista con decorrenza dalla legge di bilancio per il 2018. La norma dispone che le amministrazioni centrali si conformino all’obiettivo di destinare agli interventi nel territorio meridionale un volume complessivo annuale di stanziamenti ordinari in conto capitale proporzionale alla popolazione di riferimento (pari quindi al 34%). Al momento la quota di risorse ordinarie delle Amministrazioni Centrali destinate al Sud è pari mediamente al 28,9%, al di sotto della rispettiva quota di popolazione pari mediamente al 34,4%. Le risorse ordinarie vengono quindi orientate al rispetto del principio di equità, finalizzato a far sì che il cittadino, a qualunque area territoriale appartenga, possa potenzialmente disporre di un ammontare di risorse equivalente, mentre le risorse della politica aggiuntiva, prevalentemente destinate al Mezzogiorno, hanno la funzione di garantire la copertura del divario ancora esistente, dando attuazione al comma 5 dell’art. 119 della Costituzione.
La norma è stata rafforzata con la legge di bilancio 2019 (L. 145/2018) ha fissato una riserva pari al 34% della spesa ordinaria in conto capitale del settore pubblico allargato (comprese ANAS E RFI) a favore del Mezzogiorno, prevedendo il monitoraggio periodico delle spese effettivamente realizzate, oltre che misure di accelerazione degli investimenti pubblici, ribadite ancora nel Documento Programmatico di Bilancio.
Un pezzo di quella “intonazione moderatamente espansiva della manovra di bilancio” che si intende perseguire dentro i margini stretti del patto di stabilità.