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Intervista ad Ailbhe Smyth

di Małgorzata
Kulbaczewska-Figat

Ailbhe Smyth: “È necessaria una discussione a livello europeo sull’aborto, insieme a una discussione sulla nostra democrazia”

Małgorzata Kulbaczewska-Figat: Sei stata attiva nel movimento per i diritti delle donne per quasi 40 anni…

Ailbhe Smyth: Sono diventata un’attivista alla fine degli anni settanta. Era un momento molto difficile per le donne in Irlanda: da un lato stavamo attraversando una recessione economica, dall’altro cominciavano le reazioni da parte della Chiesa alle prime attività del movimento per la liberazione delle donne. Al tempo, la Chiesa cattolica conduceva una campagna per vietare del tutto l’aborto e per includere un emendamento alla Costituzione in questo senso. Questa campagna ebbe successo nel 1981 e la mia prima battaglia come attivista fu contro questo emendamento. Era davvero molto difficile!

Solo alla fine degli anni sessanta alle donne irlandesi è stato garantito il diritto allo studio nella scuola secondaria. Quando è nata mia figlia negli anni settanta non ero sposata con suo padre, quindi lei è stata automaticamente registrata come illeggittima. Fu uno scandalo enorme e se io fossi morta mentre quella legge era in vigore lei non avrebbe avuto diritto alla pensione.

Mi sono sposata nel 1973. L’università presso la quale lavoravo mi comunicò che non avrei più potuto lavorare a tempo pieno, perché i regolamenti non consentivano alle donne sposate di lavorare per istituzioni statali. Fortunatamente nello stesso anno entrò in vigore una nuova legge e il divieto fu rimosso. Fino alla metà degli anni novanta c’è stato il divieto del divorzio e l’accesso libero alla contraccezione era stato consentito solo poco tempo prima. Il mio matrimonio, che durò in realtà solo sei mesi, non è stato annullato fino a quando non è cambiata la legge alla metà degli anni novanta.

L’aborto, è necessario ricordarlo, era illegale anche prima dell’introduzione nella Costituzione della protezione dei “non nati”. Era punito con l’ergastolo.

Come l’omicidio…

Esattamente! Sia la donna che abortiva sia il medico – o chiunque altro – che l’aiutava potevano essere puniti in questo modo! Dobbiamo sapere che anche con le attuali leggi irlandesi, che sono ovviamente incomparabilmente migliori, aiutare ad abortire è un crimine, tranne nei pochissimi casi consentiti.

Torniamo un momento alla tua storia personale: sono gli anni settanta, stai crescendo tua figlia da sola, mentre continui a lavorare all’università…

… una delle poche donne che lavoravano dopo essere diventate madri. Avevo dovuto spiegarlo a mia figlia, sostenendo che si trattava di una buona cosa, perché in questo modo potevo guadagnare il denaro che si serviva. Le madri sole era orribilmente stigmatizzate dalla società all’epoca. E la brutale verità sulle ragazze incinta non sposate, che venivano rinchiuse in istituzioni religiose e costrette in schiavitù è stata rivelata solo anni dopo. Lo Stato e la Chiesa andavano a braccetto in questa materia.

L’Irlanda sta iniziando a cambiare. Siamo entrati a far parte dell’Unione Europea. La nostra situazione economica, che è stata molto difficile negli scorsi decenni, ha lentamente iniziato a migliorare. Gli irlandesi hanno iniziato a uscire dal Paese non per andare a lavorare all’estero: vanno in vacanza e verificano che la vita può essere diversa altrove. E quelli che non vanno all’estero guardano la TV.

Nel 1983 la Chiesa ha ottenuto quello che voleva. L’ottavo emendamento alla Costituzione irlandese ha messo sullo stesso piano il diritto alla vita dei “non nati” e delle donne, sulla base di un referendum concluso con una maggioranza del 67%. Il che significa che almeno una parte delle donne era d’accordo con quella legge…

L’Irlanda, anche se aveva iniziato a cambiare, era comunque un Paese profondamente cattolico. La Chiesa aveva una forte influenza sulle scuole e la sanità. Per migliaia di persone non aveva smesso di essere un’autorità in materia di sessualità. Quindi sì, molte donne effettivamente votarono in quel referendum contro il diritto a interrompere la gravidanza. Tuttavia, sono convinta che se il referendum si fosse tenuto 20 anni prima l’emendamento sarebbe stato approvato non con il 67% dei voti ma con oltre l’80%. Il fatto che più di un terzo dei votanti si sia opposto alla Chiesa è stata la dimostrazione che nella nostra società erano in corso grandi cambiamenti.

L’ottavo emendamento è stato in vigore per circa 40 anni. È stato abrogato con un referendum nel 2018.

Durante quel periodo il movimento di liberazione delle donne è stato attivo, visibile, ha combattuto e ha vinto. Nel 1990 abbiamo eletto come presidente della Repubblica Mary Robinson, un’avvocata, sostenitrice del diritto all’aborto e dei diritti della comunità LGBT. Questi due movimenti, donne e LGBT, sono cresciuti, hanno lottato e maturato insieme in Irlanda.

Un altro referendum sull’aborto è stato tenuto nel 1992. Purtroppo, la motivazione della sua convocazione è stata una tragedia: una ragazza di 14 anni era stata stuprata da un amico di famiglia e le era stato impedito di recarsi in Gran Bretagna per abortire. Alla fine la gravidanza terminò con un’interruzione non volontaria. Al referendum avevamo tre domande: 1) una donna dovrebbe ricevere informazioni sulla possibilità di abortire all’estero? 2) dovrebbe essere possibile viaggiare liberamente allo scopo di abortire? 3) il rischio che una donna si suicidi costituisce una minaccia alla salute della madre (e quindi giustifica l’aborto)? E la risposta fu affermativa a tutte e tre le domande.

Fu un cambiamento di grade importanza. Fu ufficialmente riconosciuto che gli aborti venivano comunque praticati nonostante il divieto.

Questa consapevolezza non c’era anche prima? Nessun aborto sotterraneo?

Non realmente. Molto tempo fa, negli anni venti e trenta, nei retrobottega dei negozi e delle farmacie, le donne potevano comprare vari “rimedi” per procurarsi un aborto. Nel 1967 entrò in vigore il British Abortion Act. Negli anni settanta le donne che volevano interrompere la gravidanza andavano in Gran Bretagna. Ovviamente non tutte potevano permetterselo o perché non avevano soldi o perché sono sapevano a chi lasciare i figli mentre erano via… Partorivano e cercavano di crescere come meglio potevano i loro figli. C’è un grande silenzio intorno a queste donne, un silenzio che non può essere colmato.

Un altro fattore ha contribuito al cambiamento di mentalità: il neoliberalismo irlandese. L’antica convinzione che Dio ci guarda e provvede a tutto si è dissolta. La società si è secolarizzata e contemporaneamante la Chiesa ha fatto una specie di harakiri con tutta la serie di scandali relativi agli abusi sessuali ai danni dei bambini da parte dei preti, che hanno smascherato prete dopo prete dopo prete… è stato un grande shock. La Chiesa non è stato più in grado di imporre la sua autorità.

Anche in Polonia la Chiesa è gomito a gomito con politici compiacenti che approvano leggi che vietano l’aborto. Nel dibattito pubblico in Parlamento si è spesso comparata la Polonia con l’Irlanda con l’auspicio che si possa far crollare la Chiesa cattolica anche qua.

Se osserviamo da vicino la traiettoria dei movimenti delle donne in entrambi i Paesi si possono vedere più differenze che somiglianze. Quando le polacche vanno in strada combattono per i diritti che le loro madri e nonne avevano. Noi rivendicavamo un diritto che non avevamo mai avuto. La Chiesa cattolica in Polonia ha assunto l’attuale posizione riempiendo il vuoto creatosi dopo il crollo del socialismo reale. Non solo non cade, ma è riuscita a riempire questo vuoto con i suoi concetti. Ha ancora alleati compiacenti nei politici di estrema destra.

La battaglia sarà più dura per noi?

Potrebbe esserlo, ma potrebbe anche non esserlo. La cosa più importante è non mollare. Le donne non devono disertare le strade. Devono essere sempre visibili e continuare a ripetere: noi restiamo finché voi non ve ne andate! Il movimento di massa è l’unica forza che può effettivamente fare qualcosa. Il Parlamento Europeo dice le cose giuste ma non ha alcun potere reale. La Commissione Europea non è né coraggiosa né davvero interessata ai temi della sessualità o dell’uguaglianza di genere.

In Irlanda, negli anni duemila, la società si è convinta della necessità di abrogare l’ottavo emendamento. Sfortunamente, prima di questi cambiamenti giuridici, si era verificata un’altra tragedia…

Nel 2012, Savita Halappanavar, di 31 anni, morì di setticemia. Se non le fosse stato negato l’aborto sarebbe viva.

Questo caso fu uno shock in Irlanda. Era morta una donna che era venuta a vivere e lavorare con noi e che, se fosse rimasta nella nativa India, avrebbe potuto interrompere la gravidanza. Le nostre leggi l’avevano uccisa. Fu un’autentica vergogna.

In quel periodo stavamo conducendo una campagna in Irlanda per il matrimonio tra persone dello stesso sesso. Io lavoravo a quella campagna e dissi che se avessimo vinto la battaglia per il matrimonio tra persone dello stesso sesso avremmo vinto anche quella per il diritto all’aborto.

C’è probabilmente un’altra differenza tra Polonia e Irlanda se era più facile reclamare i diritti delle persone LGBT che quelli delle donne.

Era proprio così! Combattendo per il diritto al matrimonio, le coppie lesbiche e gay dicevano alla maggioranza eterosessuale: vogliamo essere come voi! Combattiamo per qualcosa che è largamente accettata. Non legale, ma super-legale. Parliamo di amore, di bisogno di stabilità, cura dei figli, sicurezza.

Quando ci si batte per il diritto all’aborto la situazione è diversa. Implica parlare non di cose belle e piacevoli, ma di cose alle quali le persone non vogliono pensare. Gli uomini non intendono parlare di aborto. E le donne… capiscono che capiti di essere incinta ma di non voler o non poter portare a termine la gradidanza, ma nemmeno loro vogliono pensarci.

C’è tutta una fraseologia creata dalla Chiesa: aborto = omicidio, distruzione della vita… Quindi l’argomento era così difficile per noi che anche alcuni attivisti che hanno partecipato alla campagna prima del referendum che ha finalmente abolito l’ottavo emendamento hanno detto: io sono per il diritto all’aborto per tutti ma non mi piace! Abbiamo dovuto essere molto cauti e pensare attentamente al linguaggio usato. Anche l’ala di sinistra radicale del movimento. Dopo tutto non si trattava di vincere in qualche dibattito ideologico o di parlare a quelli che erano già convinti, ma di dare avvio a un grande cambiamento sociale.

Partivamo dalla nostra esperienza personale, cercando ciò che poteva unirci. Continuavamo a ripetere che combattevamo per tutti, per i diritti personali, per quelli delle figlie, delle nipoti o delle donne che possono averne bisogno. Sottolinevamo che l’aborto è una questione di giustizia e di diritti umani. Dicevamo che dando alle donne il diritto di prendere decisioni, lo Stato dimostra di avere a cuore l’uguaglianza, ma anche di essere uno Stato umano e dignitoso.

Anche in Polonia la Chiesa è stata discreditata da una serie di scandali, ma combatte contro il movimento delle donne e adopera parole molto aggressive contro gli oppositori. In Irlanda accadeva la stessa cosa?

La Chiesa si è battuta per vietare l’aborto negli anni ottanta e poi ha condotto delle campagne prima del referendum del 1992 e nel 2002. Nel 2018 ha lasciato perdere. L’arcivescovo non ha più detto una parola. Però ci sono state organizzazione anti-abortiste che hanno affermato che l’aborto è il male assoluto. La Chiesa ha compreso che le persone non le prestano più ascolto ma decidono per se stesse. Idem con la contraccezione, che è anch’essa un peccato e tuttavia è usata dalle donne sia in Irlanda sia in Polonia. Nel 2018 la Chiesa in Irlanda non era più una forza politica, ma ho l’impressione che in Polonia lo sia ancora. Tuttavia, questo non significa necessariamente che le donne polacche dovranno ancora lottare a lungo per i loro diritti. In Argentina la Chiesa non è crollata come in Irlanda, ma non è riuscita a fermare l’introduzione di una legge che legalizza l’aborto. La cosa più importante è che il movimento delle donne non si arrenda, che torni in piazza, difenda nuovi diritti e quelli che sono già stati conquistati una volta. Questi diritti non vengono concessi per sempre e possono essere revocati.

Io credo che la lotta delle donne in Polonia abbia un’ulteriore dimensione: è una sfida all’estrema destra e alla destra di governo le cui azioni vengono osservate dalle destre in altri Paesi, che ne traggono ispirazione. Le donne e gli uomini che rifiutano la visione delle destre non devono consentire che essa abbia successo a livello internazionale. Le polacche meritano solidarietà internazionale e un governo che invia una polizia brutale contro le marce delle donne o che tollera che ci siano luoghi nei quali “le persone LGBT non sono benevenute” deve essere condannato. E se il governo ignora la voce della piazza, le donne devono rispondere: ignoreremo la vostra legge, troveremo il modo di prenderci gioco delle vostre leggi. Combatteremo a ogni livello.

Sta già accadendo. Il Dream Team per l’aborto funziona, con gli attivisti che aiutano a organizzare i viaggi all’estero per la procedura. Ci sono gruppi che aiutano a raccogliere i fondi necessari per l’aborto farmacologico. Le donne sembrano essere consapevoli che solo l’auto-organizzazione e la solidarietà ci possono salvare, perché il governo non intende intraprendere alcun dialogo con chi protesta, anche se sono stati migliaia nelle piazze e secondo i sondaggi il 70% delle persone sta con le donne.

Queste iniziative delle donne sono meravigliose. Però l’argomento dev’essere affermato a voce più alta. Una discussione sull’aborto a livello europeo dovrebbe essere collegata a una discussione sulla nostra democrazia. Il diritto a interrompere la gravidanza ha a che fare con chi ha il diritto di controllare la vita delle donne, cioè se la donna ha il diritto di decidere o se ci sono alcuni gruppi che hanno il diritto di controllarle.

La battaglia contro l’aborto non è una battaglia per la moralità, perché la Chiesa è una delle istituzioni più immorali, amorali e ipocrite. È una lotta per istituire una società autoritaria.

Hai l’impressione che la destra autoritaria stia solo guadagnando dalla pandemia, mentre la sinistra è costantemente sulla difensiva? È la destra che raccoglie l’ansia sociale, e la sinistra nella migliore delle ipotesi sta dicendo: “è ora di trovare un’alternativa al capitalismo neoliberista”, ammesso che sia abbastanza coraggiosa da sfidare le regole capitaliste. Non stiamo passando dall’inventare all’agire mentre la destra si rivolge a nuovi seguaci.

Certamente! In Irlanda, i movimenti di estrema destra fanno ancora registrare numeri bassi, ma stanno guadagnando nuovi sostegni. La pandemia e l’ondata di disoccupazione hanno causato maggiore ansia, depressione e propensione ad ascoltare le proposte della destra. Questa è una delle ragioni per le quali sono coinvolta nella creazione di Le Cheile, una piattaforma creata dalla sinistra per contrastare l’estrema destra. Ma so che non è sufficiente. Le persone hanno bisogno di conoscere le nostre opinioni, la nostra proposta alternativa e hanno necessità di sentire che ciò che la destra propone sono slogan e non risolverà i problemi con le proprie idee estremiste, mentre noi sappiamo come salvare posti di lavoro. Dobbiamo essere più intelligenti e più determinati a sinistra e dobbiamo sapere come parlare alle persone che soffrono la crisi. La lotta per i diritti delle donne si intreccia con questa lotta, perché la crisi sta distruggendo interi settori in cui lavoravano donne e giovani: vendita al dettaglio, gastronomia e turismo.

In un’intervista hai detto che sogni un mondo basato su una struttura autenticamente egualitaria, che sei orgogliosa di descrivere te stessa come un’“attivista”. Qual è la chiave che rende questo attivismo – che io condivido – proficuo?

È difficile dare ricette universali e penso che sarebbe perfino controproducente dare consigli alle donne che combattono in Polonia dalla prospettiva della mia esperienza irlandese! Però sono dicura di alcune cose. Sono profondamente radicata nella tradizione femminista, provengo da lì, ma sostengo che non dovresti essere un’attivista se perdi di vista significati e connessioni globali. Perché ci sono sempre molti problemi da risolvere che non sono separati l’uno dall’altro. Nel mio caso c’è qualcosa per cui lottare in Irlanda: c’è il trattamento scandaloso dei rifugiati che vengono sull’isola, la questione degli alloggi trascurati, la situazione delle persone anziane – e qui parlo anche di me stessa – che sono state praticamente abbandonate dalla pandemia.

Contemporaneamente devi anche parlare alle persone in modo che sappiano che ciò che dici è autentico, ha a che fare con la tua e la loro vita. Durante la campagna abbiamo cercato di comunicare in quel modo: cosa faresti (stavamo parlando agli indecisi) se tua figlia non avesse accesso ad un aborto? Se tuo nipote fosse gay e non riuscisse a sposarsi? Abbiamo incoraggiato le persone a pensare a se stesse, trasformando questo pensiero in comprensione e solidarietà per gli altri.

L’attivismo è un lavoro sul campo, con le persone, per strada. I social media sono fantastici, ma sono come un pezzo di carta e una penna! Aiutano ad organizzarsi, ma sono più importanti i grandi movimenti di massa. I social media possono essere uno strumento per noi, ma sono le persone che vanno in massa in Parlamento a far tremare i governi e li costringono ad arrendersi alla volontà del popolo.

Credi che riusciremo a creare questo mondo più egualitario e salveremo il pianeta e noi stessi dalla distruzione?

Non lo so. Ma sarebbe codardo e irresponsabile non lottare per questo. So che non convincerò tutti e non cambierò la natura di tutte le persone… ma personalmente non potrei non oppormi a sistemi e strutture che portano alla morte e alla distruzione. Più che posso. C’è troppo in gioco.


Ailbhe Smyth ha co-fondato la Coalition to Repeal the 8th Amendment nel 2013, un’ampia piattaforma della società civile per lottare per la rimozione del divieto quasi totale di aborto inserito nella Costituzione irlandese nel 1983. La Coalizione è diventata una delle tre pilastri dell’iniziativa Insieme per il Sì che ha guidato la campagna referendaria nazionale per l’abrogazione dell’8 ° emendamento e del diritto all’aborto, condotta nel 2018. Il referendum è stato condotto da un’ampia maggioranza del 67% in una delle più alte affluenza al referendum di sempre in Irlanda. Ailbhe ha anche svolto un ruolo centrale nella vittoriosa campagna referendaria per l’uguaglianza dei matrimoni tra lesbiche e gay nel 2015. Era una accademica senior presso l’University College di Dublino, dove Ailbhe era a capo dei Women’s Studies. È stata ampiamente pubblicata su femminismo, politica e cultura.

È stata una delle ospiti del webinar Our Bodies – Our Choice – Our Decisions del 4 marzo 2021

aborto, democrazia, Irlanda, Polonia
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