«La Palestina deve essere governata dai palestinesi. È nostro dovere fermare il genocidio e difendere il diritto internazionale»
Giurista e accademico, Giorgos Katrougalos è professore di diritto pubblico all’Università Democrito della Tracia, figura di primo piano di SYRIZA, è stato ministro delle Riforme Amministrative, del Lavoro e infine degli Esteri, contribuendo a momenti chiave come la ratifica dell’Accordo di Prespa. A livello europeo è stato deputato al Parlamento di Strasburgo e, più recentemente, presidente del gruppo Unified European Left presso il Consiglio d’Europa (marzo 2022, ottobre 2023), rafforzando i legami tra le sinistre del continente. Dal 2024 è Esperto indipendente delle Nazioni Unite per la promozione di un ordine internazionale democratico ed equo, ruolo in cui promuove il multilateralismo, i diritti sociali e il rispetto della Carta ONU.
Lo abbiamo incontrato a Roma, a margine di un evento dedicato alla Palestina e alla solidarietà internazionale, per discutere del riconoscimento dello Stato palestinese, del ruolo dei BRICS e della crisi di credibilità dell’Europa.
HM: Professor Katrougalos, 157 Paesi ormai riconoscono la Palestina e la Dichiarazione di New York ha ricevuto 142 voti favorevoli. Eppure il Consiglio di Sicurezza resta paralizzato dal veto statunitense. Allo stesso tempo, società civile ed esperti hanno lanciato appelli e petizioni sulla base della risoluzione Uniting for Peace. Solo poche settimane fa, 48 esperti ONU, compreso lei, hanno firmato un appello di questo tipo. Queste iniziative possono giocare un ruolo significativo nel sostenere un’azione diplomatica più ampia, anche se alcuni le liquidano come meramente simboliche?
GK: È vero che il Consiglio di Sicurezza è in stallo, ma le Nazioni Unite sono molto più di questo: sono anche la Corte Internazionale di Giustizia, che l’anno scorso ha emesso la sua storica opinione sull’occupazione illegale e continua della Palestina da parte di Israele, è l’UNRWA, è l’Assemblea Generale, che ha adottato numerose risoluzioni quasi sempre con un sostegno schiacciante, tranne che da Stati Uniti e Israele. Ciò che conta di più, però, è l’interconnessione dialettica tra diplomazia ufficiale e “diplomazia dei popoli”: la mobilitazione di massa contro il genocidio, per il diritto all’autodeterminazione dei palestinesi. È la combinazione delle risoluzioni dell’Assemblea Generale, dei rapporti di Francesca Albanese, della flottiglia, delle petizioni e della nostra presenza qui: insieme formano un processo di pressione.
È stata proprio la mobilitazione popolare ad aiutare a porre fine alla guerra in Vietnam e ad abbattere l’apartheid in Sudafrica, lo vediamo anche oggi: la solidarietà degli artisti, i portuali che bloccano le spedizioni di armi verso Israele, la partecipazione del pubblico a eventi come questo. Tutto questo crea un’enorme pressione sui governi europei, costringendoli a rivedere le loro posizioni. Ecco perché molti Paesi europei hanno deciso di riconoscere lo Stato di Palestina. Dopo lo sciopero generale del 22, persino il governo italiano è stato costretto a inviare una nave in supporto della flottiglia. La vostra presenza qui conta: ogni gesto della società civile aumenta la pressione sui governi perché rispettino il diritto internazionale.
HM: La Palestina ha appena presentato domanda di adesione ai BRICS e il vertice della SCO a Tianjin si è concluso solo pochi giorni fa. In alcune narrazioni occidentali questi forum vengono descritti come tentativi di costruire un nuovo ordine mondiale. Nel caso palestinese, non si tratta piuttosto di uno sforzo per rafforzare il diritto internazionale, là dove il sistema ONU resta bloccato?
GK: Il diritto internazionale e la Carta dei Diritti Umani sono minacciati non solo dal genocidio a Gaza, ma anche dall’unilateralismo della nuova amministrazione statunitense. Trump ha ritirato gli Stati Uniti dall’Accordo di Parigi, dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, dal Consiglio per i Diritti Umani, e l’elenco potrebbe continuare. Se vogliamo difendere il diritto internazionale, dobbiamo difendere il sistema ONU e democratizzarlo ulteriormente. Oggi la Cina e i BRICS agiscono come forza stabilizzatrice di quel sistema.
L’ordine internazionale non è più bipolare, come durante la Guerra Fredda. La Cina non sta cercando di costruire un’alleanza militare contro l’Occidente, si consideri che Egitto ed Emirati Arabi Uniti, due stretti alleati degli Stati Uniti, sono ora membri dei BRICS. I BRICS rappresentano un tentativo di promuovere la cooperazione economica all’interno del quadro del diritto internazionale stabilito dalle Nazioni Unite. La potenziale inclusione della Palestina non farebbe che rafforzare la difesa dei diritti del popolo palestinese.
Naturalmente, la conditio sine qua non è la realizzazione del diritto all’autodeterminazione del popolo palestinese. L’obiettivo immediato è fermare il genocidio, quello ultimo è la creazione di uno Stato palestinese indipendente.
HM: Oltre al simbolismo, i BRICS e la SCO forniscono anche strumenti pratici, dalla Nuova Banca di Sviluppo a forme intermedie di partecipazione come lo status di osservatore o di partner. Per la Palestina, che affronta il collasso economico a Gaza e l’urgenza della ricostruzione, questi strumenti potrebbero essere vitali. Tali percorsi possono aiutare a rafforzare sia la sua legittimità internazionale sia la sua resilienza?
GK: Le relazioni economiche promosse dai BRICS e dalla Cina sono radicalmente diverse da quelle imposte dal Fondo Monetario Internazionale. L’FMI ha costantemente spinto i Paesi in crisi ad adottare misure di austerità e il programma neoliberale del cosiddetto Washington Consensus. La Cina, e i BRICS in generale, non impongono tali condizionalità. Il loro sostegno si inserisce in un quadro di mutuo beneficio.
Non ho dubbi che, se ammessa, la Palestina sarebbe trattata nello stesso spirito. Tuttavia, siamo ancora lontani da quel risultato: al momento esiste solo la richiesta formale dell’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) e il riconoscimento internazionale della Palestina non è ancora universale. Nel frattempo, i nostri governi europei continuano a vendere armi a Israele e le poche sanzioni contro i coloni sono ben lontane dall’essere sufficienti. È nostro dovere continuare a fare pressione per fermare la catastrofe umanitaria in corso a Gaza.
HM: L’UE si è sempre presentata come guardiana del diritto internazionale, ma oggi appare divisa e titubante: alcuni Paesi hanno riconosciuto la Palestina, altri no. Dal suo punto di vista di ex ministro degli Esteri e oggi esperto ONU, come interpreta questa perdita di credibilità? E l’Europa ha ancora un ruolo da giocare?
GK: Ci troviamo di fronte a un duplice problema. Il primo riguarda l’Occidente, o quello che oggi viene chiamato Nord Globale, che applica doppi standard. Il diritto internazionale è stato fatto valere nel caso dell’Ucraina, ma non in quello di Israele. Il Sud Globale lo vede chiaramente. Il Procuratore della Corte Internazionale di Giustizia ha persino raccontato che funzionari occidentali gli hanno detto: “Hai frainteso, la tua Corte non è per l’Occidente, è per l’Africa e per Putin.”
Il secondo problema è specifico dell’Europa. Come diceva Juncker: “In Europa ci sono due tipi di Stati, piccoli Stati e Stati che non hanno ancora capito di essere piccoli.” Se l’Europa vuole contare, deve smettere di essere semplicemente un’estensione della politica estera statunitense e cominciare a parlare con la propria voce in difesa del diritto internazionale e dei diritti umani.
Eppure, persino di fronte a Trump e alla sua chiara determinazione a sovvertire l’ordine internazionale basato sull’ONU, la leadership europea è diventata più sottomessa. Il Segretario Generale della NATO lo ha persino chiamato “Daddy”. Molti leader europei hanno creduto che adulare Trump avrebbe portato vantaggi, ma non è questa la via per l’Europa.
HM: L’Autorità Nazionale Palestinese ha presentato la richiesta di adesione ai BRICS, riaffermando così il proprio ruolo come interlocutore politico internazionale. Pensa che questo passo possa contribuire non solo a rafforzare la rappresentanza esterna della Palestina, ma anche a riequilibrare il suo quadro politico interno?
GK: La Palestina deve essere governata dai palestinesi, questa è l’essenza del diritto all’autodeterminazione. L’ANP svolge un ruolo centrale nell’attuazione di questo diritto. È quindi essenziale rafforzarne la legittimità democratica e il legame con l’intero popolo palestinese. È nostro dovere opporci a qualsiasi piano di “pace” che sia in palese violazione del diritto internazionale, come il progetto “Gaza Riviera” e la deportazione di massa dei palestinesi.
Herta Manenti
