Mi fa piacere che nell’articolo di Nicoletta Pirotta Il fascino discreto della guerra pubblicato nel numero di transform!Italia della scorsa settimana, si sia usato uno sguardo psicologico per analizzare la guerra. Già le parole del titolo, dilemmi e fascino associate al tema guerra costituiscono un invito alla demistificazione, all’assunzione delle ambivalenze e all’approfondimento in termini psicologici.
Allora aggiungo un piccolo contributo di riflessione a partire dalla mia pratica clinica; non posso che partire dall’esperienza soggettiva, come suggerisce la pratica femminista del partire da sé.
Prima, amara, constatazione: nell’immaginario attuale la cruda realtà distruttrice prevale sulla fantasia creatrice (nella teoria pulsionale freudiana delle pulsioni di vita in contrasto con le pulsioni di morte, queste ultime prevalgono nelle guerre ma sono presenti anche nel mondo psichico interno) Nell’articolo di cui sopra, facendo riferimento a Emilio Masina, si chiama in causa il meccanismo della rimozione – intrinseco alle dinamiche inconsce presenti a livello sia individuale sia collettivo – per cercare di arginare o eludere l’angoscia.
Altre domande mi pongo io: come tollerare la distruttività di questa guerra – e di tutte le altre di cui si parla meno – senza ricadere nel noto della coazione a ripetere del pensiero stesso e senza farsi sopraffare dal senso di impotenza e di disperazione? Come restituire alla morte il posto che le spetta in rapporto con la vita perché questa sia più sopportabile?
Domande che quotidianamente lascio emergere durante le sedute, ora più pregne di angoscia, insieme al tentativo di mitigare il terrore senza nome che assume nello scenario psichico – e si manifesta anche nel mondo onirico – la forma di questa guerra.
L’angoscia, quando viene espressa e condivisa, può diventare protettiva della psiche individuale in quanto assume una finalità, più che adattiva, comunicativa e pensata.
Tuttavia le opinioni, espresse e supportate, anche quando si formano dalla controinformazione, da studi, dalla memoria storica e soggettiva – opinioni che, appunto, prendono le distanze dalla disinformazione strumentale della maggioranza dei media – non bastano alla psiche quando unǝ solǝ bambinǝ, di guerra muore…
È straziante per tutt* vedere immagini di distruzione e massacri. Come riuscire a pensare la fine del massacro ? E come smascherare la retorica di guerra?
Spesso si fugge da un abisso vertiginoso che spaventa ed inquieta rimuovendo o rifugiandosi nel chiuso rassicurante del noto.
Allora che fare? Rompere, demistificare e trasformare con gesti simbolici e mobilitazioni collettive. Le donne con una pratica femminista alle spalle già lo fanno. È necessario, più che mai, continuare le lotte con un impegno soggettivo e plurale e al tempo stesso porsi domande (anche scomode) che non danno nulla per scontato.
In sintesi e in linea con le riflessioni proposte nell’articolo mi sento di asserire: continuiamo come femministe a contrastare il pensiero che origina le atrocità della guerra, cioè il pensiero mortifero che vi è sotteso: interrompiamo la “coazione a ripetere” delle logiche competitive/guerresche peculiari delle persistenti forme di dominio. Se entriamo nel campo del paradigma psicoanalitico, e qui faccio solo un breve accenno, ci sarebbe un gran lavoro da continuare anche su noi stesse: canalizzare la pulsione aggressiva (vedi La donna non aggressiva di Margarete Mitscherlich) in modo “sano” e generativo. Si può fare. Mi viene in mente la pratica dell’inconscio del primo femminismo, diffusa nei gruppi di autocoscienza in area milanese da Lea Melandri. Perchè non riprenderla?
Sul versante degli approfondimenti trovo ancora utile la lettura del carteggio tra Freud e Einstein in: Perché la guerra?, 1932.
Oltre Freud (pur riconoscendo la potenzialità dell’inconscio): oltrepassare il dualismo pulsionale e le logiche binarie ancora persistenti: demistificare e smascherare l’arcaico patriarcato per promuovere “identificazioni” altre; assumere e diffondere nuove forme di pensiero fertili, a partire dalle pratiche femministe e libertarie.
Mi fermo, per ora, ma tornerò a riflettere sull’articolo di Nicoletta per le suggestioni che suscita.
Rita Fiorani, psicoterapeuta e femminista