Così come avevano auspicato Guido Carli e Giuliano Amato e previsto, da posizioni opposte alle loro, Lucio Magri e Pietro Ingrao, la UE si è andata costruendo secondo un modello anomalo e unico, assolutamente post democratico. Una sorta di intreccio tra tecnocrazie e intergovernativismo che persegue la doppia missione di bypassare gli ordinamenti statuali e, soprattutto, democratici e di costruire una economia sociale di mercato dove il soggetto forte è il mercato e non la società.
Giuliano Amato scriveva che occorreva procedere a colpi di fatto per sottrarre potere agli Stati ricorrendo ad una sorta di ordinamento medievalista. Guido Carli parlava esplicitamente di un cambio di mission, dal sociale al mercato, che era la ragione della UE e che chiamava modifiche strutturali ed unilaterali del vecchio compromesso sociale. D’altronde l’attuale premier italiano, Mario Draghi, nelle vesti di presidente della Banca Centrale Europea (Bce) parlò di esaurimento del modello sociale europeo e di bisogno di ridefinire le Costituzioni europee troppo “socialiste” parlò la JP Morgan.
A 30 anni da Maastricht questo percorso è stato largamente consolidato usando le crisi per produrre fatti “costituenti”. Nel 2008 l’austerità. Oggi la ristrutturazione capitalistica. Purtroppo la lucidità di analisi che si riscontrava in entrambi i fronti, quello dei Carli, Amato, Ciampi, Draghi e quello, opposto, di Magri, Ingrao non ha visto una analogia di forze mettersi in campo. Le borghesie nazionali hanno raggiunto una sorta di tregua armata affidando al prevalente ordoliberalismo tedesco la guida della “lotta di classe rovesciata” che le ha tenute unite. Le sinistre socialiste hanno scelto di far parte in forme del tutto subalterne e compromesse del cambio di paradigma. Le sinistre alternative hanno faticato a stare in campo a questo livello dello scontro. Innanzitutto per la difficoltà del movimento operaio di ripensarsi in questa dimensione. Cosa cui non ha potuto supplire quel movimento alterglobalista che pure ha conosciuto una intensa stagione europea. Poi per la divisione tra improbabili piani di exit, che somigliano purtroppo ad un esodo dal conflitto sul terreno del capitalismo reale, e le difficoltà a cimentarsi con questo terreno. Una difficoltà sul terreno sociale ma anche su quello politico. Non c’è stato ad esempio quel conflitto, che bisognerebbe innestare, contro l’intreccio tra intergovernativismo e tecnocrazie, in nome del parlamentarismo e della democrazia. L’intreccio di governance di cui è fatta la UE svuota la democrazia rappresentativa dall’alto e dal basso, dai livelli UE e dai livelli nazionali. Le funzioni di governo sussumono quelle di rappresentanza e l’esecutivo fagocita i legislativi. Pensare che ciò sia per un sovrapporsi della UE agli Stati e pensare di cavalcare la contraddizione tra l’una e gli altri significa non cogliere le dinamiche, gli intrecci, i cambi di paradigma e condannarsi ad una doppia sconfitta, a livello UE e Stato per Stato. Significa accettare di correre dietro il cavallo ruffiano del “conflitto” tra europeismo ed antieuropeismo non accorgendosi del loro essere due facce della stessa medaglia. Significa perdere contro tutte e due le destre in campo.
La dimensione europea dei conflitti e dell’agire sociale è ciò che serve.
Come serve una dimensione europea della politica.
Ma serve anche una proposta democratica, una “teoria dello Stato” della dimensione europea. Di fronte alla “mostruosità” costruita non c’è la via di fuga dal labirinto, ma la uccisione del mostro e la liberazione. Il filo di Arianna della democrazia e del parlamentarismo può tornare prezioso. Una Comunità Europea che si fondi su una cittadinanza aperta costituzionalizzata e pratichi una democrazia interparlamentare multilivello. Cosa per altro necessaria anche ai livelli globali se vogliamo uscire dai labirinti dei Wto, dei Gqualcosa, degli Fmi ecc. Il Mondo potrebbe rappresentarsi e governarsi per Parlamenti continentali. E l’Europa potrebbe fare da pilota.
L’esistenza di un Parlamento europeo eletto a suffragio universale non è infatti poca cosa. Spinelli, giustamente, partiva da lì. Ancora di più occorre farlo oggi che il parlamentarismo è aggredito dal governismo. Il Parlmento Europeo (PE), giustamente, si organizza non per Paesi ma per famiglie politiche che, per altro, sono più pluralistiche e “ideologiche” di quelle monoliberiste di molti Stati. Si dice che la funzione legislativa deve restare agli Stati perché lì sta la “sovranità”. Ormai è una finzione per far decidere tutto agli esecutivi. La funzione legislativa deve appartenere ai Parlamenti magari in esercizio congiunto. Si può pensare di rafforzare la rappresentatività del PE eleggendolo per liste europee (almeno in parte), di assegnarli pieni poteri legislativi in cofunzione con i parlamenti nazionali e non con gli esecutivi, Consiglio e Commissione, che oggi usurpano tale funzione ledendo la divisione dei poteri. Anzi gli esecutivi andrebbero eletti dai Parlamenti distinguendo anche le loro funzioni. Commissione come vero governo europeo eletto. Consiglio come espressione dei governi nazionali. Parlamento europeo e nazionale potrebbero dettare insieme indirizzi, regole per il bilancio e per la Bce. Possono lavorare insieme le Commissioni del PE e quelle dei Parlamenti nazionali. Con sessioni comuni delle plenarie per eleggere la Commissione o indirizzare il bilancio. Interparlamentarismo, multilivello ma, soprattutto, democrazia.