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Il war deal di Ursula Von Der Leyen

di Roberto
Musacchio

La prima votazione per la riconferma a presiedere il Parlamento Europeo di Metsola, del gruppo popolare e maltese, totalmente coinvolta nelle scelte belliche, è stata record. Un plebiscito trasversale ben oltre la maggioranza che la proponeva. La conferma che anche il nuovo PE, come il precedente, è arruolato nell’europeismo militare. Solo il gruppo The Left ha presentato una candidatura alternativa con Montero leader di Podemos, che lei si ha parlato di Pace. I Verdi che la scorsa legislatura contro Metsola avevano presentato una loro candidatura stavolta ci hanno rinunciato.

Giovedì toccherà a Ursula Von Der Leyen. Sarà lo stesso copione? Forse si, forse no. In queste ore frenetiche si accavallano notizie e “messaggi”. La notizia è che la Corte di giustizia europea le ha dato torto in un giudizio relativo alla trasparenza nei contratti in materia di vaccini. Cosa più volte sollevata da The Left. Poi c’è l’accavallarsi di passaggio formali e informali con Meloni e il gruppo ECR che portano il verde italiano Bonelli a minacciare il disimpegno.

A proposito di Ursula Von Der Leyen  in un’intervista ha detto  parole chiare il segretario della Fiom, Michele De Palma: quello di Von Der Leyen non è un green deal ma un war deal e le classi dirigenti di una Europa sul baratro dovrebbero invece che confermare se stesse dare un segno di discontinuità.

Leggo invece cose che indurrebbero a una dura polemica. Il già citato portavoce dei Verdi italiani che distingue il voto per la pace in ossequio al programma di AVS da quello che, dico ancora forse ma è solo una speranza, si apprestano a dare col gruppo verde al Parlamento Europeo alla Presidente della Commissione. Francamente come si faccia a distinguere la difesa della pace da un programma di una Presidente che è tutto fondato su guerra e riarmo è cosa che appunto mi fa arrabbiare. Come il considerare questa Presidente e la sua maggioranza un argine verso le destre, un equilibrio più avanzato. Sarebbe come votare in Francia Macron per arginare Le Pen. Si può dire, senza che venga considerato lesa maestà, che la possibilità che eletti della stessa lista votassero diversamente addirittura sulla Presidente della Commissione doveva essere ben chiaro in campagna elettorale?

Ma aldilà delle polemiche il punto è se ci sia coscienza delle condizioni in cui sta la UE e, purtroppo, le sinistre che la abitano.

Le nomine apicali proposte ne sono la punta dell’iceberg.

Di Von Der Leyen ho detto. Metsola alla Presidenza del Parlamento si è già distinta assai male nei dossier internazionali in particolare sulla Palestina. Kallas, estone, all’alta autorità per gli esteri va a peggiorare il quadro.

Appunto il quadro. È quello maturato in un lungo trentacinquennio da Maastricht, alla austerità, alla guerra. Un quadro che ha visto prendere corpo una forma di moderno ancien regime a struttura più neo feudale che democratica. Una iper fetazione di intergovernativismo cresciuta col metodo funzionalistico. In cui è la funzione che crea l’organo e la democrazia costituzionale è un retaggio del passato confinato in dimensioni statuali sempre più svuotate di legittimità popolare e reinterpretate in chiave governista e vassalla. È questa mostruosità che si cimenta da tempo nel ritagliarsi un ruolo di imperialismo vassallo di quello finanziario globalizzato che resta intoccabile. È questa dimensione, imperiale e vassalla, che ha sistematizzato il revisionismo storico sul ‘900, invertito il processo verso l’uguaglianza e il conflitto sociale a favore dell’alto, costituzionalizzato mercato e monetarismo, subordinato la politica alle multinazionali, prodotto doppi standard valoriali e comportamentali, creato caste burocratiche specializzate nelle sliding doors del potere. Per cui tra le nomine c’è anche un socialista portoghese che appena perse le elezioni nazionali va a presiedere il Consiglio Europeo.

Il sovversivismo dall’alto delle classi dirigenti si cela dietro un sedicente europeismo in realtà ormai connesso con i sovranismi nazionali. Che tali sono non solo quelli messi alla gogna, come l’Ungheria (al cui presidente Orban si rimprovera l’unica cosa che, magari ipocritamente, ha fatto di buono e cioè i colloqui per la pace e ci si spinge a chiedere di estrometterlo violando ogni trattato) ma i Polacchi dell’europeista Tusk in pieno riarmo e bellicismo. Per non parlare dei baltici.

La grande scommessa della mostruosità è in realtà quella antica dell’Europa delle Nazioni dei secoli precedenti e cioè fare in Russia quanto fatto in Jugoslavia. Non si può spiegare diversamente l’accanimento bellicista. Certo c’è un suprematismo occidentale che per alcuni versi è ormai  più marcato nella UE che negli stessi USA. L’azzardo a quattro mesi dalle elezioni USA è massimo. Ma Von Der Leyen si mostra col cipiglio di chi lo cerca. Si distingue dallo stesso cancelliere tedesco che esprime preoccupazioni per l’ennesima guerra commerciale alla Cina che va a minare una economia tedesca già in recessione. Ma il war deal è ormai in pista.

Certo a Von Der Leyen servono ancora i voti. In un Parlamento Europeo che ormai ha fatto proprio tutto l’armamentario retorico dovrebbe farcela. L’altra volta passò di poco. Stavolta dovrebbe aggiungere a popolari, socialisti e liberali i verdi ormai militarizzati. Con l’ECR, una delle tre destre, quella di Meloni, ci sarà non belligeranza, con nomine pesanti e dossier condivisi sui migranti? Probabile e lo vedremo.

Vota contro il gruppo The Left rafforzato numericamente e politicamente dai Cinquestelle. Se non saprà darsi un punto di vista altro sulla guerra però la Sinistra Europea rischia la marginalità. E le divisioni. D’altronde che sia la guerra a comandare lo conferma che il PE ha scelto di ricominciare su questo laddove aveva finito la precedente legislatura.

Roberto Musacchio

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