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Il tradimento dell’Occidente di Gorbaciov come preludio alla guerra in Ucraina

di Alessandro
Scassellati

Mikhail Gorbaciov è morto a 91 anni il 30 agosto 2022. Da allora, tanti elogi sono stati tributati dai leader occidentali, da Joe Biden a Henry Kissinger e Boris Johnson. Quelle lodi oscurano come l’Occidente abbia tradito Gorbaciov dopo la sua caduta dal potere, e come quel tradimento abbia creato le condizioni per il conflitto in Ucraina.

La storia è complicata perché la caduta di Gorbaciov è stata innescata dalla fazione più intransigente e conservatrice del Partito Comunista, quindi i problemi che hanno colpito la Russia in seguito sono anche dovuti in modo significativo alle azioni russe. Detto questo, Gorbaciov ha cercato di costruire una partnership per la pace, la prosperità e la democrazia. Dopo la sua caduta, l’Occidente ha rinnegato l’accordo che aveva fatto con lui con una stretta di mano.

Un omaggio alla visione ispiratrice della “casa comune europea” di Gorbaciov

Prima di passare ai dettagli di quel tradimento, è d’obbligo un omaggio a Gorbaciov. Gorbaciov ha cercato di trasformare l’Unione Sovietica da un sistema repressivo chiuso in un sistema socialista consultivo aperto che sarebbe stato parte della famiglia socialdemocratica europea. Tale aspirazione è stata descritta come glasnost (apertura) ed è stata promossa attraverso il movimento di ristrutturazione economica ed istituzionale della perestrojka.

Nel marzo 1985, quando Gorbaciov assunse la carica di segretario generale del Partito Comunista sovietico, la necessità di una riforma economica e politica dell’Unione Sovietica era innegabile. Eppure il suo programma domestico di perestroika e glasnost ha presto portato al caos. Ciò che ha distinto Gorbaciov dai precedenti leader sovietici è stato che ha avviato un processo di riforma e non ha poi tentato di invertirlo allorquando ne aveva perso il controllo. Ha continuato fino al punto di rassegnare le dimissioni con dignità quando il suo potere è svanito.

L’economia pianificata centralmente è stata presto dilaniata dalle forze di mercato. Gorbaciov dava l’impressione di ascoltare le masse e non era disposto a liberalizzare i prezzi controllati dallo Stato, a privatizzare l’industria e ad aprire l’economia sovietica a forze esterne così velocemente come volevano l’élite russa emergente o i consiglieri occidentali della destra di Eltsin. È stato ridicolizzato per aver cercato di “riformare” il comunismo quando avrebbe dovuto riconoscere che era morto. Ma, Gorbaciov ha cercato di mantenere una qualche forma di socialismo democratico, con un ruolo per l’intervento continuo del governo e una base di giustizia sociale. C’erano una varietà di strade per lo sviluppo della liberal-democrazia e l’introduzione di un’economia di mercato, e la sua opinione secondo cui il processo sarebbe dovuto essere fatto gradualmente era legittima e onorevole.

La stabilità del sistema sovietico si basava ancora in parte sulla repressione, ma anche sulla sua capacità di fornire un ambiente materiale sicuro per la stragrande maggioranza e un tenore di vita in lento miglioramento. Gran parte di questa capacità è stata pagata dall’esportazione di abbondanti riserve di petrolio e gas e avrebbe potuto continuare sotto Gorbaciov per altri 10 o 20 anni. Non c’era alcuna urgenza assoluta per il processo di perestrojka che aveva avviato. Il sistema non era efficiente come avrebbe dovuto essere e i cittadini sovietici non erano felici, come affermava la propaganda. Ma, non erano nemmeno sull’orlo della rivolta. Cinque anni dopo il crollo sovietico, il 40% degli elettori russi era ancora disposto a sostenere il candidato del Partito Comunista alle elezioni presidenziali del 1996.

Però, attraverso il “libero dibattito“, le idee antisocialiste, nazionaliste e finanche reazionarie hanno guadagnato popolarità. Il Partito Comunista Sovietico era decisamente mal equipaggiato per contrastarle efficacemente. Quando l’economia è crollata, i servizi pubblici sono crollati e le repubbliche costituenti dell’Unione Sovietica si sono mosse verso la separazione, molti milioni di cittadini sono scivolati nella povertà. L’aspettativa di vita media in Russia ha subito il calo più grande di qualsiasi nazione nella storia moderna. Ecco un primo motivo per cui Gorbaciov non è mai stato troppo rimpianto nel suo Paese.

Eppure le riforme politiche di Gorbaciov furono straordinariamente audaci. La glasnost, sostenuta da Gorbaciov fin dall’inizio della sua leadership, si è trasformata, con la sua benedizione, in libertà di parola e, sempre più, di pubblicazione. Nel 1989, le opere letterarie, il cui stesso possesso in edizioni clandestine o straniere era stato un reato penale, furono pubblicate a Mosca in enormi tirature, tra cui 1984 di George Orwell e persino L’arcipelago gulag di Aleksandr Solzhenitsyn. I dissidenti furono rilasciati dalle prigioni e ritornarono dall’esilio e fu ravviata la riabilitazione di coloro che in passato erano stati ingiustamente repressi (iniziata sotto Nikita Krusciov e poi abbandonata da Leonid Breznev tra il 1964 e il 1982). Gorbaciov ha incoraggiato una nuova libertà di comunicazione attraverso le frontiere. Ciò includeva la fine del blocco delle trasmissioni straniere e uno sviluppo della libertà di viaggio e di emigrazione.

Nel marzo 1989 si sono tenute le prime libere elezioni per un nuovo parlamento sovietico, o Congresso dei Deputati del Popolo, con poteri reali che hanno segnato la fine del “centralismo democratico“, poiché due terzi dei membri potevano competere l’uno contro l’altro su piattaforme politiche fondamentalmente diverse. Questo è stato solo un primo passo nella democratizzazione (le vecchie restrizioni alla libertà di riunione e di parola sono state revocate), ma dopo di esso l’Unione Sovietica non poteva più essere la stessa.

Questo è stato il momento in cui la “rivoluzione dall’alto” di Gorbaciov si è trasformata in una “rivoluzione dal basso“, quando migliaia di persone sono scese in piazza. Almeno 30 membri di alto livello del partito non sono riusciti a essere eletti. Il nuovo Congresso, quando si è riunito a maggio, ha prodotto dibattiti straordinari. Furono eletti numerosi indipendenti e diversi anticomunisti, come il fisico dissidente Andrei Sakharov. Per due settimane, le persone sono rimaste incollate ai loro televisori, ascoltando critiche senza precedenti al vecchio sistema. Tra i riformatori, una richiesta chiave divenne presto l’abolizione dell’articolo sei della costituzione, che garantiva al Partito Comunista il monopolio del potere. Avendo concesso il diritto degli indipendenti ad essere eletti al Congresso, per Gorbaciov fu difficile resistere all’idea di lasciarli formare i propri partiti. Boris Eltsin, che aveva fatto una campagna elettorale come critico populista del privilegio del partito e criticando la perestrojka per non aver migliorato l’economia, aveva ottenuto una vittoria schiacciante come delegato di Mosca al Congresso e un seggio nel Soviet Supremo.

Il Congresso del 1989 fu il punto di svolta, dopo il quale Gorbaciov non ha avuto più il controllo degli eventi. Sempre di più si è trovato stretto tra coloro che volevano muoversi più velocemente e coloro che si opponevano al cambiamento. I suoi problemi si sono aggravati quando i neoeletti deputati delle repubbliche baltiche, sostenuti da movimenti di massa, iniziarono a invocare l’autonomia economica e l’indipendenza politica. Nell’Europa orientale stavano emergendo movimenti simili, a cominciare dalla Polonia con il vecchio sindacato Solidarnosc che, dopo essere stato rilegalizzato, ha vinto le elezioni nel giugno 1989.

La più importante aspirazione di Gorbaciov nel campo delle relazioni internazionali è contenuta nel suo storico discorso del 6 luglio 1989 al Consiglio d’Europa, poco prima che venisse abbattuto il Muro di Berlino. Gorbaciov aveva invitato l’Europa occidentale a unirsi all’Unione Sovietica nella creazione di un’Europa aperta, fraterna e prospera che avrebbe messo fine alle animosità della Guerra Fredda. Il suo discorso si chiudeva con un appello all’inclusione dell’Unione Sovietica in un’Europa armoniosa: “Siamo convinti che ciò di cui hanno bisogno sia un’Europa – pacifica e democratica, un’Europa che mantenga tutta la sua diversità e le idee umanistiche comuni, un’Europa prospera che stenda le sue mani al resto del mondo. Un’Europa che avanza con fiducia nel futuro. È in una tale Europa che visualizziamo il nostro futuro”.

Gorbaciov è stato il più pacifico di tutti i leader sovietici. Ha negoziato con il presidente americano Ronald Reagan (che aveva bollato l’Unione Sovietica come “l’impero del male“) un accordo storico per eliminare i missili nucleari a raggio intermedio nel 1987 (l’Intermediate-Range Nuclear Forces Treaty) che erano puntati verso l’Europa occidentale e che avevano provocato un corrispondente dispiegamento di missili Cruise statunitensi in Europa occidentale mirati all’Unione Sovietica. Non un colpo fu sparato da un soldato sovietico mentre i Paesi del Patto di Varsavia ottennero l’indipendenza dal 1989, quando il muro di Berlino cadde nel novembre di quell’anno, o quando c’è stata la riunificazione della Germania nel 1990.

Tragicamente, però, la sua visione della “casa comune europea” non è stata realizzata. E’ stata annullata dalla spirale di eventi scatenata dal colpo di Stato della fazione intransigente e conservatrice dei comunisti nell’agosto 1991, dall’ostilità degli Stati Uniti e dall’ingenuità dei leader dell’Europa occidentale.

Il colpo di stato comunista e quello di Eltsin nel 1991

La rovina della visione di Gorbaciov iniziò con il colpo di stato del 19 agosto 1991 in cui i sostenitori della linea dura all’interno del Partito Comunista cercarono di rovesciarlo e di bloccare il processo di riforma della perestrojka. Sebbene il colpo di stato fallì nel giro di pochi giorni, scatenò forze che fecero a pezzi l’Unione Sovietica e innescarono la fine politica di Gorbaciov.

Il fatto che il sistema comunista sovietico cessasse di esistere non era una conseguenza involontaria delle azioni di Gorbaciov, poiché lui e i suoi collaboratori più stretti hanno consapevolmente smantellato quel sistema. Ciò che Gorbaciov non voleva era la dissoluzione dello Stato sovietico. Si sforzò di mantenere il maggior numero possibile di repubbliche all’interno di una “unione rinnovata” attraverso la negoziazione e l’accordo volontario per trasformare quella che in precedenza era stata una pseudo-federazione in uno Stato genuinamente federale. Ha fallito in tale impresa, ma ha resistito alle richieste dei funzionari di partito e statali, inclusa la leadership del KGB, di utilizzare l’ampio potere coercitivo a loro disposizione per mantenere l’unione con la forza.

La Repubblica Socialista Sovietica Ucraina ha annunciato la sua indipendenza il 24 agosto, seguita da un’analoga dichiarazione della Repubblica Bielorussa il 25 agosto. Il 27 agosto il Soviet Supremo Moldavo ha dichiarato l’indipendenza; il 30 agosto il Soviet Supremo dell’Azerbaigian si è separato; e il 31 agosto si separò il Kirghizistan Sovietico. C’erano quindici repubbliche sovietiche, ma a novembre solo in tre – Russia, Kazakistan e Uzbekistan – non avevano dichiarato l’indipendenza. In effetti, non c’era più un’Unione Sovietica per Gorbaciov da presiedere, per cui è stato il primo ed ultimo presidente dell’Unione Sovietica, avendo vinto le elezioni presidenziali al Congresso nel marzo 1990 per poi dimettersi il 25 dicembre 1991. Il giorno successivo il Soviet Supremo – ormai dominato da Boris Eltsin (che ancora nel 1988 supplicava il Partito Comunista di “riabilitarlo” e dargli un’altra possibilità dopo che si era dimesso dal politburo) e dai suoi alleati – ha votato per la dissoluzione di se stesso e dell’Unione Sovietica.

Con il senno di poi, il fallito colpo di Stato della fazione intransigente ha dato il via libera alla dissoluzione dell’Unione Sovietica, poiché i capi della Repubblica comunista hanno fatto a gara per prendere il potere che avrebbe aperto loro la strada al saccheggio a venire. In Russia, la gara è stata vinta da Eltsin, presidente della Repubblica Sovietica Russa, che ha defenestrato Gorbaciov e ricevuto il sostegno di Washington e dell’Europa, imponendo una “terapia choc” che privatizzò l’economia russa, permise l’insorgere e l’arricchimento degli oligarchi e spinse la Russia sull’orlo della bancarotta. Nel 1998, con il crollo del rublo, sarebbe stato necessario un nuovo Piano Marshall, ma l’Occidente non era interessato. Il popolo russo ha cercato un forte leader nazionalista. Putin stava aspettando dietro le quinte e da allora è al potere. In effetti, Putin è la conseguenza dell’incapacità occidentale di comprendere i requisiti di base necessari per sostenere una nuova democrazia.

L’espansione verso est della NATO

Anche dopo la dissoluzione del Patto di Varsavia e dell’Unione Sovietica, il disastro della terapia d’urto economica e il saccheggio della Russia, la visione di Gorbaciov avrebbe potuto ancora essere realizzata. Tuttavia, è stata decisamente preclusa dall’espansione verso est della NATO.

Come documentato dall’ambasciatore Jack Matlock Jr., l’ultimo ambasciatore degli Stati Uniti in Unione Sovietica, un elemento critico nella fine della Guerra Fredda da parte di Gorbaciov era l’accordo sul fatto che non ci fosse espansione verso est della NATO oltre l’inclusione della Germania orientale. “Neanche di un pollice”, assicurò il segretario di Stato James Baker. La stessa promessa fu unanimemente fatta da Mitterrand, Helmut Kohl, Margaret Thatcher e John Major, Manfred Wörner segretario generale della NATO. Un accordo verbale, fatto con una stretta di mano, non scritto e firmato nero su bianco (un grave errore), che era essenziale per la tranquillità della sicurezza nazionale russa.

Tuttavia, dopo la disintegrazione dell’Unione Sovietica, l’Occidente ha sfruttato la debolezza economica e politica della Russia per espandere la NATO ai suoi confini (a partire dal 1993-94, durante l’amministrazione Clinton). Il risultato è stata la distruzione delle basi della fiducia e la creazione di una logica duratura per le paure militari russe.

La NATO è stata istituita come alleanza difensiva della Guerra Fredda. È comprensibile che sia continuata, ma l’espansione verso est è stato un atto inequivocabilmente aggressivo che ha solo peggiorato la sicurezza degli Stati membri originari della NATO. I nuovi membri – Polonia, Ungheria e Cechia nel 1999; Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia e Slovenia nel 2004; Albania e Croazia nel 2009; Monenegro nel 2017 – avevano risorse militari trascurabili, ma tutti portavano un enorme rischio di conflitto. Quasi tutti avevano tradizioni democratiche inesistenti, lunghe storie di intolleranza politica, storie di conflitti con la Russia ed erano intolleranti nei confronti dei russi etnici all’interno dei loro confini. La loro adesione alla NATO significava che gli Stati membri originari si impegnavano a difendere i Paesi che avrebbero potuto provocare conflitti con la Russia.

Nel febbraio 2007, alla Conferenza annuale sulla sicurezza di Monaco, Putin denunciò l’arroganza occidentale e espresse con chiarezza che la pazienza russa era giunta al limite. Ma, la sordità delle amministrazioni USA fu totale e si cominciò a promettere l’allargamento NATO a Georgia e Ucraina (Berlino e Parigi si opposero, dunque non fu fissata una data per l’adesione). I progressivi allargamenti NATO agli Stati dell’Est e il loro riarmo costituiscono il vero tradimento della fiducia che Gorbachev aveva risposto nell’Europa e negli Stati Uniti.

L’ostilità degli Stati Uniti

Detto questo, l’espansione verso est della NATO ha sempre avuto senso dal punto di vista degli Stati Uniti. In primo luogo, la politica estera degli Stati Uniti è basata da decenni sulla dottrina neocon che sostiene che gli Stati Uniti dovrebbero essere la potenza egemonica globale. Ciò significa che nessun Paese deve essere in grado di sfidare gli Stati Uniti come ha fatto una volta l’Unione Sovietica. La Russia, con le sue testate nucleari e un grande esercito ben armato, aveva ancora quel potere, il che la rendeva una minaccia continua agli occhi dei neoconservatori.

In secondo luogo, gli Stati Uniti sono protetti dagli oceani Atlantico e Pacifico. Di conseguenza, non subiscono mai il danno diretto o il contraccolpo dei conflitti che avviano. Detto questo, l’espansione verso est della NATO è stata quasi gratuita per gli Stati Uniti.

In terzo luogo, la visione di Gorbaciov di una Russia europeizzata rappresentava una minaccia fondamentale per l’egemonia (militare ed economica) degli Stati Uniti poiché prometteva l’unione dell’Europa occidentale e della Russia in una causa comune. Ciò ha reso la visione di Gorbaciov strategicamente sovversiva.

L’ingenuità europea

L’Europa ci ha rimesso molto a causa della mancata realizzazione della visione di Gorbaciov. In primo luogo, l’Europa subisce il danno diretto e il contraccolpo dei conflitti. Ciò è stato dimostrato dai conflitti bosniaco, serbo, iracheno, libico, siriano e afghano, e lo è stato ancora una volta con il conflitto ucraino.

In secondo luogo, l’Europa ha rinunciato a enormi opportunità economiche seguendo la guida strategica degli Stati Uniti. La “casa comune” tra Russia e l’Europa occidentale avrebbe portato ad un’alleanza economica ideale. La Russia ha risorse naturali e ha bisogno di capitali. L’Europa ha capitali e ha bisogno di risorse naturali. Entrambi hanno conoscenze scientifiche e popolazioni istruite.

Terzo, l’espansione verso est della NATO ha creato un cavallo di Troia statunitense che promette di destabilizzare l’Europa nel XXI secolo. I nuovi Stati membri – dai Paesi Baltici alla Polonia – sono più fedeli agli Stati Uniti che all’Europa occidentale. Ciò è stato ripetutamente illustrato dalla Polonia che ha acquistato aerei militari e civili statunitensi invece di aerei europei e ora ospita una grande base militare americana autonoma.

La colpa del fallimento dell’Europa è principalmente di Francia e Germania, che sono i Paesi leader europei e non sono riusciti a sviluppare un progetto geopolitico europeo indipendente. Tale fallimento potrebbe anche essere il riflesso della presa di controllo da parte degli Stati Uniti sulla leadership europea che è evidente nei percorsi di carriera e nei curriculum vitae dei principali leader che si sono succeduti al potere negli ultimi 30 anni (in Francia: Chirac, Sarkozy, Hollande e Macron; in Germania: Kohl, Schroeder, Merkel e Scholz).

La variante cinese

Dopo la fine della Guerra Fredda le grandi imprese globali hanno esteso l’egemonia del capitalismo industriale e finanziario in tutti gli angoli del mondo, a cominciare dalla Cina, dove Deng Xiaoping, leader de facto del Paese dal 1978 al 1992 (al posto di Hua Guofeng, il successore designato da Mao), ha prima avviato la modernizzazione dell’agricoltura (senza però trasformare la terra in una merce, perché rimane proprietà dello Stato), smantellando le migliaia di comuni popolari e di cooperative rurali istituite a partire dal 1958 durante la campagna di Mao del “grande balzo in avanti” che mirava a trasformare in poco tempo la Cina da Paese agricolo a Paese socialista attraverso la collettivizzazione e l’industrializzazione e che ha portato ad una carestia che è costata 37 milioni di morti tra il 1958 e il 1961. Sono state così create le condizioni per l’espulsione di milioni di contadini dalle campagne e nel 1984 Deng ha inaugurato la prima free economic zone cinese a Schenzhen, nella provincia del Guangdong, alla quale sono seguite altre in altre zone costiere, per attrarre gli investimenti diretti esteri.

Deng ha indicato la nuova strada dello sviluppo economico: “diventare ricchi è glorioso” perché consente di modernizzare un sistema produttivo arretrato (“il nostro nemico non è il capitalismo, ma il feudalesimo”), perché “non importa se un gatto sia bianco o nero, se acchiappa i topi è un buon gatto”. Mentre il maoismo aveva una forte impronta autarchica, nazionalista, pauperista e persino antimoderna, il socialismo di Deng, mercantile e di Stato, e ancor più quello post-denghiano libero da ogni baluardo ideologico, si è allineato ai processi di globalizzazione, economici, culturali ed etici. Dal 1984 al 2019, i redditi pro capite sono aumentati di oltre 30 volte, l’aspettativa di vita è aumentata di un decennio, il tasso di povertà è sceso quasi a zero e l’economia cinese è diventata più o meno delle stesse dimensioni di quella degli Stati Uniti e si sta espandendo a un ritmo più veloce. Il primo mercato azionario cinese è stato lanciato nel 1990 e da allora è diventato il secondo più grande al mondo.

Dopo la riforma e l’apertura, l’atteggiamento fondamentale dello Stato e della società cinese verso USA ed l’Occidente è stato: apprendere da loro tecnologia e cultura avanzate, resistendo alla loro interferenza negli affari interni della Cina e ai loro tentativi di rovesciare il potere del Partito Comunista.

Se Mikhail Gorbaciov aveva cercato invano di tenere in vita l’URSS tra il 1985 e il 1991, lanciando la campagna per trasformare il “socialismo reale” con le due parole d’ordine della perestrojka e della glasnost, il risultato è stato la bancarotta dell’URSS a seguito della disintegrazione dell’autorità del Partito Comunista e dello Stato, nonché la distruzione dei meccanismi che facevano funzionare l’economia, senza la predisposizione di una efficace alternativa. Una evoluzione che ha portato al crollo del tenore di vita dei cittadini, all’anarchia economica e alla disintegrazione politica.

Deng Xiaoping, invece, si è tenuto lontano dalla glasnost e dalla liberalizzazione politica, mantenendo il sistema centrale di comando (una sorta di “autoritarismo resiliente”) incarnato nel ruolo direttivo del Partito Comunista (sopprimendo in modo cruento – con 3-10 mila morti e migliaia di feriti – il movimento democratico di piazza Tiananmen il 4 giugno 1989) e nella efficiente capacità di pianificazione e amministrazione dello Stato. Ha puntato tutto su una perestrojka graduale dell’economia cinese attraverso l’apertura selettiva al capitalismo, costantemente controllata dal partito, seguendo la linea socialdemocratica dell’”economia mista”. Sussidi e protezione sono stati mantenuti per le imprese statali esistenti, mentre l’accesso al mercato è stato dato a nuovi soggetti privati – borghesia urbana, giovani laureati e global corporations – in una serie di industrie ad alta intensità di manodopera.

La svolta politica di Deng ha impresso un’accelerazione economica “sulla via del capitalismo”, promuovendo un capitalismo guidato dallo Stato e un certo grado di libertà per le imprese private cinesi ed internazionali di accumulare, investire, valorizzare e sfruttare. Il Partito Comunista ha anche concesso alla popolazione alcune libertà – di andare all’estero, guadagnare, dove vivere e lavorare, e curare i propri interessi personali – purché evitasse di occuparsi di politica. Dalla metà degli anni ‘80, un’ondata di centinaia di milioni di lavoratori migranti, sfidando lo status semi-legale e il disprezzo degli abitanti delle città, hanno lasciato le loro case delle aree rurali e si sono riversati nelle aree e fabbriche urbane, diventando il motore umano che ha guidato la continua crescita della Cina. L’economia cinese è esplosa e quasi tutti, in patria e all’estero, hanno accettato la situazione.

Elogi e tradimenti

Mikhail Gorbaciov non voleva lo scioglimento dell’Unione Sovietica o la fine del socialismo. Voleva avviare un nuovo capitolo per la Russia che voltasse pagina rispetto agli orrori del XX secolo. Cavalcò la tigre nella speranza di un cambiamento nobile della società, ma la tigre lo ha buttato per terra.

Anche dopo essere stato scartato e la fine dell’Unione Sovietica, la sua visione di una Russia integrata in un’Europa pacifica e democratica avrebbe potuto essere ancora possibile. Tuttavia, ciò richiedeva la buona volontà degli Stati Uniti e un’intelligente leadership europea, tutte cose che erano (e sono) carenti.

Ciò rende vani gli elogi dei leader statunitensi ed europei. Quei leader rappresentano le istituzioni politiche che alla fine hanno tradito la visione di Gorbaciov, e quel tradimento spiega il secondo motivo del perché è un uomo non amato nella sua terra natale.

Gorbaciov era in cattive condizioni di salute negli ultimi anni e rattristato dal modo in cui i suoi più grandi successi – usare la carica di leader del partito per smantellare il sistema stesso che era la fonte del suo potere e svolgere il ruolo più importante nel porre fine pacificamente alla Guerra Fredda – sono stati distrutti. Da ragazzo in una famiglia di contadini nel sud della Russia1, era stato particolarmente vicino ai suoi nonni materni ucraini. La guerra tra Russia e Ucraina nel 2022 è stata per lui l’ultimo colpo devastante. In una delle sue ultime interviste di qualche anno fa, gli era stato chiesto quale pensava dovesse essere il suo epitaffio. La sua risposta era stata: “Ci abbiamo provato“.

 

Alessandro Scassellati

 

  1. Gorbaciov era nato nel villaggio di Privolnoye, nella regione di Stavropol, nella Russia meridionale. Suo nonno paterno era presidente della prima fattoria collettiva della zona e uno dei primi membri del partito; suo padre era un autista di trattori. Entrambi i suoi nonni erano stati arrestati negli anni ’30, durante le purghe staliniane, e uno di loro venne mandato in un campo di lavoro siberiano per aver “sabotato” il socialismo. Mikhail aveva ricevuto un’istruzione locale e aiutava in estate con il raccolto. Ragazzo brillante e ambizioso, dopo aver lasciato la scuola fece domanda per entrare nella facoltà di giurisprudenza della prestigiosa Università statale di Mosca. I cinque anni trascorsi lì dal 1950 lo segnarono come una sorta di intellettuale. Durante l’università era stato attivo nel Komsomol, la Lega dei Giovani Comunisti, e dopo la laurea nel 1955 tornò a Stavropol per lavorare nel dipartimento locale di agitazione e propaganda. Si trasferì nel partito vero e proprio e fece una rapida ascesa tra i suoi ranghi. In 15 anni è diventato primo segretario dell’organizzazione del partito regionale di Stavropol. Nella struttura gerarchica dall’alto in basso era un posto simile al governatore generale. L’incarico conferiva al titolare un seggio quasi automatico nel comitato centrale del partito, in teoria il principale organo politico. A 40 anni, Gorbaciov era uno dei suoi membri più giovani. Nel 1978 Gorbaciov ricevette il portafoglio dell’agricoltura dell’Unione, una posizione che gli diede anche l’appartenenza al gabinetto interno del comitato centrale, il politburo.[]
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