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Il senso della sinistra per il voto, Svezia, Francia e primarie

di Roberto
Musacchio

“Abbiamo fatto qualcosa che è percepito come insolito in politica, abbiamo mantenuto la parola data. I rappresentanti del governo sembrano sorpresi che un partito agisca sulla base di quanto ha promesso agli elettori e ai tre milioni di inquilini.  Ci deve essere qualcuno che si batte per gli inquilini svedesi e per il modello svedese”.

Dice così Nooshi Dadgostar, la leader del partito della sinistra svedese, Vansterpartiet, dopo aver votato la sfiducia al premier socialdemocratico a causa della legge sulla liberalizzazione degli affitti.

Dice Dadgostar che Stefan Lovstan, il primo ministro socialdemocratico, appare incredulo. Forse è per questo che ha rifiutato qualsiasi trattativa sulla questione nonostante i voti del Partito della sinistra fossero decisivi a garantirgli la fiducia essendo lui in minoranza. La fiducia era stata data  nonostante i socialdemocratici dopo le ultime elezioni avessero circoscritto il governo ad una alleanza tra loro, i verdi e due partiti di centrodestra escludendo dall’accordo programmatico e dall’esecutivo il partito della sinistra che pure sfiorava il 10%. Ma quando si è arrivati ad un punto fondante il sistema svedese come il diritto all’abitare, gli affitti e il ruolo delle associazioni inquilini, il partito della sinistra ha scelto di stare con la Svezia, come scrive la leader ricordando altri premier socialdemocratici capaci di ascoltare e mediare, e non con il liberismo. Ora, per la prima volta nella storia svedese, c’è una crisi parlamentare. Il partito della sinistra ribadisce che non permetterà mai governi di destra ma che tocca ai socialdemocratici risolvere i guai che hanno fatto. Il partito della sinistra è l’approdo cui è giunta la lunga e travagliata storia del vecchio partito comunista. Una formazione moderna, ambientalista, combattiva, giovane, con buoni risultati elettorali e che fa parte del gruppo europeo The Left.

La casa è tema caldo anche in Francia,  a Parigi. La giunta di sinistra ha proceduto alla requisizione di un grande albergo abbandonato per destinarlo ad usi sociali. Dopo aver constatato l’assenteismo della proprietà e l’inerzia del governo centrale hanno fatto loro.

Un gesto arrivato a ridosso del primo turno delle elezioni regionali.

Un voto che è stato caratterizzato dal record storico di astensioni con la percentuale enorme dei due terzi dei cittadini che hanno disertato le urne. Ma il successo dell’estrema destra previsto dai sondaggisti non c’è stato. Anzi. Le Pen e Macron sono i due grandi sconfitti. Il centrista, trasversalista, modernista Macron, ispiratore di tanti emuli anche in Italia, crolla al 10%. Anche a sinistra ci sono sorprese con un voto migliore del previsto anche se molto frammentato. Con un ritorno delle forze storiche, socialisti e gli stessi comunisti che recuperano su France Insoumise di Melenchon. C’è un due per cento anche per le due formazioni trotskyste. In testa i candidati repubblicani e gollisti, più uniti.

Il voto svedese fa venire in mente la famosa rottura tra Prodi e Rifondazione comunista del 1996. Per altro anche Prodi tolse l’equo canone. Come è noto si giocò un braccio di ferro drammatico con la sordità del centrosinistra al cambiamento, le 35 ore, e l’appiattimento su Maastricht. Situazione tipica dei centrosinistri e socialisti europei che perdura. Si pensi, per restare al Nord, alla cacciata degli immigrati richiedenti asilo voluta dai socialdemocratici danesi appoggiati da tutte le destre e contestati da sinistra e verdi.

In Italia il lungo braccio di ferro ha realizzato la situazione che conosciamo. Un centrosinistra sempre disposto a governi con le destre, da Ciampi a Monti a Draghi e a profilo e sostanza liberali. Una sinistra sconfitta, divisa tra accodamenti sempre più al ribasso e resistenza. Più i Cinquestelle cresciuti come antiestablishment e ora divenuti nuova variante liberale. Il bipolarismo maggioritario è lo straccio rosso agitato alle tifoserie mentre c’è il governo di centrosinistradestra.

In questo quadro si sono tenute le primarie in alcune città.

Ora che si sono svolte posso farci qualche riflessione. A partire dal fatto che restano una pratica priva di qualsiasi regolamentazione per legge. Di cui non si capisce l’ambito dietro la dizione enfatica e ambigua del “popolo del centrosinistra”. In questi 30 anni hanno accompagnato il sistematico smantellamento dei corpi sociali costituzionali e, purtroppo,  delle istituzioni. Hanno prodotto eletti puntualmente saltati nel gioco politico, da Prodi a Zingaretti, passando per Marino. Si vede che la “forza dell’investitura popolare”, in realtà sempre filtrata dai gruppi di potere in cui si sono frantumati l corpi intermedi, vale meno dei gruppi di potere stessi. Nel trentennio delle primarie abbiamo vissuto, come ricordavo, lunghe fase di governi di tutti, da Ciampi a Monti a Draghi, e ininterrotte fasi di controriforme nazionali e locali. Che senso hanno poi le primarie nei comuni dove ci sarebbe il doppio turno? E di chi sono? Queste di domenica sono chiamate a volte del Pd a volte del centrosinistra a conferma di ambiguità che in materia elettorale dovrebbero essere bandite. A Roma, vedremo i dati definitivi, ha votato più o meno, ma forse meno, la stessa gente di quando fu scelto Giachetti. Meno della metà dei tempi di Marino, poi defenestrato. Rispetto a quelle di Giachetti hanno partecipato alcune parti che allora fecero, con altri, la lista alternativa di Sinistra per Roma. Difficile, per me, capire perché visto che oggi il Pd sta al governo con la Lega e non mi si dica che Roma è un’altra cosa. Il Pd romano è quello per il quale ha stravinto Raggi. Candida un ex varie cose tra le quali aver “negoziato” al Parlamento europeo il Mes. Ha stravinto contro un fiero oppositore del Mes. Anche qui non è che parlo d’altro perché le norme sulla austerità contano eccome nella vita delle città. Poi c’era un candidato che si richiamava a Castellani che, per chi non lo ricorda, era quello che a Torino sconfisse, al ballottaggio, dove non c’era la destra, Novelli che lo aveva surclassato al primo turno. Poi compagni che pensano che si possa coniugare il Chiapas con il Pd (chiedo scusa per la battuta ma mi viene così). Si dirà che differenze grandi ci sono anche nel partito democratico americano; ma quello vale metà del Paese e non il 20% come il Pd e poi oggi la sinistra socialista di Sanders è molto più autonoma e combattiva delle sfumature italiane. Paradossalmente qualche senso le primarie lo hanno avuto quando c’era una sinistra forte e del tutto autonoma che non dava per scontata la subalternità e provò anche questa via per rovesciare l’ordine delle cose. Finita la contesa vera e il carattere non precostituito restano solo gli elementi negativi.

E tu che fai? naturalmente mi direte. La volta scorsa ad esempio Sinistra per Roma prese il 4,7% in alternativa. Come troppo spesso poi c’è chi si mette a inseguire altro più che a costruire. Peccato. Io allora parto da due cose. Uno, il mio voto è un presidio democratico e io lo uso secondo Costituzione e non secondo riti della seconda Repubblica. Due, sono convinto che Berdini sarebbe il migliore dei sindaci per questa città,  uno che viene dalla storia di Nathan e Petroselli e non dalle avventure di questo trentennio.

Ma aldilà delle prossime elezioni comunali è proprio il senso del voto di sinistra che va ricostruito. Se il voto non rappresenta, non fa conseguire, è consegnato alla subalternità che ne nega la dignità la crisi del rapporto tra sinistra e voto è irrimediabile. Una sinistra adattativa semplicemente è morta.

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