Le elezioni politiche nella Repubblica Ceca, che si sono tenute ai primi di ottobre, hanno segnato una disastrosa sconfitta per le forze di sinistra. Sia il Partito socialdemocratico (CSSD) che il Partito Comunista Boemo-Moravo (KSCM) sono rimasti al di sotto della soglia di sbarramento del 5% e non avranno più parlamentari.
Le elezioni sono state caratterizzate soprattutto da una polarizzazione tra il partito del primo ministro, il miliardario Andrej Babis, denominato ANO, che vuol dire “Sì” ma è anche la sigla di “Azione dei cittadini insoddisfatti” e le due coalizioni formate dalle forze di opposizione: il raggruppamento Spolu (“Insieme”) creato dai tradizionali partiti di destra e di centro-destra e l’alleanza che ha unito il Partito Pirata e il partito formato da sindaci e indipendenti. In questa contrapposizione si sono trovati ai margini sia i socialdemocratici, che facevano parte del governo guidato da Babis, che i comunisti, che questo stesso governo hanno appoggiato dall’esterno o comunque “tollerato” sul piano parlamentare non votando le mozioni di sfiducia dell’opposizione.
Il voto ha sancito la prevalenza delle due coalizioni di opposizione che stanno ora trattando per formare il nuovo governo. A guidarlo sarà quasi certamente Petr Fiala, il leader dell’ODS, il principale partito conservatore. Sono stati marginalizzati i Pirati che nell’ambito della coalizione con il “partito dei sindaci” hanno avuto pochissimi eletti. Le trattative avvengono con, sullo sfondo, un deciso peggioramento degli effetti della pandemia, causato da un numero ancora insufficiente di vaccinati, al punto che non si esclude l’applicazione di misure molto più rigide, come l’introduzione del green pass per recarsi al lavoro.
Il partito di Babis ha occupato, nelle tre elezioni in cui finora si è presentato, spazi politici sempre diversi. Nel primo appuntamento elettorale dopo la sua fondazione ha conteso soprattutto l’elettorato alla destra tradizionale in difficoltà dopo un’esperienza di governo caratterizzata da scandali per corruzione e clientelismo. Nel 2017, ha pescato soprattutto nell’elettorato che votava tradizionalmente a sinistra con promesse di politiche sociali più generose. In queste elezioni, di fronte al riemergere di una opposizione di centro-destra più solida e data la debolezza dei partiti alla sua sinistra, ha puntato su una “orbanizzazione” della sua propaganda. Oltre ad aver invitato a Praga il primo ministro ungherese ne ha adottato anche le posizioni anti-migranti e nazionaliste. L’operazione ha funzionato solo in parte. ANO ha mantenuto gran parte della sua forza elettorale ma è stato comunque sopravanzato dalla principale coalizione dell’opposizione e soprattutto ha perso i suoi possibili alleati.
Il Partito Comunista Boemo-Moravo ha avviato, dopo la sconfitta elettorale che lo ha portato in due tornate elettorali a perdere i due terzi del proprio elettorato, una nuova fase attraverso il cambio di leadership realizzato in un Congresso straordinario tenutosi a fine ottobre.
Il KSCM è sorto nei primi anni novanta come erede della parte ceca del Partito Comunista Cecoslovacco. Questo partito, a differenza di altre formazioni cominterniste dell’Europa centro-orientale ha sempre potuto contare su un solido consenso popolare. Tra le due guerre mondiali aveva raccolto una parte consistente della vecchia tradizione socialdemocratica. Per effetto del ruolo svolto nella Resistenza era diventato il primo partito nelle elezioni tenute dopo la fine del nazismo, ottenendo il 40% nella parte ceca del paese. Nel 1948 è diventato di fatto il partito unico al potere con una rapida adesione al processo di stalinizzazione dell’Europa centro-orientale. Negli anni ’60, a seguito dei processi di riforma avviati timidamente dopo il XX Congresso del PCUS, aveva potuto riguadagnare popolarità. Il tentativo di rinnovamento avviato con l’elezione di Dubcek alla guida del Partito aveva consentito ai comunisti di esserne protagonisti a differenza di quanto avvenuto in Ungheria nel ’56 e di quanto avverrà in Polonia negli anni ‘80. L’invasione di Praga da parte dell’URSS e dei paesi alleati aprì una spaccatura tra il potere e la società che non si è mai più ricomposta. Uno degli effetti della cosiddetta “normalizzazione” fu l’esclusione dal partito e l’emarginazione di centinaia di migliaia di comunisti che avevano sostenuto il progetto riformatore.
Alla fine degli anni ’80, la direzione del Partito Comunista Cecoslovacco tentò una sorta di resistenza passiva nei confronti di una eventuale importazione della perestrojka. Scartata, fortunatamente, la risposta repressiva alla nascita di un movimento di opposizione di massa, il partito ha perso rapidamente gran parte della sua presa sulla società. In pochissimo tempo un milione di iscritti al partito se ne sono andati.
Nel KSCM, una volta caduto il regime del partito unico, non è prevalsa la tendenza comune in altri Stati vicini a trasformarsi in partito socialdemocratico (e poi anche social-liberale). Un referendum interno ha respinto l’ipotesi del cambio del nome. All’interno del partito sono rimaste attive, anche se non formalizzate in vere e proprie frazioni statutariamente vietate, tendenze diverse che vanno da posizioni più innovatrici in senso neo-comunista ad altre più tradizionaliste e “marxiste-leniniste”. Le componenti più estreme delle due ali hanno dato vita a partiti autonomi che non hanno grande peso elettorale. I due segretari che hanno guidato il partito per gran parte del tempo intercorso dalla stabilizzazione dei primi anni ’90 fino a poche settimane fa (Grebenicek e Filip) sono appartenuti ad una tendenza “centrista” e relativamente pragmatica, anche se il secondo si è dimostrato più disponibile ad alleanze politiche, in particolare con la socialdemocrazia.
L’avvento e il successo del partito di Babis ha rappresentato un grosso problema per il KSCM perché questa formazione è riuscita ad intercettare una parte significativa dell’elettorato (prevalentemente anziano e popolare) che si era in genere rivolto ai comunisti. I quali erano riusciti a sfiorare anche il 20% dei consensi e hanno diretto per alcuni anni due amministrazioni regionali.
L’appoggio fornito al governo Babis ha creato forti dissensi e polemiche all’interno del partito. Il segretario uscente Vojtech Filip ha criticato le opposizioni interne per aver indebolito il partito con le loro polemiche pubbliche e ha difeso i risultati raggiunti a seguito dell’accordo del 2018 con ANO (aumento delle pensioni e del salario minimo e mantenimento in mani pubbliche di diversi servizi minacciati da privatizzazioni).
Il Congresso straordinario tenuto dopo la sconfitta elettorale ha eletto alla guida del Partito Katerina Konecna, che è l’unica comunista ceca al Parlamento Europeo. La Konecna, che prima di arrivare a Bruxelles era stata la più giovane parlamentare nazionale (21 anni), avrà un compito tutt’altro che facile, ovvero aprire il partito al consenso delle nuove generazioni, in un contesto caratterizzato da un forte anticomunismo di cui si fanno portabandiera tutti i grandi mezzi di informazione. Contemporaneamente dovrà mantenere il consenso della base del partito che si è andata però fortemente riducendo nel corso degli anni. Attualmente restano poco più di 20.000 iscritti, in un quadro complessivo dove gli aderenti ai partiti sono comunque pochi.
Dalle prime dichiarazioni della Konecna si possono individuare alcuni elementi che potranno caratterizzare la sua leadership. Innanzitutto si propone di attuare un complessivo rinnovamento generazionale del quadro dirigente. In secondo luogo non intende cambiare il nome del partito (né unificazione con altre forze), ma cercherà l’unità con il partito socialdemocratico in vista delle elezioni comunali del prossimo anno e una più generale apertura a quelle forze e movimenti di sinistra presenti nella società ma che non si sono identificati finora con i comunisti.
La nuova leader comunista prevede che il futuro governo metterà in atto politica liberista e di privatizzazione di servizi e aziende pubbliche (in particolare nella sanità) e questo aprirà uno spazio all’azione del KSCM per la difesa di un ruolo attivo dello Stato nel welfare e nell’economia. Sulle questioni ambientali, che assumeranno sempre maggiore rilievo nei prossimi anni, la Konecna ritiene che non si debba accettare un “green deal” che faccia pesare la sua attuazione sui settori popolari più disagiati. Infine sull’Europa dovrebbe confermare una linea di euroscetticismo moderato ostile ai “burocrati di Bruxelles”. In precedenti dichiarazioni l’europarlamentare, che fa parte del gruppo “The Left” (ex GUE/NGL), si era dichiarata a favore dell’uscita della Repubblica Ceca dall’UE, ma questo è un tema sul quale nel partito vi sono sempre state opinioni contrastanti, data anche la presenza di una tendenza sostenitrice di un europeismo critico.
Compito non facile della nuova leader comunista sarà intanto di evitare una frammentazione del partito, pericolo sempre presente quando si registra una sconfitta politica ed elettorale di tali dimensioni.
Franco Ferrari