Socialdemocratici, Verdi e Liberali hanno raggiungo un accordo per formare il nuovo Governo che metterà fine alla lunga fase caratterizzata dalla guida di Angela Merkel. La trattativa è stata complessa e ha prodotto un denso documento di oltre 170 pagine che costituirà la base per l’azione della coalizione “semaforo” (per i colori dei tre partiti che la compongono). Nonostante la sua voluminosità non tutti gli aspetti rilevanti che vedono differenze di opinione tra le tre forze politiche hanno trovato formulazioni chiare e prive di contraddizioni e spetterà alla concreta azione di governo, sotto la guida del socialdemocratico Olaf Scholz, sciogliere i non pochi nodi rimasti sui terreni cruciali delle politiche economiche e finanziarie, dell’ambiente e della proiezione internazionale della Germania.
Intanto la nuova coalizione, prima ancora di essere insediata, deve far i conti con la nuova ondata di Covid che sta mettendo in sofferenza il sistema sanitario, al punto di dover ipotizzare il trasferimento all’estero di malati che abbiano bisogno della terapia intensiva. Per far fronte a questa situazione, che mette anche in evidenza tutte le contraddizioni di un sistema sanitario frammentato su base federale, si stanno discutendo nuove misure. Oltre alle ormai già note forme di lockdown parziale si discute di come incrementare significativamente il numero dei vaccinati.
Esiste infatti in Germania una relativamente vasta e radicata platea di “no vax” sulla quale influiscono sia le posizioni dell’estrema destra nazional-populista dell’AfD, particolarmente forte in alcune aree dell’est, sia il vasto arcipelago dei sostenitori delle medicine alternative, particolarmente sviluppato in tutto il mondo di lingua tedesca.
Tra le misure inedite sulle quali si è aperta la discussione vi è anche l’obbligo di vaccinazione. La vicina Austria lo ha previsto, anche se entrerà in vigore solo tra alcuni mesi, sperando forse che la sola minaccia possa spingere una parte dei renitenti ad accettare la vaccinazione volontaria.
L’ipotesi dell’introduzione dell’obbligatorietà del vaccino ha sollevato un’accesa discussione anche all’interno della Linke. Il Congresso regionale della Turingia, l’unico Land nel quale il partito della sinistra sia alla guida del governo con Bodo Ramelow, ha approvato una risoluzione in tal senso. In questa ondata la Turingia risulta particolarmente colpita, al punto che Ramelow ha dovuto annunciare già qualche settimana fa che i posti letto in terapia intensiva si stavano esaurendo e che i nuovi malati gravi di Covid (prevalentemente “no-vax”) avrebbero dovuto essere inviati in altre regioni.
Il direttivo della Linke ha esaminato la questione nella riunione che si è tenuta nella serata di martedì 30 novembre, alla presenza di Claudia Bernhard, senatrice alla Salute della Città-Land di Brema (carica corrispondente a quella di Assessore regionale in Italia), decidendo con 18 voti contro 14 di sottoscrivere la richiesta di vaccinazione obbligatoria per tutti gli adulti.
L’eventuale introduzione dell’obbligo, come ha spiegato Jorg Schindler al quotidiano socialista Neues Deutschland, non avrebbe effetto sull’attuale ondata di contagi ma “potrebbe contribuire decisamente a prevenire ulteriori ondate di infezioni” funzionando come soluzione di “ultima istanza”. I sostenitori dell’obbligatorietà all’interno del direttivo della Linke ritengono che ormai non si possa ottenere un significativo incremento delle vaccinazioni solo con il tentativo di convincere i restii. Soprattutto in regioni come quelle nelle quali l’AfD ottiene il 25% dei consensi. I sondaggi dimostrano che circa metà di coloro che rifiutano il vaccino votano per l’estrema destra.
Altri componenti del massimo direttivo della Linke hanno espresso il loro scetticismo non perché condividano le ragioni di chi si oppone al vaccino ma perché si chiedono come l’obbligo possa essere concretamente applicato e quali sanzioni possano essere messe in atto per chi continui a rifiutare la vaccinazione. Si ritiene che nei Paesi (pochi in realtà) nei quali sia stata introdotta la vaccinazione obbligatoria questa non abbia ottenuto gli effetti desiderati.
Alla fine la proposta di vaccinazione obbligatoria è stata approvata con 18 contro 14. A questa votazione hanno fatto seguito accesi commenti sui social di favorevoli e contrari. Antje Behler, componente del direttivo, ha twittato che la Linke si è schierata “dal lato della scienza”. Altri hanno invece rilevato che si restringono le libertà personali e nello stesso tempo si impedisce di poter scegliere vaccini come quelli cinese, russo o cubano “che sono praticamente messi al bando”.
L’accordo della coalizione “semaforo”
Mentre la nuova ondata di epidemia incombe, il nuovo Governo si prepara ad assumere i poteri derivantigli dalla prossima approvazione da parte del Bundestag. Il tripartito dovrebbe poter godere di una fase relativamente tranquilla sul piano parlamentare dato che i tre partiti di opposizione, oltre ad essere tra loro incompatibili, hanno tutti perso terreno nelle recenti elezioni. La CDU (insieme alla sorella bavarese della CSU), deve ritrovare un profilo programmatico e una strategia che la proietti nel dopo Merkel e questo probabilmente richiederà tempo. La Linke, che ha subito un duro colpo nelle ultime elezioni con oltre 2 milioni di voti persi in tutte le direzioni, deve superare le sempre più radicate divisioni interne. L’AfD, benché resti molto forte in alcuni Lander dell’ex Germania orientale, non è più sulla cresta dell’onda. Il tema migratorio non è in questo momento così centrale e l’aver soffiato sul fuoco del movimento “no vax” non sembra averle portato benefici, oltre a renderla sempre meno appetibile come potenziale alleato di governo.
Il programma adottato da SPD, Grunen e FDP si presenta come un tentativo di tenere insieme la continuità con l’impostazione centrista della Merkel e una maggiore dinamicità nel fronteggiare una situazione che presenta nuove contraddizioni interne e globali (un “progresso senza avventure” per usare un vecchio slogan della DC italiana).
Ognuno dei partiti componenti della nuova maggioranza può vantare qualche risultato nell’ambito delle tematiche considerate di propria pertinenza. L’SPD, guidata da un cancelliere che nella geografia politica interna si è sempre collocato all’estrema destra, può rivendicare soprattutto l’aumento a 12 euro del salario minimo e un programma di intervento per la costruzione di 400.000 nuove abitazioni nelle grandi metropoli (in gran parte affidato ai privati). Non viene però sostanzialmente intaccato tutto l’impianto relativo alla flessibilizzazione del lavoro (con i cosiddetti mini e midi jobs) e di restrizione delle coperture del welfare (le leggi Hartz IV) introdotte dalla socialdemocrazia e dai Verdi quando hanno governato sotto l’influenza della “terza via” di Blair e Schroeder.
I Verdi possono rivendicare un più incisivo programma di cambiamento delle politiche energetiche al fine di fronteggiare il mutamento climatico, ma tutto questo deve avvenire in un quadro di piena condivisione con il capitale privato e di tutela prioritaria degli interessi e dei profitti delle imprese tedesche.
I Liberali, dal canto loro, sono riusciti ad avere la garanzia che non si aumenteranno le tasse, nemmeno per i più ricchi, cancellando qualsiasi ipotesi di redistribuzione della ricchezza che pure era presente nella campagna elettorale di SPD e Verdi. Inoltre, con la conquista del Ministero delle Finanze per il loro leader Christian Lindner, potranno operare per tornare ad una politica di bilancio più restrittiva prima possibile.
Mentre si proclamano obbiettivi importanti di ristrutturazione e modernizzazione del capitalismo tedesco, che diventano indispensabili sia per fronteggiare il cambiamento climatico, sia per garantire le posizioni acquisite dalle imprese tedesche nel mercato europeo e negli scambi globali, i due mantra liberali (no all’aumento delle tasse, sì al pareggio di bilancio) impongono dei limiti importanti alla capacità di intervento dello Stato tedesco.
La presenza del Partito Liberale alla guida della finanza tedesca viene scrutata dagli osservatori anche per capire quale sarà la politica tedesca nell’ambito dell’Unione Europea. Almeno due i temi che incombono. Il primo, più ravvicinato, riguarda la modifica o meno delle regole che stabiliscono il debito e il deficit dei bilanci pubblici rispettivamente al 3% e al 60%, temporaneamente sospese per far fronte all’impatto dell’epidemia da Covid. Gli ambienti tedeschi più rigidamente ancorati alla visione ordoliberista ritengono che, con il 2023, si debba ritornare allo status quo precedente. Una parte dell’establishment in altri Paesi ritiene invece che la ristrutturazione tecnologica necessaria per mantenere competitivo il capitalismo europeo, renda indispensabili forti investimenti pubblici. Questi richiedono una maggiore libertà di indebitamento per gli Stati, il mantenimento di una politica espansiva della BCE e, in prospettiva, l’utilizzo permanente di un piano di intervento basato su debito condiviso da parte dell’Unione Europea sul modello del Next Generation Europe.
Un giornale autorevole come Le Monde, naturalmente sensibile alla visione e agli interessi francesi, si mostra prudentemente ottimista, ritenendo che nemmeno il nuovo governo tedesco, sulla base dei propri interessi nazionali, possa avvantaggiarsi di un ritorno a politiche rigide di austerità.
La nuova coalizione dovrà anche chiarire la propria posizione, più di quanto non faccia l’accordo sottoscritto, sulle modifiche istituzionali della UE sulle questioni internazionale. I tre partiti della coalizione “semaforo” sono tradizionalmente europeisti con una certa propensione per un’Europa federale da parte dei Verdi. Nel ridisegno delle istituzioni europee, sul quale si è aperta la discussione, la Germania potrebbe pesare in direzione di un maggiore peso del Parlamento prevedendo una possibilità di iniziativa legislativa del Parlamento stesso (potere che al momento non ha). Inoltre viene ipotizzata, in vista delle elezioni del 2024, la costituzione di liste transnazionali nonché la riproposizione dell’idea della nomina alla guida della Commissione europea del leader del partito che ottiene più consensi. Una norma quest’ultima che è già stata inserita nel Trattato di Lisbona, ma senza essere vincolante, tant’è vero che alla guida della Commissione è arrivata la von der Leyen sulla base di accordi tra i Governi e non il candidato dei Popolari Manfred Weber.
Altro terreno complesso è quello di una possibile, progressiva militarizzazione della politica europea in un contesto di rafforzamento di una politica estera comune, che finora si è scontrata con la volontà dei maggiori paesi (a partire dalla Francia) di difendere le proprie “riserve di caccia”. La nomina della leader Verde Annalena Baerbock non può che sollevare qualche preoccupazione. I Grunen si sono trasformati da partito pacifista radicale a sostenitori sempre più accesi della Nato e dell’atlantismo con una visione delle relazioni mondiali improntate alla logica del conflitto ideologico. Questo potrebbe far allontanare la Germania dalla prudenza e dal pragmatismo della Merkel (sempre attenta ovviamente all’interesse economico tedesco) per collocarla su una linea di contrapposizione con Russia e Cina che non aiuterà la soluzione dei problemi globali né quelli relativi alle aree di crisi.
Franco Ferrari