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Il movimento pacifista non c’è più

di Pier Giorgio
Ardeni

Dov’è finito il movimento pacifista? Si chiedeva il tedesco Heribert Prantl su il manifesto del 21 agosto scorso, parlando dell’assenza di manifestazioni e proteste, in Germania, contro il dispiegamento di missili. Forse perché, diceva, «la deterrenza è ora più importante del disarmo? I tempi sono diventati così guerreschi che non ha più senso parlare di disarmo? La parola pace ha perso il suo fascino? Dietro questi punti interrogativi c’è il silenzio.»
La domanda non riguarda solo la Germania, ma anche e forse di più il nostro Paese, che non pare più capace di reagire a ciò che, pure, lo investe direttamente, tanto per l’invio di armi e l’appoggio militare che per i suoi rapporti internazionali, il rispetto dei diritti umani e del diritto internazionale. Dall’Ucraina a Gaza, la guerra non conosce pausa e le prospettive appaiono di giorno in giorno più funeree: tra Ucraina e Russia, il conflitto procede verso l’escalation, senza che l’avvicinarsi del baratro spaventi nessuno. A Gaza, gli israeliani continuano a seminare distruzione e morte, senza che in Occidente riesca a levare qualcosa di più che una flebile voce di disappunto, oltre all’inerme grido del segretario dell’Onu.

In Ucraina, la situazione è gravissima e il ruolo della Nato appare sempre meno defilato. È lo stesso Putin a sottolineare che, se l’Ucraina colpirà la Russia con vettori e sistemi missilistici di fabbricazione occidentale, ciò implicherebbe un coinvolgimento diretto degli Stati Uniti e dei Paesi europei. «Non si tratta di permettere o meno al regime ucraino», afferma il presidente russo, «di colpire la Russia, ma di decidere se i Paesi della Nato sono direttamente coinvolti nel conflitto militare». Ebbene, di fronte a tale chiara dichiarazione, come reagiscono i governi occidentali? Fanno finta di niente, come non sembrano curarsene i partiti all’opposizione. Avete forse sentito dichiarazioni che invitano alla prudenza, a considerare le scelte compiute?
Il punto non è stabilire se Putin abbia ragione o meno e la sua sia solo “propaganda”, se gli ucraini sono capaci di utilizzare i sistemi di cui li stiamo dotando o se, davvero, per poterli usare sia necessario l’intervento diretto di militari, esperti, e strutture occidentali. Il punto è che ci stiamo spingendo in un coinvolgimento di tali proporzioni che non è azzardato dire che «siamo entrati in guerra con la Russia».

Ciò che più amareggia è che di fronte al conflitto ucraino abbiamo perso ogni capacità critica, obnubilati come siamo dall’idea che la Russia va colpita e punita, costi quel che costi, e che solo la sua sconfitta potrà porre fine al conflitto. Ma ciò non potrà accadere se non pagando un prezzo altissimo, della cui portata non vogliamo renderci conto.
Il nostro governo non fiata, è ovvio, steso com’è su una posizione di atlantismo incondizionato. Le nostre opposizioni, su questo come su ogni altro tema che riguarda la posizione europea, non sembrano essere da meno: si sta con l’Europa, fedeli all’Alleanza atlantica, senza profferire verbo. Nessun distinguo, nessuna remora. Tanto per chi aveva messo nel suo logo la parola “pace”, quanto per chi aveva fatto del “no alla guerra” la sua parola d’ordine.
Eppure, c’era nel Paese un’opposizione alla guerra, c’era un movimento pacifista – nelle sue mille facce cattoliche, non-violente, militanti comuniste, ecologiste – che pareva essersi risvegliato. In occasione delle elezioni europee era persino nata una lista – Pace, Terra, Dignità – che aveva fatto del “no alla guerra” la sua bandiera, contro il bellicismo e il riarmo. AVS e M5S si erano schierate per il no al riarmo europeo e il cessate il fuoco a Gaza. Passate le elezioni, una coltre di silenzio è calata e oggi, di fronte all’escalation, la politica italiana è muta, ma anche il mondo della cultura balbetta. Alla Biennale Cinema di Venezia, ad esempio, artisti statunitensi e di altri Paesi si sono espressi in modo plateale, denunciando Israele per ciò che sta facendo a Gaza, gli italiani no. In varie sedi, è state lamentata l’assenza forzata della Russia alle Olimpiadi, da tutti, ma non dagli atleti o dai loro dirigenti italiani.

Oggi, i parlamentari italiani eletti in Europa dovrebbero dichiarare il loro no all’utilizzo di armi Nato in territorio russo, inscenare sit-in di protesta, manifestare con vigore, tanto da farne parlare i giornali. Il parlamento europeo e la Ue dovrebbero alzare la voce contro Israele, intimare la fine del massacro e della distruzione, chiedere che siano rispettate le risoluzioni ONU e le richieste del Tribunale internazionale dell’Aia. Quei partiti e quegli eletti che avevano promesso di fare del “no alla guerra” e della contrarietà al riarmo la loro cifra dovrebbero farsi sentire, ad alta voce. Così come dovrebbe farsi sentire chi ha fatto del pacifismo una piattaforma politica, chi si era impegnato a portare avanti la bandiera della disobbedienza civile e della diserzione di fronte alla cecità di chi vuole solo opporre armi a chi con le armi distrugge e uccide.

Solo qualche giorno fa a Londra – dopo Berlino, Copenaghen e altre mille città – sono scese in piazza un milione di persone per la Palestina. Il nostro movimento pacifista, dopo i timidi vagiti che aveva espresso, sembra invece incapace di farsi sentire e raccogliere un vasto consenso. La prossima marcia Perugia-Assisi sarà un test, e c’è solo da augurarsi che ridia un po’ di speranza alla protesta. Il movimento non sembra trovare una “sponda” nei partiti e nelle organizzazioni politiche. Forse perché i loro leader sono risultati ad hoc, temporaneamente saliti sul palco del pacifismo, forse perché i nostri media sono per lo più schierati e di regime, l’obnubilazione italiana appare davvero sconfortante. Un popolo addormentato sotto l’incubo della guerra nucleare, succube del verbo imperialista che solo vede il dominio dell’occidente come faro della civiltà. I cui leader politici, tuttavia, hanno tutta la responsabilità di non fare della pace e della non belligeranza l’unica e sola questione dirimente. Ma saremo tutti a pagare, per quanto sfiduciati siamo, perché non abbiamo saputo opporci.

Pier Giorgio Ardeni

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1 Commento. Nuovo commento

  • Andrea Carloni
    21/09/2024 14:48

    “”La domanda non riguarda solo la Germania, ma anche e forse di più il nostro Paese, che non pare più capace di reagire a ciò che, pure,”” MA ECCO SPPIEGATO IL PERCHE’ ;iN Italia C’E UN PARTITO DI FINTA SINISTRA CIOE’ IL PD CHE ORAMI E’ DIVENTATO SOLO UN MEGAFONO DI RISONANZA DELLA NATO E DELLE FORZE ULTRAOLTRANZISTE, UN RESIDUATO BELLICO SINISTRATO ,mi meraviglia solo come ci siano ancora persone che lo votano !!!

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