Chi ha vissuto quel fatidico 3 febbraio del 1991 dovrebbe cominciare ad analizzare storicamente e politicamente ciò che è accaduto alla sinistra italiana nell’ultimo trentennio. Nel PCI, in cui ho militato finché è restato in vita, l’antagonismo verso l’idea di una globalizzazione indiscriminata dell’economia e della finanza era un punto fermo.
Quando quest’assioma ha cominciato a scricchiolare, la sinistra ha iniziato a smettere di parlare ai lavoratori e agli operai (ingannandoli peraltro in più occasioni) per rivolgere la propria attenzione verso il libero mercato (ove “libero” significa senza regole). Siamo stati traghettati dal marxismo illuminato al “postmoderno politico” senza accorgercene. Questo passaggio silenzioso ma letale ha significato accettazione passiva delle regole del capitalismo economico e finanziario globalizzato e deregolato. Capitale, lavoro e diritti sociali non sono stati più al centro dell’agenda politica della sinistra italiana.
Questa involuzione ha portato a gestire i fenomeni sociali tramite il solo metodo empirico assumendolo come verità assoluta e rinnegando in toto quel marxismo “critico” che invece era parte integrante del comunismo italiano. Così facendo, si è lasciato che il rapporto tra persona umana e lavoro fosse determinato dal mercato e dai pregiudizi economico sociali predominanti. L’idea del più debole da tutelare, cardine del comunismo, ha così perso la sua centralità. Per questo, il mondo del lavoro vive regole, spesso, inumane, frutto di un’economia e di una finanza degenerate verso il profitto ad ogni costo.
Nel PCI, per quanto assurdo possa apparire, l’agire politico aveva un fondamento morale che mai si riduceva al potere per il potere. L’idea della conquista, del suo esercizio e soprattutto del mantenimento non apparteneva all’ideologia comunista dell’epoca. Oggi, invece, a sinistra ognuno ha la propria visione del mondo e tutti sembrano in lotta per il potere fine a se stesso. Affrontando tali discrasie si potrà ripartire, con vero spirito critico, per ripensare la politica, l’ordine pubblico, la giustizia, la burocrazia, il sistema sanitario, il sistema scolastico, la scienza, l’economia, la finanza, l’impresa, visti non più come sistemi di potere ma come strumenti che rendano l’uomo fine e non mezzo. Occorrerà avversare quel capitale che si nutre di speculazione e di distruzione delle economie reali e delle strutture sociali organizzate che, di fatto, storicamente, hanno contribuito proprio alla difesa dei più deboli. Va ricucito, al più presto, il rapporto con la società civile ritornando alle origini della sinistra sociale, legata ai bisogni concreti della classe lavoratrice, con un progetto ambizioso e con strumenti di gestione democratica alternativi a quelli usati finora che vanno verso la democrazia digitale, cancellando, di fatto, il valore di quella parlamentare frutto delle radici storiche e culturali della resistenza antifascista.
Giustizia sociale, anziani e nuove generazioni, saranno le sfide da affrontare mediante piani straordinari ad hoc. Non nascondiamoci dietro un dito: va rifondato lo Stato sociale, considerando i nuovi poveri e cioè i giovani e gli anziani, facilitando l’accesso al lavoro e ai servizi sociali e medico sanitari. Non si potrà non considerare l’elaborazione di piani straordinari d’investimento nei settori della giustizia, della sanità, dell’agricoltura, dell’ambiente, delle infrastrutture e del turismo. Va rivista la spesa pubblica, con nuove politiche sociali innovative, contemplando soprattutto le periferie evitando di concentrarla prevalentemente nelle metropoli. Occorre una riforma radicale di scuola e università facilitando le famiglie nel sostegno agli studi dei propri figli, eliminando le baronie ed evitando lungaggini anacronistiche che non tengano conto delle nuove tecnologie e della mutevolezza del mondo del lavoro. Va ricostruita radicalmente la pubblica amministrazione, tagliando tutti gli sprechi inutili e dannosi. Andrà affrontato il problema della sicurezza nei quartieri e nelle città, garantendo diritti e doveri nel rispetto di un sistema di regole che assicuri il rispetto della legalità. Un patto sociale forte e concreto va stipulato con le diverse comunità locali e nazionali per stroncare mafie, corruzione ed evasione fiscale.
La nuova sinistra non può essere arrendevole nei confronti di questi tre problemi che assassinano l’Italia. Libertà, verità e giustizia, sono valori inderogabili, e con essi la dignità della persona umana collocata al centro dei valori fondanti del nuovo partito. I giovani dovranno sentire il forte profumo delle nuove politiche sociali e culturali rigeneranti, unitamente a una visione di società del futuro, concreta, visibile e nella quale l’uomo, lo ripeto, è il fine e non il mezzo della nuova politica degli anni a venire. Libertà e giustizia sociale, diventino i veri pilastri della sinistra del terzo millennio, e costituiscano – come insegnava Sandro Pertini – un binomio indissolubile.
Vincenzo Musacchio è giurista, professore di diritto penale, associato al Rutgers Institute on Anti-Corruption Studies (RIACS) di Newark (USA). Ricercatore dell’Alta Scuola di Studi Strategici sulla Criminalità Organizzata del Royal United Services Institute di Londra. Discepolo di Giuliano Vassalli e allievo di Antonino Caponnetto.