Il Congresso del Partito della Rifondazione Comunista si è tenuto a ridosso delle elezioni amministrative che hanno attestato quello che, per altro, si sapeva già: lo stato tutt’altro che entusiasmante della sinistra radicale che si colloca in autonomia e alternativa al PD e al – ricostituendo – centro-sinistra. Se si esclude il voto per la Regione Calabria, dove si è creato un ampio schieramento di forze politiche e sociali attorno a Luigi De Magistris e qualche eccezione locale, la presenza della sinistra si è caratterizzata per la frammentazione delle liste e la scarsa incidenza elettorale complessiva. Un’area di influenza che si aggira attorno al 2-3%, ma che arriva a questa cifra contando mediamente dalle tre alle sei liste. Il risultato è la crescente esclusione dalle sedi istituzionali.
All’interno di questo quadro si muove il PRC, un tempo forza egemone della sinistra radicale, oltre che, fino alla sconfitta della Sinistra Arcobaleno, presenza minoritaria ma significativa del sistema politico e che oggi si trova ad essere solo uno dei diversi soggetti in competizione per occupare lo spazio – elettorale e militante – dell’estrema sinistra. Uno spazio che nel frattempo si è ridotto come è evidente. Questo partito conserva alcune peculiarità che lo distinguono dalle altre formazioni rivali, oltre a quella di mantenere ancora, per quanto fortemente indebolita, una base di quadri e di militanti sperimentati (il che implica di contrasto anche un’età media piuttosto elevata) e inseriti attivamente in realtà di movimento e di conflitto sociale. Dotati, come si direbbe in politologia, di un proprio “capitale politico”. Ovvero, detto in termini a noi più consoni, di passione e di competenze.
Il pericolo delle “shibboleth”
Rispetto ad altre forze, il PRC mantiene un profilo plurale che deriva dalla sua impronta originaria. E’ sorto dalla confluenza di diverse culture politiche, sia quelle provenienti del PCI (numericamente maggioritarie, ma già differenziate tra loro), sia quelle provenienti dalla ex “Nuova Sinistra” (in particolare DP), sia correnti meno nuove (come il filone trotskista, sempre minoritario ma che ha avuto un’influenza assai superiore alle proprie forze effettive attraverso l’applicazione di varie strategie “entriste”). Le numerose scissioni hanno indebolito questo carattere plurale, ma non lo hanno cancellato. Mentre forze nate da quelle scissioni hanno puntato in genere a costruirsi attorno ad un particolare frammento ideologico, spesso ricollegandosi a visioni antecedenti alla stessa formazione del PRC.
Già Marx, in una lettera ad un suo corrispondente, rilevava la differenza tra il movimento di una sétta e il movimento di una classe. “Le sétte – scriveva – vedono la giustificazione della loro esistenza e il loro ‘punto d’onore’ – non in ciò che hanno in comune con il movimento della classe, ma in particolari shibboleth che lo distinguono da esso”. Con il termine shibboleth si intende “parola che contiene un suono difficile da pronunciare per un parlante di altra lingua, attraverso la quale può essere riconosciuto un individuo non appartenente al proprio gruppo etnico o linguistico”. La frammentazione secondo linee ideologiche o specifiche strategie politiche, porta quasi sempre ad esaltare queste shibboleth, concetti che servono prevalentemente a distinguersi dalle sétte o formazioni politiche rivali in un campo politicamente ridotto e sovraffollato di “offerte politiche”, a cui si per altro contrappone una “domanda” scarsa.
È importante che il PRC non solo mantenga ma punti a rafforzare una visione plurale delle correnti politico-culturali che si collocano nel campo dell’anticapitalismo e dell’antiliberismo. Il rischio della trasformazione in una “comunità di fedeli” aggregata attorno a particolari teorie (più o meno valide), soprattutto quando i numeri si riducono, è sempre presente. Evitare questo pericolo vuol dire anche riconoscere come propria, in modo critico, la storia (nei suoi successi e nelle sue sconfitte ed errori) dell’insieme del movimento operaio italiano, comunista e socialista, senza cadere in forme di settarismo retroattivo.
Questa visione del movimento di classe e dei movimenti alternativi al liberismo e al capitalismo come espressione di una pluralità che va portata ad unità politica, sta alla base degli sforzi unitari che sul piano politico e sociale, Rifondazione Comunista ha sempre cercato di condurre, distinguendosi da posizioni settarie di altre formazioni. E questo elemento (anche se non sempre viene riconosciuto) si è espresso nelle numerose presenze esterne che si sono registrate al Congresso e che non si sono limitate a formali saluti ma hanno cercato di interloquire (da posizioni molto diverse tra loro) con il PRC.
Una visione plurale e unitaria di un potenziale blocco politico e sociale alternativo si può riscontrare anche nella proiezione internazionale. Il PRC mantiene intense relazioni con un insieme significativo di forze e movimenti politici di tutto il mondo, con un rilievo che va ben al di là di quello che sarebbe giustificato dalle sue forze e influenza attuali. Il Congresso ha giustamente e nettamente respinto l’idea di tornare a concezioni del campo delle forze di sinistra alternativa a livello mondiale basate su fedeltà ideologiche o peggio ancora puramente nominalistiche. Rifondazione Comunista, come si è visto dai saluti e dagli interventi al Congresso, mantiene relazioni con forze comuniste, socialiste, antiliberiste, di liberazione nazionale, anche quando queste sono a volte tra loro in conflitto sul piano nazionale. Questo insieme di relazioni plurali non si limita al piano della solidarietà internazionalista, ma si misura su altri due livelli. Da un lato la costruzione di strutture unitarie per dar vita ad un’azione politica comune (soprattutto a livello europeo con il Partito della Sinistra Europea e il gruppo dell’Europarlamento “The Left”), dall’altro l’interazione crescente con le comunità di immigrati, viste non come blocchi omogenei ma come realtà necessariamente attraversate da divisioni sociali e da conflitti politici e ideologici.
Come si costruisce la “rappresentanza politica”?
Altro punto che, a me pare, il Congresso ha cercato di affrontare è quello della costruzione di una “rappresentanza politica” delle classi lavoratrici e dei movimenti sociali conflittuali. Per usare la terminologia “classica”, l’aspetto tattico e quello strategico di questo obbiettivo sono definiti e non sono oggetto di particolari dispute. Sul primo punto è netto il collocarsi all’opposizione del governo Draghi (per il quale sembra in fase di esaurimento il momento dell’”incantesimo” legato all’uscita dalla pandemia come obbiettivo sovrastante tutti gli altri e iniziano ad emergere punti di conflitto) e sul secondo l’obbiettivo della costruzione di un polo politico-elettorale alternativo alla destra e al centrosinistra a guida PD.
Nel dibattito, come è inevitabile, si sono sentite differenze di accenti, più che vere contrapposizioni, tra chi sottolinea l’elemento della costruzione di conflitti dal basso e chi rileva che senza una adeguata proiezione elettorale-istituzionale, questi stessi conflitti rischiano di non modificare l’agenda politica e il rapporto di forze più complessivo che oggi è sfavorevole alle classi popolari.
D’altra parte quando si parla di “rappresentanza politica” di un insieme di forze che si collocano sia sul terreno proprio delle classi sociali sia su quello più articolato dei movimenti, si intende qualcosa di più complesso della mera proiezione elettorale o della presenza all’interno delle istituzioni. L’individuazione delle forze che sono oggi senza rappresentanza (o che la cercano in modo subalterno all’interno dei due poli esistenti) va collegato a forme organizzative adeguate (lo “strumento politico”) e ad un progetto che dia una risposta alle principali contraddizioni nelle quali si trova inviluppato il capitalismo italiano, europeo e globale. Contraddizioni che sembrano destinate ad aggravarsi più che a risolversi (come appare evidente anche da molte approfondite analisi che compaiono regolarmente qui su Transform! Italia). Dare maggiore solidità teorica e chiarezza espositiva al nesso “analisi delle contraddizioni – individuazione dei soggetti sociali – forme organizzative – progetto politico” vuol dire a mio parere essere in grado di unire e non contrappore capacità di presenza e di azione nei conflitti sociali, costruzione di una strategia politica e salto di qualità nella proposta elettorale. Sono questi i diversi livelli nei quali si costruisce “rappresentanza politica”, a partire da un’analisi adeguata della realtà.
La costruzione di uno “strumento politico antiliberista di massa” (definizione mia) non può che essere un processo di cui non è facile prevedere i tempi. L’accelerarsi di elementi di crisi può aprire improvvise finestre di opportunità che bisogna sapere cogliere, ma è anche necessario attrezzarsi a un lavoro di più lunga lena.
Molti sono i temi che emergono dal lavoro di elaborazione e dal dibattito interno a Rifondazione Comunista ma sui quali restano elementi di ambiguità o di incertezza che sono per altro del tutto comprensibili perché sono presenti nella discussione anche esterna al partito stesso e in gran parte della sinistra alternativa nel mondo. Viene individuato un asse “rosso-verde”, ovvero il collegamento necessario tra questioni sociali e questione ambientale, attorno al quale costruire un progetto e una nuova rappresentanza politica, ma diversi aspetti risultano ancora insufficientemente determinati: dimensione europea del conflitto politico-sociale, natura e qualità dei processi di globalizzazione (e sua crisi), pericolo di una nuova guerra fredda, impatto economico e sulla condizione lavorativa (e più in generale antropologica) della digitalizzazione, rapporto tra politiche redistributive e più complessivo modello di sviluppo, ecc. Questione che sono teoriche certamente ma anche di grande impatto sulla vita presente e futura della maggior parte delle persone.
Una ricerca che non può che avvenire nel vivo dello scontro politico e sociale e che soprattutto va quanto più possibile ricollegata al senso comune diffuso, rompendo lo stato di incomunicabilità esistente tra chi, a sinistra, si propone di dare forza politica a classi popolari e movimenti alternativi e questi stessi soggetti.
Franco Ferrari