Finalmente si muove qualcosa. Per il 27 settembre a Berlino si è stata indetta una grande manifestazione per Gaza (Zusammen für Gaza – stoppt den Völkermord, Insieme per Gaza, fermiamo il genocidio). Stavolta anche la Linke è riuscita a superare se stessa e ad aderire con la sua co-presidente Ines Schwerdtner alla piattaforma di singole personalità, per la prima volta in quasi due anni di genocidio contro il popolo palestinese, con un appello unitario in quanto partito. La direzione centrale aveva perso una preziosa occasione di partecipare all’empatia di un popolo che non sopporta più di stare in silenzio di fronte alle efferatezze di Israele, non aderendo alla prima grande mobilitazione del 21 giugno scorso. Ciononostante a questa avevano partecipato spontaneamente molte federazioni e settori di base, giovani e studenti della Linke. Di un’eventuale decisione della direzione di organizzare una manifestazione in proprio per luglio non si era fatto più niente, per “problemi organizzativi” confessati da Schwerdtner in un’intervista, facendo intendere delle difficoltà che non vi fossero “bandiere di Hamas o dell’Iran”. Intanto per il 13 settembre ha indetto una manifestazione per la pace contro il riarmo e il genocidio a Gaza anche Sahra Wagenknecht, con varie personalità del mondo della cultura e dello spettacolo, tra cui Roger Waters con un intervento in collegamento.
L’adesione della Linke alla manifestazione del 27 settembre si deve soprattutto alla pressione della base e dell’opinione pubblica, anche se non (ancora) paragonabile alla spinta e alla manifestazione di empatia a cui stiamo assistendo in Italia e in altri Paesi del mondo, in particolare in coincidenza dell’avvio della Global Sumud Flotilla, che in Germania non gode praticamente di alcuna attenzione mediatica. Sembra però permanere nel partito lo scollamento tra i dirigenti e una sempre più ampia base del partito, è anzi sempre più evidente, come dimostrano le dichiarazioni di esponenti di rilievo della Linke anche a pochi giorni dall’annuncio di aderire alla manifestazione centrale, indetta dalla comunità palestinese, con organizzazioni come Medico International e la sezione tedesca di Amnesty International e che si deve all’instancabile iniziativa di alcuni intellettuali e artisti come il musicista Michael Barenboim, figlio d’arte del maestro Daniel, fondatore, insieme al grande intellettuale palestinese Edward Said, della West-Eastern Divan Orchestra e dell’Accademia Barenboim-Said.
Di fronte agli attacchi diffamatori dell’informazione mainstream e delle potenti rappresentanze delle autorità israeliane, tra Ambasciata e Consiglio centrale ebraico, contro singoli settori e persone del partito attivi nella solidarietà con il popolo palestinese, i dirigenti della Linke si mettono solitamente sulla difensiva e adottano la narrativa di chi accusa la sinistra di antisemitismo, la clava ormai nota e così grossolana usata anche contro ebrei progressisti che si battono contro il genocidio. È successo in maggio con la presa di distanza dalla sindacalista Ulrike Eifler, membro della direzione centrale, per un post con la cartina della Palestina e la scritta Free Palestine. Il 18 agosto Jan van Aken, inoltre, ha risposto in una lunga intervista televisiva a una campagna diffamatoria nei confronti di circoli di base per aver organizzato il 9 agosto una festa di solidarietà con Gaza con una organizzazione che, secondo la definizione dei famigerati servizi Verfassungsschutz (“tutela della costituzione”), farebbe da ombrello al FPLP e ad Hamas. Senza preoccuparsi di verificare i fatti, van Aken ha detto di disapprovare qualsiasi collaborazione con Hamas, o chi la sostiene, e quindi ribadisce che l’iniziativa non ha goduto dell’appoggio del partito. Bodo Ramelow, per dieci anni capo del governo di Turingia, di recente rieletto in Bundestag, qui vice-presidente, e strenuo difensore dell’invio di armi in Ucraina, ribadisce il concetto di “antisemitismo anti-israeliano” e sostiene, attaccando un’attivista, che insistere sull’uccisione di bambini a Gaza da parte dell’esercito israeliano sia assumere la visione di Hamas che offre il fianco secondo lui all’espressione nazista secondo cui “gli ebrei mangiano i bambini”.
È evidente che parti della Linke siano totalmente subalterne alla narrazione israeliana sotto la pressione della Staatsräson, la ragione di stato che lega indissolubilmente la Repubblica federale tedesca allo Stato di Israele. Lo si è visto per esempio al congresso di maggio scorso con la vana opposizione dei dirigenti all’adozione (grazie a una maggioranza di misura) della dichiarazione di Gerusalemme sull’antisemitismo in contrapposizione alla definizione dell’IHRA (International Holocaust Remembrance Association) che vuole che sia antisemita anche la critica nei confronti di Israele. Una decisione che ha avuto il plauso in una dichiarazione pubblica di più di 50 autorevoli accademici ed intellettuali tra cui Anna Foa, Enzo Traverso, Omer Bartov e Amos Goldberg, critici nei confronti della definizione dell’IHRA che viene usata sempre più di frequente dalle autorità tedesche per reprimere il dissenso che, con l’inasprirsi della volontà di annientamento da parte di Israele del popolo palestinese, si cerca sempre più brutalmente di soffocare.
Le forze dell’ordine di Berlino, nonostante abbiano in bella mostra un numero identificativo e vengano ripresi dai social, continuano ad attaccare manifestanti pacifici costringendoli a ricorrere alle cure mediche, quasi a dimostrare che possono agire impunemente come i militari dell’IDF e il governo israeliano. A Colonia una manifestazione pacifista contro l’industria bellica Rheinmetall ha subito un blocco della polizia che ha ”imprigionato” i partecipanti fino alle ore notturne. A maggior ragione duole la timidezza delle reazioni da parte di un partito di sinistra che ha raddoppiato i propri consensi e iscritti (soprattutto giovani) nel giro di pochi mesi (120.000) e ha saputo mobilitarli con grande efficacia garantendosi quasi il 9% dei consensi alle elezioni di febbraio, e ancor più a fronte di una classe dirigente indecente il cui massimo rappresentante, il cancelliere Friedrich Merz, dichiara che Israele “fa il lavoro sporco per tutti noi”, con un’espressione già in voga tra le SS, senza che alcuno si sia precipitato a gridare in piazza “non in mio nome”.
Si prepara il terreno per una guerra imminente contro la Russia, operazione che vede l’attivismo dei fidi socialdemocratici (il ministro della guerra, pardon, della difesa è Boris Pistorius, il politico ahimé più popolare, sua è l’espressione di una Germania “abile alla guerra”). Esperti militari, diventati autori di best-seller con fantomatici scenari di guerra1, dicono che quella che sta per finire è l’ultima estate di pace. Si susseguono pubblicazioni e articoli sullo stato di preparazione in caso di emergenza, ossia attacco esterno (da parte della Russia, ovviamente), sulla scia dell’Organisationsplan, il piano organizzativo ufficiale dell’esercito, la Bundeswehr, come pubblicato in una sua brochure2, con il coinvolgimento complessivo di enti locali e infrastrutture civili (leggi: ospedali).
È in corso una militarizzazione della società senza precedenti nella storia del dopoguerra, a cui ha dato l’avvio già il governo precedente guidato dal socialdemocratico Olaf Scholz che aveva promosso il primo fondo straordinario (inserito in Costituzione) per il riarmo di 100 miliardi, poco dopo l’aggressione russa in Ucraina. La stura definitiva l’ha data lo sblocco in Costituzione del cosiddetto Schuldenbremse o freno al debito per un indebitamento di fatto illimitato esclusivamente a favore del riarmo (tutto ciò che supera l’1% del Pil). Il pacchetto “militare” prevede anche 500 miliardi di fondo straordinario per infrastrutture che però sembrano rispondere alle esigenze di dual use, per esempio messa in sicurezza di strade e ponti su cui possano transitare i panzer. Mentre il rigore fiscale rimane la regola ferrea per tutte le altre voci in bilancio. Si può ben immaginare a scapito di cosa: non a caso il cancelliere rende noto che “lo stato sociale così com’è oggi non è finanziabile”. Ma secondo i dati dell’Ufficio di Statistica federale il rapporto tra spese sociali e Pil rimane invariato nel corso degli anni (2015: 5,64% – 2024: 5,53% del Pil). Mentre per sanare il “buco” di bilancio storico (172 miliardi) entro il 2029 il vicecancelliere Lars Klingbeil, ministro delle finanze e la ministra del lavoro Bärbel Bas, nonché leader in tandem della Spd, sperano di racimolare 30 miliardi dalla lotta all’evasione fiscale e contributiva e alle truffe nei confronti del sussidio sociale, dove si annunciano inasprimenti e sanzioni per chi non si attiene alle regole. Klingbeil ha imposto tagli a tutti i dicasteri, mentre per il militare non si bada a spese, compreso il sostegno per nove miliardi all’Ucraina. Mentre l’Unione di Cdu/Csu si oppone a più imposte per alti redditi, quelli medio-bassi languono, ma l’opinione pubblica è invece favorevole (al 65%), ivi compreso l’elettorato conservatore, ad aumentare le tasse per quelli alti. Una maggioranza anche se risicata (51%) vorrebbe aumentare le tasse di successione, mentre ben l’81% respinge qualsiasi ipotesi di innalzamento dell’età pensionabile a 70 anni dagli attuali 67.
Campagne a tappeto della Bundeswehr, l’esercito federale, per reclutare 60.000 unità, e rafforzare le file dei riservisti, che mancherebbero per garantire la difesa del Paese, invadono gli spazi pubblici. “L’esercito deve crescere“, dice Pistorius, “lo richiede lo stato di sicurezza internazionale, soprattutto l’atteggiamento aggressivo della Russia”. Intanto la popolazione dai 18 ai 39 anni prova meno entusiasmo verso la divisa (solo il 40-45% è a favore della leva obbligatoria), mentre complessivamente più o meno due terzi (a seconda dei sondaggi, e sono gli anziani, che sono anche più numerosi, a innalzare la media) si esprimono a favore della reintroduzione dell’obbligo di leva. Quindi si cerca di invogliare la fascia giovanile con la prospettiva di più alti salari e con una leva per ora non obbligatoria, con invio di questionari ai maschi e femmine che compiono 18 anni nel 2026 con obbligo di risposta solo per i maschi, per tastare il terreno, in vista dell’introduzione dell’obbligo, qualora il provvedimento, che scatta dal 2026, ovvero la leva volontaria, dovesse rivelarsi insufficiente. La nuova legge prevede per esempio la visita obbligatoria a partire dal 2027. Per evitare il rischio convocazioni forzate, la storica organizzazione DFG-VK (Società di pace e Obiettori di coscienza riuniti), che indice una manifestazione per il 3 ottobre per la pace (“Nie wieder kriegstüchtig!” Mai più abili alla guerra!), consiglia di inviare esplicita richiesta di esonero per motivi di coscienza, diritto tutelato comunque in Costituzione all’art. 4 del Grundgesetz, la legge fondamentale. Secondo il suo rappresentante Michael Schulze von Glaßner l’aumento recente di tali richieste indica la preoccupazione che l’obbligo di leva venga reintrodotto3.
Non è un caso che vi sia questa precipitazione bellicistica, accelerata dal genocidio di Gaza e quindi in Cisgiordania, in un momento in cui la guerra è diventata “elemento ordinatore della politica”4, per cui si fa carta straccia definitivamente del diritto internazionale (che Israele non ha mai rispettato), per puntare sul dominio dell’economia di morte, come ricordava il compianto Papa Francesco, e mandare definitivamente nel dimenticatoio della storia, con il diritto, anche lo stato sociale, eccezione europea, ché i soldi servono per “difenderci”. L’annuncio di Merz per uno stop parziale all’invio di armi a Israele (limitato a quelle in uso a Gaza), in realtà non ha conseguenze per le commesse già stipulate. Inoltre non appare così scontato sapere quali armi impieghi Israele e dove, come se fosse tra l’altro legittimo usarle contro la popolazione della Cisgiordania. Ma Israele rimane comunque un prezioso alleato: Il ministro degli interni Alexander Dobrindt, quello dei respingimenti illegali alle frontiere tedesche, durante una visita in Israele a fine giugno, ha annunciato una più stretta collaborazione in particolare sulla cybersecurity. E Israele, com’è noto, è una delle potenze militari che esporta in tutto il mondo le sue sofisticate tecnologie belliche e di sorveglianza testate sulla carne viva del popolo palestinese5. Chi ha occhi per guardare e informarsi lo può facilmente apprendere da un giornalismo investigativo di eccellenza che il mainstream, in primis quello tedesco, ignora.
Quanto l’economia di morte faccia affari con il genocidio lo spiega mirabilmente la relatrice Onu Francesca Albanese, anche in Germania sabotata dalle centrali accademiche e trattata come un’antisemita (sic), e laddove va in porto un’iniziativa, la polizia la presidia in modo massiccio, mentre riceve affetto e plauso di innumerevoli attivisti. Intanto il portavoce del governo ha fatto sapere che Merz, telefonando all’emiro del Qatar, di cui ha lodato gli intenti di mediazione per un cessate il fuoco a Gaza, ha condannato l’attacco di Israele definendolo un’inaccettabile violazione della sovranità e dell’integrità territoriale. La guerra non deve allargarsi all’intera regione. Il governo federale lo farà presente al governo israeliano. Postando la nota del governo, il giornalista Tilo Jung mette in evidenza la partecipazione del Qatar in varie imprese tedesche tra le quali Volkswagen, Deutsche Bank, Siemens, Hapag Lloyd, il colosso energetico RWE e quello dell’edilizia Hochtief.
Sul fronte economico, al terzo anno di recessione non si registrano novità rilevanti e sembra vano sperare in una pronta ripresa per un modello ormai scaduto: non sembra infatti possibile che il “ricostituente”, il cosiddetto booster, di sgravi fiscali alle imprese di 48 miliardi possa rilanciare un’economia che si basa sull’export, in particolare dell’automotive, che ora si trova a subire la mazzata dei dazi di Trump. È in vista un vertice governativo con l’industria automobilistica che, dopo i ritardi per esempio rispetto alla Cina, vuole puntare sull’elettrico ma storce il naso all’abbandono del motore termico entro il 2035. Pare alquanto improbabile che la riconversione già in atto dal civile al militare possa far fronte alla perdita di migliaia di posti lavoro. In un anno se ne sono persi ben 51.000 solo nell’industria dell’auto (-7%), più che in qualsiasi altro settore industriale, per un totale di 114.000, portando gli occupati nell’industria tedesca a 5,42 milioni, secondo il rilevamento del 30 giugno (-2,1% rispetto all’anno prima). Dal 2019 i posti di lavoro andati perduti sono 245.000, pari a un calo del 4,3%. Soprattutto nell’automotive ciò si deve a massicci cali nel profitto (-1,6% di volume d’affari), sovrapproduzione e indebolimento del mercato estero, secondo lo studio della società di consulenza EY. Nell’industria il calo complessivo del secondo trimestre è stato pari al 2,1%, l’ottavo dato negativo consecutivo.
L’esecutivo di conservatori e socialdemocratici sembra navigare a vista. Perde pezzi nei sondaggi mentre avanzano l’estrema destra di Afd, con il 25-26% alla pari e in sorpasso a seconda delle rilevazioni rispetto alla Cdu/Csu (25%), con parti di queste che occhieggiano molto da quella parte, e Linke che oscilla tra il 10 e il 12 percento, mentre la Spd langue al 14-15%6. Oltre all’economia anche le istituzioni non se la passano benissimo: prima della pausa estiva ha creato grande scalpore la mancata elezione al Bundestag (che richiede una maggioranza dei due terzi) di una giudice della Corte costituzionale proposta dalla Spd in accordo con i conservatori, a causa di franchi tiratori tra questi ultimi che hanno preferito votare contro (come l’Afd) dopo una campagna diffamatoria per le posizioni della persona in questione a favore della depenalizzazione dell’interruzione di gravidanza.
Paola Giaculli
- Il libro di uno di questi autori, Carlo Masala, docente presso l’Università del Bundeswehr, è stato di recente tradotto in Italiano con il titolo Se la Russia attacca l’occidente. Uno scenario possibile (Rizzoli). Una curiosità: il titolo originale tedesco è Wenn Russland gewinnt. Ein Szenario”, cioè “Se vince la Russia. Uno scenario”.[↩]
- https://www.bundeswehr.de/resource/blob/5920008/5eb62255741addec3f38d49a443d0282/booklet-operationsplan-deutschland-data.pdf.[↩]
- https://www.zdfheute.de/politik/deutschland/wehrpflicht-kriegsdienstverweigerer-antraege-100.html.[↩]
- Vedi: Barbara Auleta e Stefano Ciccone, “Gaza parla di noi, del nostro ritardo sulla centralità della guerra”, Il manifesto 4 giugno 2025.[↩]
- Vedasi Antony Loewenstein, “Laboratorio Palestina“ (Fazi, 2024).[↩]
- https://www.wahlrecht.de/umfragen/.[↩]