Le scene apocalittiche in Libano, provocate dai bombardamenti israeliani continuano incessantemente a colorare di rosso sangue il cielo del Paese dei cedri.
Israele ad un anno dall’inizio della guerra contro Gaza e dal continuo scambio di attacchi giornalieri al sud del Libano contro Hezbollah, negli ultimi giorni ha iniziato quella che ha definito un’operazione di terra limitata in Libano, ma che in realtà sta sprofondando il paese in una “seconda Gaza”, con pesanti attacchi anche al centro di Beirut.
Qualche giorno fa, durante la notte l’aviazione israeliana ha bombardato di nuovo la strada che porta all’aeroporto e molte zone centrali della capitale libanese, come ha dichiarato una fonte della sicurezza dell’AFP.
Dopo i violenti attacchi dei giorni scorsi, gli Stati Uniti hanno chiesto ad Israele di non attaccare l’aeroporto di Beirut. “Pensiamo che sia molto importante che non solo l’aeroporto sia aperto, ma anche le strade che conducono ad esso, in modo tale da poter permettere a tutti i cittadini libanesi e non, di poter lasciare il paese in sicurezza, ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato Matthew Miller in un’intervista ai giornalisti.
Molti si chiedono se questo è il modo in cui Israele voglia la pace, come più volte dichiarato dal Presidente Netanyahu.
Sembrerebbe che si stia creando un nuovo vocabolario invertendo il significato delle parole pace = guerra.
Nonostante gli Stati Uniti abbiano talvolta criticato il numero di persone uccise da Israele a Gaza (quasi 42.000 quelle accertate nell’ultimo anno) e il Presidente Joe Biden abbia definito alcune delle azioni di Israele “esagerate”, e riferendosi al Libano si ritenga di voler intraprendere la strada diplomatica, Washington non ha cambiato la sua politica di sostegno ad Israele nelle sue operazioni militari in espansione.
Ma, ha aggiunto l’attuale Presidente USA, “siamo consapevoli di tutte le volte in cui, anche in passato, Israele è entrato in operazioni definite limitate ed è rimasto per mesi o per anni”. La popolazione libanese è stremata, vive nella paura, giornalmente aumentano le richieste di donazione di sangue, per poter aiutare i feriti negli ospedali.
Tuttavia nonostante le notti dell’orrore, come vengono definite dalla popolazione libanese, non si plachino, viene chiesto alle scuole di riaprire. Ma come si può ritornare tra i banchi e fare finta che nulla stia accadendo, dice Leyla, insegnante presso una scuola materna a Beirut.
Nello stesso tempo il flusso della vita continua, il sole sorge e la notte arriva come in ogni parte del mondo, il popolo ha bisogno di andare a lavorare, non si può restare a casa a custodire i propri figli grida Ibrahim, non si può fermare il ciclo della vita, dobbiamo cercare di sopravvivere come meglio possiamo.
“La nostra città è irriconoscibile – dice Nagib -, tutti i nostri ricordi sono rimasti in mezzo alle macerie, tutto in fumo, i sacrifici di una vita intera sporchi di sangue martorizzato. Mi chiedo come possa un essere umano che abbia un cuore, cancellare e distruggere le nostre vite, i nostri ricordi e creare orrore”, continua Nagib.
Chi sta pagando le spese più alte in questa guerra sono i civili, i bambini, gli operatori sanitari, i giornalisti e i militari.
La tensione è così alta che anche l’arrivo di giornalisti occidentali, che magari non hanno verificato prima la possibilità di effettuare riprese, viene considerata un pericolo. Ne hanno fatto le spese gli operatori della RAI che sono stati aggrediti a Sidone, nell’indifferenza della popolazione che ha assistito al confronto.
Molti artisti libanesi dipingono la propria sofferenza attraverso la musica, l’arte, per immortalare un dolore che buca le loro anime.
L’esercito israeliano ha dichiarato che oltre 30 soldati sono stati feriti nelle ultime ventiquattro ore al confine libanese, mentre venivano lanciati raid mirati contro Hezbollah, espandendo le loro operazioni di terra lungo la costa del Paese dopo aver schierato più truppe. Hezbollah ha detto di aver preso di mira le truppe a Labouneh, vicino ad al-Naqourak, dove hanno sede le forze di pace delle Nazioni Unite.
In un comunicato, Hezbollah ha affermato che i suoi combattenti hanno attaccato una forza israeliana che “si è infiltrata da dietro la posizione delle forze UNIFIL a Labouneh”, costringendola a ritirarsi e infliggendo vittime tra i soldati.
Ha inoltre accusato l’esercito israeliano di stare utilizzando le forze UNIFIL che ricordiamo essere composte da 1.200 soldati italiani presenti nella zona dal 2006 in quanto missione ONU dal 1976, come scudi umani e ha dichiarato che i suoi combattenti non attaccheranno le truppe UNIFIL Una parte delle truppe israeliano si è spostata, appositamente dietro le postazioni della forza di pace delle Nazioni Unite vicino ai villaggi libanesi di confine.
I militari UNIFIL sono di fatto chiusi in un bunker e, da dichiarazioni del governo italiano non si esclude affatto che venga definito un piano per il loro disimpegno da tale missione.
Hezbollah ha anche preso di mira i soldati a Metula e Menara, nel nord di Israele, e nella città libanese di confine di Maroun al-Rass.
Durante la settimana scorsa l’esercito israeliano ha dichiarato che con una delle operazioni “limitate” ha smantellato un tunnel pieno di armi, bombe e missili anticarro di Hezbollah che dal Libano attraversava per pochi metri Israele.
Tantissimi i cittadini libanesi e non che cercano di prenotare il primo aereo disponibile per poter scappare dall’inferno, ma anche tanti altri che non vogliono lasciare un paese in cui hanno creato radici, per loro l’inferno diventerebbe l’abbandono della propria patria afferma Yusra.
Non vanno dimenticati i profughi palestinesi e siriani che sono scappati dai propri paesi per poter vivere una vita lontani dalla guerra e che, nonostante il silenzio di una pace illusoria e momentanea, si trovano a ricadere nel buio, in una trappola senza apparente via d’uscita.
Mohamed e la moglie hanno deciso di non abbandonare la loro casa presso Baalbek, dove si prendono cura di tutti i cagnolini che sono stati abbandonati non volontariamente dai loro vicini morti a causa dei bombardamenti.
Mentre il Ministro della Difesa israeliano Yoav Gallant ha dichiarato martedì durante un briefing che Hezbollah è “malconcio e distrutto” in seguito ai continui e potenti attacchi contro il gruppo sciita e dopo l’uccisione del suo leader Sayyed Hassan Nasrallah, il “Partito di Dio si va riorganizzando”.
Il vice capo di Hezbollah, lo sceicco Naim Qassem, ha dichiarato martedì che le capacità militari del gruppo sono rimaste “buone” nonostante settimane di pesanti attacchi di aerei israeliani.
“I risultati quotidiani che stiamo raggiungendo giornalmente sono grandi, lanciamo centinaia di razzi e decine di aerei (droni), un gran numero di insediamenti e sul territorio israeliano”.
È una battaglia che sembra non avere fine, non contro Hezbollah ma contro uno Stato sovrano, il Libano e che si sta allargando sempre di più, coinvolgendo anche altri paesi come l’Iran, Iraq, Yemen, Siria e persino la Giordania con cui Tel Aviv è in ottimi rapporti.
Il colore che prevale è il rosso fuoco della resistenza, come le fiamme che bruciano un intero paese a causa delle bombe, come le vittime di una guerra non voluta e come il sangue che vibra nei cuori di ogni singola persona coinvolta volontariamente ed involontariamente.
La strada da percorrere è ancora lunga e buia, non si vede ancora la luce, ma si spera in un finale migliore dove i contrasti di luce nel cielo siano provocati da madre natura e non dagli esseri umani desiderosi di potere ed espansione e violenza.
Alessandra Fiumara