Riprendiamo da factorya.org l’articolo di Alessandra Mecozzi –
Parlare di guerra e femminismo, dopo oltre un anno di orrori del genocidio ancora in corso di Israele contro la popolazione palestinese, non è facile. La stessa parola guerra è inadeguata, non si tratta infatti di un conflitto tra Stati, tra eserciti, ma di uno degli eserciti più potenti del mondo, quello di Israele, che stermina una popolazione, animato da una furia fanatica e razzista, che si espande in tutta l’area, di prendere una terra che non gli appartiene e cacciare la popolazione autoctona, sostituendola con quella ebraica.
Quando l’esercito di uno Stato occupante uccide oltre 50.000 persone, di cui 17.000 bambini con bombe, malattie fame; ammazza più di 200 giornalisti; distrugge un patrimonio culturale, scuole e università; quando bombarda scientemente un’ambulanza, ammazzando e seppellendo in una fossa comune l’equipaggio di soccorritori, non bastano le (poche) parole di denuncia e di condanna. Servono misure per colpire l’impunità di Israele, come del resto hanno indicato la Corte Internazionale di Giustizia e la Corte Penale Internazionale,
Unione Europea e Governo italiano, come sappiamo, hanno steso su quanto avviene a Gaza e in tutta la Palestina un sudario di indifferenza e immobilità. Oggi la UE chiede «armi all’Ucraina fino alla vittoria» (!), di riarmare l’Europa, di riempire gli arsenali e di manipolare le coscienze fin nelle scuole! È una politica insostenibile, un patriarcato con facce di donne. In questo quadro di silenzio e doppi standard, di disinformazione e informazione disonesta, ascoltiamo le voci femministe palestinesi, hanno qualcosa da dirci, una strada da suggerirci grazie alla loro lunga storia di lotte di liberazione, dal colonialismo britannico nei primi anni del ‘900, fino a quello sionista: la storica Unione dei comitati delle donne palestinesi nel 2021 venne dichiarata terrorista da Israele e, insieme ad altre 5 Ong messa fuori legge (per i movimenti femministi e femminili in Palestina, vedi C. Dalla Negra, Questa terra è donna, Astarte 2024).
Nello stesso anno nasceva negli Stati Uniti, il Palestinian Feminist Collective con la dichiarazione: «Il sionismo, come tutti i sistemi coloniali, è complice della violenza di genere» invitava a porre fine alla violenza dall’interno, come dall’esterno. Le donne palestinesi sono sempre state parte attiva della fondamentale resistenza alle aspirazioni imperialiste sulla loro patria, convinte che la liberazione nazionale è incompleta senza giustizia di genere. Lo sosteneva anche il giovane movimento di Tal’at, contro misoginia e patriarcato. E il PFC . (Nada Elia su Middle East Eye, marzo 2021. N. Elia, La Palestina è una questione femminista, Alegre 2023)
Dopo il 7 ottobre e la vergognosa esaltazione di tutti i governi – dagli Stati Uniti all’Italia – del diritto all’autodifesa dello stato occupantedi Israele dagli occupati, l’appello delle femministe palestinesi è stato: «Porre fine al genocidio di Gaza è una questione femminista» (https://palestinaculturaliberta.org/2023/11/06/porre-fine-gazagenocide-e-una-questione-femminista-lappello-delle-donne-palestinesi/ ), forse anche una reazione a quella parte di femminismo che, come in Francia, che insorgeva contro stupri palestinesi sulle donne israeliane (petizione ripresa anche in Italia da Micromega): la stessa procuratrice di Israele Gez, dichiarava due mesi dopo in un intervista a Ynet : «Sfortunatamente sarà molto difficile provare questi crimini» in assenza di denunce e di prove.
Decine di prove e testimonianze hanno invece purtroppo permesso di ricostruire violenze e torture sulle donne palestinesi. Ultima in ordine di tempo l’indagine della Commissione d’inchiesta delle Nazioni Unite (13 marzo) che nel suo rapporto scrive: Israele ha «intenzionalmente attaccato e distrutto» il principale centro di fertilità del territorio palestinese e ha simultaneamente imposto un assedio e bloccato gli aiuti, compresi i farmaci per garantire gravidanze, parti e cure neonatali sicure, «deliberatamente infliggendo al gruppo condizioni di vita calcolate per provocarne la distruzione fisica» e «imponendo misure volte a impedire le nascite all’interno del gruppo».
Ce lo ha ricordato anche Rania Hammad intervenendo il 18 febbraio scorso alla Scuola politica della Casa Internazionale delle Donne «Non perdiamo più la bussola»:
Sappiate che la violenza di genere e sessuale è indispensabile al colonialismo nel suo intento di eliminare noi, il popolo nativo della Palestina e rubare le nostre terre nonché reprimere la nostra resistenza. Il Sionismo, Israele non ha mai fatto segreto dei suoi piani, né della soluzione di avere tutta la terra senza palestinesi, non è nulla di nuovo […] Mentre venivano ammazzate in massa le donne palestinesi, mentre venivano sterminate intere famiglie e le donne rapite, imprigionate, torturate, abusate sessualmente e stuprate, ci siamo trovate, noi donne palestinesi in Occidente, in una situazione surreale di fronte al massacro e ai nostri traumi. Ci siamo trovate di fronte al femminismo coloniale, ci è stato chiesto di mettere da parte le cause del conflitto stesso, le radici del problema, la verità storica, cioè quelle del colonialismo di insediamento e dell’occupazione; ed è stato preteso da noi che ci dimenticassimo di tutti i nostri antenati massacrati prima di noi, migliaia di vittime, di corpi palestinesi, per soffermarci e condannare un giorno di ottobre del 2023. ( https://palestinaculturaliberta.org/2025/02/13/non-perdiamo-piu-la-bussola/)
Ho ripensato al tempo della pandemia, quando sembrava che «nulla sarebbe stato più come prima» e opponevamo la rivoluzione della cura contro la guerra, sempre di stampo patriarcale, che distrugge le società in nome della «esportazione» della democrazia e della «libertà delle donne» – ricordiamoci l’Afghanistan e l’Iraq – arricchendo l’industria delle armi e i poteri militari, scatenando guerre civili e sostenendo le occupazioni: violenza come massimo gesto di incuria verso l’umanità e la natura. Esprimersi contro armi, violenza e guerre, oggi, deve mettere al centro le pratiche, i pensieri e le parole contro gli orrori compiuti da Israele in solidarietà con le femministe palestinesi anche se sostenere queste posizioni può configgere con il cd. «femminismo coloniale».
Cominciamo dalle nostre menti a sostenere la decolonizzazione!