dal Tavolo per l’educazione popolare,
Saper ascoltare è un’arte difficile. Non è solo porgere l’orecchio, ma è fare spazio, è riservare un luogo e un tempo all’altro, in modo che le sue parole possano trovare rifugio.
Chissà se governo, enti locali, grandi media riescono almeno a percepire, se non proprio ad ascoltare, l’immenso dibattito che da diverse settimane viene alimentato con molta speranza, umiltà e anche un po’ di genuino caos, da gruppi di genitori, insegnanti, educatori, realtà sociali e culturali.
Sul bisogno di ridefinire la relazione tra territorio e scuola e di avviare sperimentazioni tra realtà di educazione informale e formale scrive ad esempio il Tavolo per l’educazione popolare (nato a Roma intorno ad alcuni docenti che collaborarono volontariamente all’iniziativa della “725” di Don Roberto Sardelli). “Se i territori presentano spazi già ora in condizione di essere utilizzati, parchi, giardini, spiagge, luoghi aperti dove possibile mantenere il distanziamento e la disponibilità da parte di insegnanti di ricominciare a fare lezione, le istituzioni devono intervenire rendendo immediatamente realizzabile l’attivazione di nuovi patti educativi, che vedano insegnanti e genitori, educatori, cittadini, ma anche alunni più grandi, perché no, collaborare attivamente rendendo reale e concreto il valore della partecipazione…”